Dalla contabilità generale, che si incarica di rilevare analiticamente, cronologicamente e sistematicamente i fatti esterni di gestione, prende forma il bilancio ordinario d’esercizio, documento informativo contenente dati d’impresa pertinenti l’attività aziendale svolta all’interno del singolo periodo amministrativo in condizioni di ordinaria amministrazione. A causa dell’ordinarietà delle rilevazioni considerate, il bilancio di esercizio si differenzia dai cosiddetti bilanci straordinari che vengono, invece, redatti in momenti e circostanze differenti da quella consueta (fusione, cessione, trasformazione, ecc.). La comunicazione aziendale realizzata attraverso il bilancio si è progressivamente modificata nel tempo, al fine di assecondare i crescenti e diversificati fabbisogni informativi dei suoi fruitori. Questi ultimi, stakeholder aziendali, abbracciano differenti soggetti che si interfacciano, a vario titolo, con l’attività aziendale (fornitori, clienti, enti finanziatori, azionisti/risparmiatori, amministrazione finanziaria, investitori). Dalla funzione di rendicontare il risultato sintetico della gestione aziendale, prevalente nel periodo pre-industriale in cui tale rendicontazione veniva effettuata liberamente, senza schemi o principi stabiliti dalla legge, si è passati alla funzione di tutela degli interessi interni ed esterni dell’azienda, prevalente invece nel periodo post industriale . Parallelamente all’evolversi del fine di bilancio, si sono modificati anche i vincoli a cui la sua redazione è dovuta sottostare, dal momento che l’esigenza di tutelare gli interessi dei diversi stakeholder aziendali ha reso necessaria la presenza di adeguate regole per la redazione di tale documento e la determinazione del risultato economico d’esercizio. L’evolversi della funzione informativa di bilancio, parallela all’evolversi della rilevanza sociale del sistema economico aziendale, ha reso tale documento uno strumento di informazione, capace anche di esprimere sinteticamente gli accadimenti della gestione e tutelare gli interessi interni ed esterni all’azienda: in definitiva è possibile affermare che oggi, il bilancio ordinario di esercizio, “rappresenta la sintesi del complesso modo di essere dell’impresa in tutti i suoi rapporti organizzativi, interni ed esterni” . Attraverso l’elaborazione del documento di bilancio si perviene alla determinazione del reddito di esercizio. Tale grandezza è, tuttavia, una grandezza “astratta” che può essere misurata solo se, al documento di bilancio, viene assegnato un fine. Il carattere di astrattezza del reddito di esercizio può essere inteso, secondo l’Onida, in duplice senso. In primo luogo il reddito di esercizio non è un bene materiale che si aggiunge o si sottrae al patrimonio aziendale, ma si qualifica come puro valore ricavato dal saldo del Conto Economico (che a sua volta rappresenta la somma algebrica dei costi e ricavi dell’esercizio), o come differenza tra il capitale netto finale e quello iniziale di esercizio. Sulla scorta di tale assunto, l’Onida, teorizza due possibili fini da assegnare nella redazione di bilancio chiamati rispettivamente: fine Alfa; e fine Beta. Se al bilancio si assegna il fine Alfa, il tempo viene inteso come tempo fisico nel quale ogni esercizio ha la sua storia ed il reddito d’esercizio, da esso scaturente, rappresenterà l’indicatore delle condizioni più o meno favorevoli in cui si è svolta la gestione presentandosi, quindi, come risultato fortemente variabile. Il reddito rifletterà, in periodi sfavorevoli, grandi perdite, ed in periodi favorevoli grandi utili. Secondo tale concezione non verranno applicate al bilancio politiche volte a livellare i risultati di diversi esercizi e si attribuisce al reddito la funzione propria di indicatore delle condizioni più o meno favorevoli incontrate dalla gestione nel corso dell’esercizio. Nell’ipotesi di fissazione del fine Beta, invece, il reddito si presenta come un indicatore dell’economicità della gestione. Con l’applicazione di tale fine viene concessa la possibilità di perequare i redditi conseguiti nei diversi esercizi, ed il tempo viene inteso in un’accezione economica che, a parità di lunghezza fisica, si qualifica in relazione alle differenti condizioni economiche della gestione nel susseguirsi dei diversi periodi amministrativi . In tale ottica il bilancio diventa uno strumento politico per gli amministratori che mirano al raggiungimento dell’economicità dell’intera gestione aziendale. Secondo la dottrina aziendalistica