Nella prefazione di Cultura di massa e società italiana, gli storici inglesi David Forgacs e Stephen Gundle decidono di inserire uno stralcio di una storia di vita, nel quale un abitante di una borgata romana, nato nel 1927, ricorda come «mano mano che noi iniziavamo a crescere la cultura nostra era quella di leggere molti libri, che ci passavamo l’uno con l’altro, magari un libro veniva letto da dieci, quindici persone, per non spendere soldi. Perché la televisione non c’era...»1. L’idea di una televisione che soppianta, di colpo, gli altri consumi culturali è certamente suggestiva, anche se fortemente intrisa di quella mitologia apocalittica che porterà Pier Paolo Pasolini a vedere nell’i- nizio delle trasmissioni televisive i prodromi di quel «genocidio culturale» che invaderà il nostro paese dalla fine degli anni Sessanta2. Già nel 1958, a quattro anni dall’inizio delle trasmissioni, la logica del marketing alimentata dalla televisione veniva descritta nei termini di «una nuova tecnica che tende a considerare il pubblico come “una massa di poppanti frustrati” o come una nuova “Alice nel paese del consumo” e che ha già trovato preoccupanti applicazioni in campo politico»3. Da subito, infatti, la televisione rappresentò simbolicamente il nemico principale di quei residui di anticorpi culturali legati a usi e consumi tradizionali. Il «secondo mondo» televisivo4, proiettato in una prospettiva di consumo quotidiano, modificò gli stili di vita, i modi di pensare, le dinamiche psicologiche tra individui e collettività.
I consumi televisivi nell'ecosistema mediale: cinema, radio e tempo libero di fronte all'avvento della televisione in Italia / Garofalo, Damiano. - (2015).
I consumi televisivi nell'ecosistema mediale: cinema, radio e tempo libero di fronte all'avvento della televisione in Italia
Damiano Garofalo
2015
Abstract
Nella prefazione di Cultura di massa e società italiana, gli storici inglesi David Forgacs e Stephen Gundle decidono di inserire uno stralcio di una storia di vita, nel quale un abitante di una borgata romana, nato nel 1927, ricorda come «mano mano che noi iniziavamo a crescere la cultura nostra era quella di leggere molti libri, che ci passavamo l’uno con l’altro, magari un libro veniva letto da dieci, quindici persone, per non spendere soldi. Perché la televisione non c’era...»1. L’idea di una televisione che soppianta, di colpo, gli altri consumi culturali è certamente suggestiva, anche se fortemente intrisa di quella mitologia apocalittica che porterà Pier Paolo Pasolini a vedere nell’i- nizio delle trasmissioni televisive i prodromi di quel «genocidio culturale» che invaderà il nostro paese dalla fine degli anni Sessanta2. Già nel 1958, a quattro anni dall’inizio delle trasmissioni, la logica del marketing alimentata dalla televisione veniva descritta nei termini di «una nuova tecnica che tende a considerare il pubblico come “una massa di poppanti frustrati” o come una nuova “Alice nel paese del consumo” e che ha già trovato preoccupanti applicazioni in campo politico»3. Da subito, infatti, la televisione rappresentò simbolicamente il nemico principale di quei residui di anticorpi culturali legati a usi e consumi tradizionali. Il «secondo mondo» televisivo4, proiettato in una prospettiva di consumo quotidiano, modificò gli stili di vita, i modi di pensare, le dinamiche psicologiche tra individui e collettività.File | Dimensione | Formato | |
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