Questo mutato clima istituzionale corrisponde, in un certo sen- so, a un’evoluzione del dibattito politico sui temi del fascismo, della Resistenza, della seconda guerra mondiale e, seppur più lentamente, della Shoah, che porta una serie di autori e registi ad affrontare criti- camente i temi connessi alla storia recente7. Tra questi, spicca l’espe- rienza cinematografica di Carlo Lizzani, già sperimentatore del genere storico con Achtung! Banditi! (1951), pellicola interamente incentrata su un’azione partigiana realizzata in una fabbrica ligure nell’inverno 1944, e Cronache di poveri amanti (1953), storia di alcuni antifasci- sti nella Firenze post-delitto Matteotti tratta dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini8. Tra il 1960 e il 1962, Lizzani realizza un trittico di film che è possibile leggere, all’interno della filmografia del regista romano, come un vero e proprio filone narrativo incentrato specifi- camente sugli ultimi anni di vita del fascismo in Italia9. Si tratta de Il gobbo (1960), L’oro di Roma (1961) e Il processo di Verona (1962). Se le prime due pellicole rimangono comunque pervase da una retorica marxista di fondo, che tende a interpretare le vicende storiche rac- contate sullo schermo attraverso la lente onnicomprensiva della storia come lotta di classe, è necessario notare come, soprattutto da L’oro di Roma in poi, cominci ad affermarsi nei suoi film una rappresentazione della storia largamente romanzata, di diretta ispirazione hollywoodia- na, che allontana Lizzani da buona parte della critica marxista che fino a quel momento lo aveva accompagnato e sostenuto nella sua “ortodossia” neorealista10. Se molto è stato detto sui primi due film11, Il processo di Verona, nonostante sia meno perlustrata dalla letteratura, è un’opera certamente più funzionale a ricostruire l’immaginario della Verona nazista e saloina di quegli anni. Oltre a trattare gli ultimi giorni di vita di Galeazzo Ciano, dal voto in favore dell’ordine del giorno di sfiducia a Mussolini di Dino Grandi in occasione del Gran consiglio del fascismo del 25 luglio 1943 fino al suo arresto, alla carcerazione e al processo tenutosi a Verona che lo condanna definitivamente alla fucilazione, questo sembra essere il primo film a raccontare la fine del regime dal punto di vista dei fascisti e della gestione dell’ordine e del potere nella neonata Repubblica di Salò12.
Il passato come melodramma. «Il processo di Verona» tra cinema e storia / Garofalo, Damiano. - (2016), pp. 213-224.
Il passato come melodramma. «Il processo di Verona» tra cinema e storia
Damiano Garofalo
2016
Abstract
Questo mutato clima istituzionale corrisponde, in un certo sen- so, a un’evoluzione del dibattito politico sui temi del fascismo, della Resistenza, della seconda guerra mondiale e, seppur più lentamente, della Shoah, che porta una serie di autori e registi ad affrontare criti- camente i temi connessi alla storia recente7. Tra questi, spicca l’espe- rienza cinematografica di Carlo Lizzani, già sperimentatore del genere storico con Achtung! Banditi! (1951), pellicola interamente incentrata su un’azione partigiana realizzata in una fabbrica ligure nell’inverno 1944, e Cronache di poveri amanti (1953), storia di alcuni antifasci- sti nella Firenze post-delitto Matteotti tratta dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini8. Tra il 1960 e il 1962, Lizzani realizza un trittico di film che è possibile leggere, all’interno della filmografia del regista romano, come un vero e proprio filone narrativo incentrato specifi- camente sugli ultimi anni di vita del fascismo in Italia9. Si tratta de Il gobbo (1960), L’oro di Roma (1961) e Il processo di Verona (1962). Se le prime due pellicole rimangono comunque pervase da una retorica marxista di fondo, che tende a interpretare le vicende storiche rac- contate sullo schermo attraverso la lente onnicomprensiva della storia come lotta di classe, è necessario notare come, soprattutto da L’oro di Roma in poi, cominci ad affermarsi nei suoi film una rappresentazione della storia largamente romanzata, di diretta ispirazione hollywoodia- na, che allontana Lizzani da buona parte della critica marxista che fino a quel momento lo aveva accompagnato e sostenuto nella sua “ortodossia” neorealista10. Se molto è stato detto sui primi due film11, Il processo di Verona, nonostante sia meno perlustrata dalla letteratura, è un’opera certamente più funzionale a ricostruire l’immaginario della Verona nazista e saloina di quegli anni. Oltre a trattare gli ultimi giorni di vita di Galeazzo Ciano, dal voto in favore dell’ordine del giorno di sfiducia a Mussolini di Dino Grandi in occasione del Gran consiglio del fascismo del 25 luglio 1943 fino al suo arresto, alla carcerazione e al processo tenutosi a Verona che lo condanna definitivamente alla fucilazione, questo sembra essere il primo film a raccontare la fine del regime dal punto di vista dei fascisti e della gestione dell’ordine e del potere nella neonata Repubblica di Salò12.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.