la fissazione di un fine si presenta strumentale alla successiva fissazione di criteri generali e particolari di valutazione delle poste di bilancio, con la conseguenza che non si possono stabilire criteri particolari se prima non si siano fissati criteri generali derivanti da un fine specifico. Agli inizi degli anni ‘70 molti furono gli interventi giurisprudenziali volti a sanzionare la poco chiara disciplina di bilancio esistente, che si presentava ancora totalmente limitata e incompleta specie se posta a confronto con l’evoluzione economica del contesto aziendale nazionale e con i bisogni informativi richiesti da un sempre crescente numero di stakeholder. Tale esigenza si avvertiva non solo a livello Nazionale ma si estendeva a tutto il territorio dell’allora Comunità Economica Europea (CEE) la quale cominciò a reputare indispensabile, dato lo sviluppo delle operazioni economiche tra gli stati membri, la elaborazione di un unico linguaggio contabile capace di essere condiviso a livello internazionale, con cui garantire un’efficiente e rapida circolazione delle informazioni finanziarie oltre i confini dei singoli Stati. Tale obiettivo, naturalmente, non poteva prescindere dalla definizione di un corpus omogeneo e unanimamente condiviso di regole e principi di natura contabile, che potessero soddisfare quei fabbisogni conoscitivi generati dalla necessità di formulare razionali scelte di investimento e di allocazione di risorse. Nel 1978, nell’intento di soddisfare tale scopo, si giunge all’elaborazione della IV Direttiva CEE che fissa, per la prima volta, un fine, dei principi generali e dei principi particolari e finalmente sembra operare secondo una logica ispirata alle indicazioni dettate dalla dottrina aziendalistica italiana. Il Legislatore Comunitario riconosce nel “True and fair view”, tradotto poi, con il recepimento della direttiva, in “quadro fedele”, il fine del bilancio dal quale derivano criteri generali e particolari per redigere il documento contabile. Solo nel 1991, tuttavia, dopo una lunga preparazione da parte della Commissione D’Alessandro, nella quale si ricorda un solo economista aziendale (Prof. Superti Furga), si giunge all’emanazione del D.Lgs. 127/91 che recepisce, in Italia, la IV e la VII direttiva CEE inerenti rispettivamente i conti annuali e quelli consolidati, e il citato”quadro fedele” diviene, nella normativa civilistica “rappresentazione veritiera e corretta”. L’idea, consolidata negli studi economici aziendali, della correlazione tra fini di bilancio e criteri di valutazione (generali e particolari) sembra, finalmente, aver trovato espressione normativa.È utile affermare, tuttavia, che pur essendo arrivati ad uno schema di correlazione che, quantomeno sul piano formale, rispetta le logiche economico aziendali, si continua a dare al bilancio un fine sostanzialmente indeterminato e poco chiaro. Con il D.Lgs 6 del 17 gennaio 2003 la normativa civilistica, anche in materia di bilancio, è stata oggetto di cambiamenti riconducibili al verificarsi di due eventi principali: 1) l’emanazione della direttiva 65/2001 concernente l’introduzione del criterio valutativo del fair value, recepita parzialmente dal D.Lgs 394/2003 ; 2) L’emanazione del regolamento comunitario 1606/2002 con il quale in tutti i paesi europei, e quindi anche in Italia, si rende obbligatorio l’uso dei principi contabili internazionali dall’ International Accounting Standard Board per le società quotate nella redazione dei bilanci consolidati. Prima di passare all’analisi dettagliata dei singoli articoli contenuti nella normativa civilistica civilistica al libro V sezione IX inerenti il bilancio di esercizio, riportiamo, nello schema 1, una sintesi dell’impianto normativo contabile in materia di bilancio. Tale sintesi mostra come gli aspetti trattati negli articoli del codice civile possono essere classificati in: a) aspetti sostanziali; b) aspetti formali; c) aspetti collaterali. Gli aspetti sostanziali fanno riferimento al fine di bilancio (art. 2423), ai principi generali di redazione (art. 2423-bis) e ai principi particolari di valutazione (art. 2426) e sono tra loro strettamente correlati. Dal fine, infatti, derivano i principi generali di redazione del bilancio, linee guida per l’attuazione dei principi particolari di valutazione. Possiamo assimilare tale dipendenza ad una scatola cinese (la matriosca delle regole contabili, ).

Il bilancio di esercizio nella normativa civilistica (art. 2423-2425-bis) / Paoloni, Paola. - (2006), pp. 101-120.

