«Hoc vero consolandi munus», scriveva nel 1542 Gerolamo Cardano all’inizio del suo De consolatione, «tam est necessarium, ut neminem effugiat». La consolazione e l’autoconsolazione costituiscono un momento fondamentale dell’elaborazione del lutto, e del patteggiamento con la vita di fronte al problema di sopravvivere alla morte di chi ci è caro. Dal Duecento in poi, con lo snodo imprescindibile di Petrarca, si innesta presso gli autori italiani una prassi consolatoria che, pur in assenza di un genere codificato, presenta numerosi e vari esiti formali. In questo lungo corso della letteratura terapeutica, di particolare interesse risulta la riflessione intellettuale posta in essere tra Quattro e Cinquecento, che raccoglie da un lato l’eredità classica, soprattutto attraverso l’intermediazione petrarchesca, mentre dall’altro si volge a una progressiva modellizzazione delle pratiche letterarie del lutto. Sul versante lirico la consolazione si volge al tombeau, alle rime vedovili, all’encomio funebre; sul versante della prosa i letterati italiani continuano a coltivarla nelle forme dell’epistola e dell’orazione, così come del trattato e del dialogo. Il presente volume vuole offrire una raccolta di materiali utili a ricostruire la natura multiforme dell’elaborazione letteraria del lutto (e, in senso lato, del dolore) tra Quattro e Cinquecento in Italia. Vengono così a disegnarsi orizzonti plurali di esercizio della pratica consolatoria: esperienze di corte, connotate geograficamente, e sodalitates intellettuali sovraregionali.
Forme della consolatoria tra Quattro e Cinquecento. Poesia e prosa del lutto tra corte, accademia e sodalitas amicale / Stroppa, Sabrina; Volta, Nicole. - (2019), pp. 1-290.
Forme della consolatoria tra Quattro e Cinquecento. Poesia e prosa del lutto tra corte, accademia e sodalitas amicale
Nicole Volta
2019
Abstract
«Hoc vero consolandi munus», scriveva nel 1542 Gerolamo Cardano all’inizio del suo De consolatione, «tam est necessarium, ut neminem effugiat». La consolazione e l’autoconsolazione costituiscono un momento fondamentale dell’elaborazione del lutto, e del patteggiamento con la vita di fronte al problema di sopravvivere alla morte di chi ci è caro. Dal Duecento in poi, con lo snodo imprescindibile di Petrarca, si innesta presso gli autori italiani una prassi consolatoria che, pur in assenza di un genere codificato, presenta numerosi e vari esiti formali. In questo lungo corso della letteratura terapeutica, di particolare interesse risulta la riflessione intellettuale posta in essere tra Quattro e Cinquecento, che raccoglie da un lato l’eredità classica, soprattutto attraverso l’intermediazione petrarchesca, mentre dall’altro si volge a una progressiva modellizzazione delle pratiche letterarie del lutto. Sul versante lirico la consolazione si volge al tombeau, alle rime vedovili, all’encomio funebre; sul versante della prosa i letterati italiani continuano a coltivarla nelle forme dell’epistola e dell’orazione, così come del trattato e del dialogo. Il presente volume vuole offrire una raccolta di materiali utili a ricostruire la natura multiforme dell’elaborazione letteraria del lutto (e, in senso lato, del dolore) tra Quattro e Cinquecento in Italia. Vengono così a disegnarsi orizzonti plurali di esercizio della pratica consolatoria: esperienze di corte, connotate geograficamente, e sodalitates intellettuali sovraregionali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.