«Mentre discutevamo di modelli teorici della comprensione linguistica una mia brava alunna mi e ci ha suggerito una bella immagine: eroismo della comprensione. Specialmente da piccoli, ma anche da adulti dinanzi a un testo ce la mettiamo tutta per cercare di ridurlo a essere un buon tramite per il senso che immaginiamo voglia trasmetterci. Se il testo ci è lontano, se è mal fatto, andiamo all'assalto delle sue impervietà come eroici partigiani e combattenti» (De Mauro, 1997/2001, p. 26). Con queste parole più di vent'anni fa Tullio De Mauro poneva, in poche righe a stampa, l'accento su più questioni insieme: la problematicità e non riducibilità a un solo modello della comprensione linguistica, la fatica del comprendere e dunque il non essere atto scontato o dovuto, il fatto che i testi veicolano sensi che debbono essere ricostruiti e immaginati da chi legge (o ascolta) e non solo da chi scrive (o parla), l'esistenza di un piano di battaglia, etica civile e democratica, combattendo la quale chi si sforza di capire lotta da partigiano per il diritto alla comprensione. In altre parole per il diritto a essere incluso nel gruppo di chi i messaggi li riceve e, con essi, i sensi che veicolano. Si tratta delle questioni che vorrei affrontare qui a partire dal titolo che ho scelto per il mio intervento. Faccio, infatti, parte del gruppo di chi pensa che lavorare sulla chiarezza linguistica rappresenti un fattore chiave per l'inclusione scolastica, certo, ma anche e, soprattutto, sociale. Un gruppo che conta molti partecipanti tra ricercatori e insegnanti, ma qualcuno di meno tra chi si occupa di comunicazione pubblica, almeno a giudicare dai risultati leggibili in molti atti e avvisi pure destinati a un'ampia platea di destinatari. Riflettendo, in occasione di un convegno dedicato al tema di scrittura di atti pubblici, Francesco Sabatini (2012) notava che «il filo conduttore che emerge dagli interventi che sono stati finora svolti è il legame sistemico stretto tra i due campi disciplinari linguistico e giuridico. In particolare, i giuristi hanno sottolineato il ruolo della lingua come strumento primario di convivenza civile. Debbo tuttavia constatare come si siano fatti pochi passi avanti in materia. Se mai, se ne sono fatti molti indietro» (p. 61). Se chi lotta per capire è un partigiano, si tratta qui di compiere azioni di guerriglia per contrastare la pervicace dittatura di un italiano ingessato, burocratico, o meglio, burocratizzato, ostile. Un italiano che tracima e arriva nelle scuole, negli avvisi pubblici, negli articoli di giornale e, soprattutto, nella testa delle persone. Questo italiano esclude chi non ha gli strumenti per decodificarne messaggi. Questo italiano è una scelta comunicativa di chi parla o di chi scrive. Questo italiano non è l'unica scelta possibile.
Parlar chiaro per includere / Sposetti, Patrizia. - (2019), pp. 187-199. - QUADERNI DI RICERCA IN SCIENZE DELL'EDUCAZIONE.
Parlar chiaro per includere
Patrizia Sposetti
2019
Abstract
«Mentre discutevamo di modelli teorici della comprensione linguistica una mia brava alunna mi e ci ha suggerito una bella immagine: eroismo della comprensione. Specialmente da piccoli, ma anche da adulti dinanzi a un testo ce la mettiamo tutta per cercare di ridurlo a essere un buon tramite per il senso che immaginiamo voglia trasmetterci. Se il testo ci è lontano, se è mal fatto, andiamo all'assalto delle sue impervietà come eroici partigiani e combattenti» (De Mauro, 1997/2001, p. 26). Con queste parole più di vent'anni fa Tullio De Mauro poneva, in poche righe a stampa, l'accento su più questioni insieme: la problematicità e non riducibilità a un solo modello della comprensione linguistica, la fatica del comprendere e dunque il non essere atto scontato o dovuto, il fatto che i testi veicolano sensi che debbono essere ricostruiti e immaginati da chi legge (o ascolta) e non solo da chi scrive (o parla), l'esistenza di un piano di battaglia, etica civile e democratica, combattendo la quale chi si sforza di capire lotta da partigiano per il diritto alla comprensione. In altre parole per il diritto a essere incluso nel gruppo di chi i messaggi li riceve e, con essi, i sensi che veicolano. Si tratta delle questioni che vorrei affrontare qui a partire dal titolo che ho scelto per il mio intervento. Faccio, infatti, parte del gruppo di chi pensa che lavorare sulla chiarezza linguistica rappresenti un fattore chiave per l'inclusione scolastica, certo, ma anche e, soprattutto, sociale. Un gruppo che conta molti partecipanti tra ricercatori e insegnanti, ma qualcuno di meno tra chi si occupa di comunicazione pubblica, almeno a giudicare dai risultati leggibili in molti atti e avvisi pure destinati a un'ampia platea di destinatari. Riflettendo, in occasione di un convegno dedicato al tema di scrittura di atti pubblici, Francesco Sabatini (2012) notava che «il filo conduttore che emerge dagli interventi che sono stati finora svolti è il legame sistemico stretto tra i due campi disciplinari linguistico e giuridico. In particolare, i giuristi hanno sottolineato il ruolo della lingua come strumento primario di convivenza civile. Debbo tuttavia constatare come si siano fatti pochi passi avanti in materia. Se mai, se ne sono fatti molti indietro» (p. 61). Se chi lotta per capire è un partigiano, si tratta qui di compiere azioni di guerriglia per contrastare la pervicace dittatura di un italiano ingessato, burocratico, o meglio, burocratizzato, ostile. Un italiano che tracima e arriva nelle scuole, negli avvisi pubblici, negli articoli di giornale e, soprattutto, nella testa delle persone. Questo italiano esclude chi non ha gli strumenti per decodificarne messaggi. Questo italiano è una scelta comunicativa di chi parla o di chi scrive. Questo italiano non è l'unica scelta possibile.File | Dimensione | Formato | |
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