Il bilancio di esercizio nella normativa civilistica (art. 2423-2425-bis)

Paoloni, Paola
2006

Abstract

Dalla contabilità generale, che si incarica di rilevare analiticamente, cronologicamente e sistematicamente i fatti esterni di gestione, prende forma il bilancio ordinario d’esercizio, documento informativo contenente dati d’impresa pertinenti l’attività aziendale svolta all’interno del singolo periodo amministrativo in condizioni di ordinaria amministrazione. A causa dell’ordinarietà delle rilevazioni considerate, il bilancio di esercizio si differenzia dai cosiddetti bilanci straordinari che vengono, invece, redatti in momenti e circostanze differenti da quella consueta (fusione, cessione, trasformazione, ecc.). La comunicazione aziendale realizzata attraverso il bilancio si è progressivamente modificata nel tempo, al fine di assecondare i crescenti e diversificati fabbisogni informativi dei suoi fruitori. Questi ultimi, stakeholder aziendali, abbracciano differenti soggetti che si interfacciano, a vario titolo, con l’attività aziendale (fornitori, clienti, enti finanziatori, azionisti/risparmiatori, amministrazione finanziaria, investitori). Dalla funzione di rendicontare il risultato sintetico della gestione aziendale, prevalente nel periodo pre-industriale in cui tale rendicontazione veniva effettuata liberamente, senza schemi o principi stabiliti dalla legge, si è passati alla funzione di tutela degli interessi interni ed esterni dell’azienda, prevalente invece nel periodo post industriale . Parallelamente all’evolversi del fine di bilancio, si sono modificati anche i vincoli a cui la sua redazione è dovuta sottostare, dal momento che l’esigenza di tutelare gli interessi dei diversi stakeholder aziendali ha reso necessaria la presenza di adeguate regole per la redazione di tale documento e la determinazione del risultato economico d’esercizio. L’evolversi della funzione informativa di bilancio, parallela all’evolversi della rilevanza sociale del sistema economico aziendale, ha reso tale documento uno strumento di informazione, capace anche di esprimere sinteticamente gli accadimenti della gestione e tutelare gli interessi interni ed esterni all’azienda: in definitiva è possibile affermare che oggi, il bilancio ordinario di esercizio, “rappresenta la sintesi del complesso modo di essere dell’impresa in tutti i suoi rapporti organizzativi, interni ed esterni” . Attraverso l’elaborazione del documento di bilancio si perviene alla determinazione del reddito di esercizio. Tale grandezza è, tuttavia, una grandezza “astratta” che può essere misurata solo se, al documento di bilancio, viene assegnato un fine. Il carattere di astrattezza del reddito di esercizio può essere inteso, secondo l’Onida, in duplice senso. In primo luogo il reddito di esercizio non è un bene materiale che si aggiunge o si sottrae al patrimonio aziendale, ma si qualifica come puro valore ricavato dal saldo del Conto Economico (che a sua volta rappresenta la somma algebrica dei costi e ricavi dell’esercizio), o come differenza tra il capitale netto finale e quello iniziale di esercizio. Sulla scorta di tale assunto, l’Onida, teorizza due possibili fini da assegnare nella redazione di bilancio chiamati rispettivamente: fine Alfa; e fine Beta. Se al bilancio si assegna il fine Alfa, il tempo viene inteso come tempo fisico nel quale ogni esercizio ha la sua storia ed il reddito d’esercizio, da esso scaturente, rappresenterà l’indicatore delle condizioni più o meno favorevoli in cui si è svolta la gestione presentandosi, quindi, come risultato fortemente variabile. Il reddito rifletterà, in periodi sfavorevoli, grandi perdite, ed in periodi favorevoli grandi utili. Secondo tale concezione non verranno applicate al bilancio politiche volte a livellare i risultati di diversi esercizi e si attribuisce al reddito la funzione propria di indicatore delle condizioni più o meno favorevoli incontrate dalla gestione nel corso dell’esercizio. Nell’ipotesi di fissazione del fine Beta, invece, il reddito si presenta come un indicatore dell’economicità della gestione. Con l’applicazione di tale fine viene concessa la possibilità di perequare i redditi conseguiti nei diversi esercizi, ed il tempo viene inteso in un’accezione economica che, a parità di lunghezza fisica, si qualifica in relazione alle differenti condizioni economiche della gestione nel susseguirsi dei diversi periodi amministrativi . In tale ottica il bilancio diventa uno strumento politico per gli amministratori che mirano al raggiungimento dell’economicità dell’intera gestione aziendale. Secondo la dottrina aziendalistica la fissazione di un fine si presenta strumentale alla successiva fissazione di criteri generali e particolari di valutazione delle poste di bilancio, con la conseguenza che non si possono stabilire criteri particolari se prima non si siano fissati criteri generali derivanti da un fine specifico. Agli inizi degli anni ‘70 molti furono gli interventi giurisprudenziali volti a sanzionare la poco chiara disciplina di bilancio esistente, che si presentava ancora totalmente limitata e incompleta specie se posta a confronto con l’evoluzione economica del contesto aziendale nazionale e con i bisogni informativi richiesti da un sempre crescente numero di stakeholder. Tale esigenza si avvertiva non solo a livello Nazionale ma si estendeva a tutto il territorio dell’allora Comunità Economica Europea (CEE) la quale cominciò a reputare indispensabile, dato lo sviluppo delle operazioni economiche tra gli stati membri, la elaborazione di un unico linguaggio contabile capace di essere condiviso a livello internazionale, con cui garantire un’efficiente e rapida circolazione delle informazioni finanziarie oltre i confini dei singoli Stati. Tale obiettivo, naturalmente, non poteva prescindere dalla definizione di un corpus omogeneo e unanimamente condiviso di regole e principi di natura contabile, che potessero soddisfare quei fabbisogni conoscitivi generati dalla necessità di formulare razionali scelte di investimento e di allocazione di risorse. Nel 1978, nell’intento di soddisfare tale scopo, si giunge all’elaborazione della IV Direttiva CEE che fissa, per la prima volta, un fine, dei principi generali e dei principi particolari e finalmente sembra operare secondo una logica ispirata alle indicazioni dettate dalla dottrina aziendalistica italiana. Il Legislatore Comunitario riconosce nel “True and fair view”, tradotto poi, con il recepimento della direttiva, in “quadro fedele”, il fine del bilancio dal quale derivano criteri generali e particolari per redigere il documento contabile. Solo nel 1991, tuttavia, dopo una lunga preparazione da parte della Commissione D’Alessandro, nella quale si ricorda un solo economista aziendale (Prof. Superti Furga), si giunge all’emanazione del D.Lgs. 127/91 che recepisce, in Italia, la IV e la VII direttiva CEE inerenti rispettivamente i conti annuali e quelli consolidati, e il citato”quadro fedele” diviene, nella normativa civilistica “rappresentazione veritiera e corretta”. L’idea, consolidata negli studi economici aziendali, della correlazione tra fini di bilancio e criteri di valutazione (generali e particolari) sembra, finalmente, aver trovato espressione normativa.È utile affermare, tuttavia, che pur essendo arrivati ad uno schema di correlazione che, quantomeno sul piano formale, rispetta le logiche economico aziendali, si continua a dare al bilancio un fine sostanzialmente indeterminato e poco chiaro. Con il D.Lgs 6 del 17 gennaio 2003 la normativa civilistica, anche in materia di bilancio, è stata oggetto di cambiamenti riconducibili al verificarsi di due eventi principali: 1) l’emanazione della direttiva 65/2001 concernente l’introduzione del criterio valutativo del fair value, recepita parzialmente dal D.Lgs 394/2003 ; 2) L’emanazione del regolamento comunitario 1606/2002 con il quale in tutti i paesi europei, e quindi anche in Italia, si rende obbligatorio l’uso dei principi contabili internazionali dall’ International Accounting Standard Board per le società quotate nella redazione dei bilanci consolidati. Prima di passare all’analisi dettagliata dei singoli articoli contenuti nella normativa civilistica civilistica al libro V sezione IX inerenti il bilancio di esercizio, riportiamo, nello schema 1, una sintesi dell’impianto normativo contabile in materia di bilancio. Tale sintesi mostra come gli aspetti trattati negli articoli del codice civile possono essere classificati in: a) aspetti sostanziali; b) aspetti formali; c) aspetti collaterali. Gli aspetti sostanziali fanno riferimento al fine di bilancio (art. 2423), ai principi generali di redazione (art. 2423-bis) e ai principi particolari di valutazione (art. 2426) e sono tra loro strettamente correlati. Dal fine, infatti, derivano i principi generali di redazione del bilancio, linee guida per l’attuazione dei principi particolari di valutazione. Possiamo assimilare tale dipendenza ad una scatola cinese (la matriosca delle regole contabili, ).
2006
Il bilancio di esercizio nel contesto nazionale e internazionale
978-8834857328
.
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Il bilancio di esercizio nella normativa civilistica (art. 2423-2425-bis) / Paoloni, Paola. - (2006), pp. 101-120.
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