Tutta l’opera filosofica di Albert Caraco rivela, nei confronti del suo tempo, una idiosincrasia e, in nuce, una speranza. Vissuto tra il 1919 e il 1971, Caraco è testimone degli avvenimenti bellici che segnano la prima metà del ‘900 e depositario della filosofia che da essi si sprigiona: la disabilitazione dell’individuo e soprattutto dell’intellettuale, da sempre guida dell’umanità. L’inquietudine che lacera l’individuo del XX secolo va ricercata altresì in un altro dramma di vasta portata: la fine del rapporto uomo-natura esautorato dal nuovo sodalizio uomo-macchina. Il mito dell’uomo sui faber in rapporto idilliaco con la natura cede il posto all’homo novus la cui vita interiore è ora regolata dai ritmi veloci della macchina. L’uomo nuovo è, così, […] aliéné, […], possédé, […] dépassé par les moyens […] devenu l’esclave de ses oeuvres, schiacciato dalle fredde leggi dell’alienazione e della reificazione. L’insulto di queste leggi ha effetti devastanti sulla potenziale autenticità dell’individuo e conduce alla frammentazione, alla dislocazione dell’io, alla coscienza divisa: Nous sommes en morceaux et nous ne parvenons plus même à supposer une synthèse. Svanisce così, per esempio, il mondo tranquillo e sicuro dei padri, la belle confiance de nos pères. Tutto ciò spiega, specularmente, l’atteggiamento della maggior parte degli scrittori europei appartenenti ad un’epoca che vede l’utopia tramutarsi in distopia, e per reazione, l’élan vital di alcuni di essi di voler recuperare a tutti i costi, attraverso la riflessione, la spiritualità e la gnosi, il fiabesco regno di Utopia. Di famiglia ebrea, Caraco subisce direttamente l’aggressione dei pregiudizi razziali che lo costringono, con i genitori, a vagabondare da un capo all’altro del mondo. Ha, inoltre, sin dalla più tenera età problemi di salute a causa di un’iniezione contro un tetano. Erranza e malattia diventano pertanto stili di vita: […] les impressions de l’enfance et de l’adolescence m’ont marqué, je grandis au milieu de l’horreur grandissante… les dix années précédant la Guerre furent très pénibles et parfois horribles, j’éprouve encore comme un serrement de gorge en me remmémorant les incessants dégoûts dont je fus abreuvé: menace de ruine économique, vie de plus en plus resserreée, humiliations de plus en plus sensibles, apatridie, nouvelles effroyables fondant sur ma tête, orages se levant de toute part et santé chancelante. All’ombra di questi eventi matura, sin dall’adolescenza, una Weltanschauung notturna, scandita da un prologo e da un epilogo degni di un’orazione funebre. Gli elementi formativi di Caraco sono, dunque, l’insicurezza, la paura, la malattia, la morte, elementi che ne forgiano il carattere a guisa di pierre, flamme et glace. La polvere, il legno e l’acqua subiscono una violenza: la cristallizzazione. Gli elementi, nella loro essenza germinale, inaugurale, sono pietrificati, incendiati, ghiacciati. L’estensione marmorea degli elementi vuole dire, fuor di metafora, che l’universo ludico dell’infanzia e dell’adolescenza diviene un rabberciante gioco di morte; il canto di un’infanzia diviene singulto emorragico, grido apocalittico: Ah! quelle horreur que ces temps-là! quelles méthodes! quelle pédagogie!. Diretto discendente di Nietzsche, Caraco, sulla scia della concezione escatologica di Spengler e di Lukács, intraprende nei suoi saggi filosofici un progetto di annientamento della Storia. Nel tentativo di demolizione di tutte le certezze permane un ideale di ricostruzione: così Caraco diventa profeta, che è come il depositario della contingenza e della speranza. Egli si scaglia contro la società aspirando, contemporaneamente, alla realizzazione di una società migliore. Distruzione, dunque, in nome della ricostruzione, della palingenesi: En attendant l’Apocalypse […] je prophétise le déclin […] l’agonie préludant à la renaissance. Apocalisse in Caraco non ha, quindi, un significato del tutto negativo; rivela, sì, un sentimento panico di paura, ma anche una speranza in præsentia. Questo immanente sentimento palingenetico tipico delle sue opere filosofiche, lenti e sofferti works in progress, in cui più viva e marcata è l’analisi del mondo, scivola, accentuandosi, nelle opere autobiografiche ed intime. L’acme di questa evoluzione è pienamente ravvisabile nelle pagine del Post Mortem (1963), scritto ultimo dedicato al ricordo della Signora Madre. Avvolto anch’esso nella danza di sentimenti, in cui «ogni pagina si stende come una fossile foglia, fragile e pietrosa» e intriso di un’aura che ha «del liturgico, della nenia funebre, della cantilena, della litania e della danza», lo scritto si fa lentamente opera del pensiero, libro di un’evoluzione e di un’elevazione, libro di purificazione. Vero e proprio canto dell’anima, ascrivibile più delle altre alla categoria dello spirito, l’opera, che segna la fine di una stagione agonizzante, sembra offrire a Caraco la possibilità del riscatto, la ratio ultima per poter recuperare, nel regno della Memoria, la poesia rubata della sua esistenza. E solo attraverso questo riscatto spirituale, Caraco può pervenire ad una forma di rigenerazione. Eppure già nei suoi ultimi scritti campeggiano, sparsi qua e là, momenti epifanici, orme di riflessione che domineranno poi, incontrastati, il Post Mortem, telos sovrano di una vita che pretende la rigenerazione degli elementi puri, non cristallizzati, vale a dire, la rigenerazione del (dis-) ordine e della (dis-) armonia universali.

Albert Caraco: la signora madre e la dimora ritrovata / DI DOMENICO, Stefano. - (2013), pp. 0-77.

Albert Caraco: la signora madre e la dimora ritrovata

Stefano DI DOMENICO
2013

Abstract

Tutta l’opera filosofica di Albert Caraco rivela, nei confronti del suo tempo, una idiosincrasia e, in nuce, una speranza. Vissuto tra il 1919 e il 1971, Caraco è testimone degli avvenimenti bellici che segnano la prima metà del ‘900 e depositario della filosofia che da essi si sprigiona: la disabilitazione dell’individuo e soprattutto dell’intellettuale, da sempre guida dell’umanità. L’inquietudine che lacera l’individuo del XX secolo va ricercata altresì in un altro dramma di vasta portata: la fine del rapporto uomo-natura esautorato dal nuovo sodalizio uomo-macchina. Il mito dell’uomo sui faber in rapporto idilliaco con la natura cede il posto all’homo novus la cui vita interiore è ora regolata dai ritmi veloci della macchina. L’uomo nuovo è, così, […] aliéné, […], possédé, […] dépassé par les moyens […] devenu l’esclave de ses oeuvres, schiacciato dalle fredde leggi dell’alienazione e della reificazione. L’insulto di queste leggi ha effetti devastanti sulla potenziale autenticità dell’individuo e conduce alla frammentazione, alla dislocazione dell’io, alla coscienza divisa: Nous sommes en morceaux et nous ne parvenons plus même à supposer une synthèse. Svanisce così, per esempio, il mondo tranquillo e sicuro dei padri, la belle confiance de nos pères. Tutto ciò spiega, specularmente, l’atteggiamento della maggior parte degli scrittori europei appartenenti ad un’epoca che vede l’utopia tramutarsi in distopia, e per reazione, l’élan vital di alcuni di essi di voler recuperare a tutti i costi, attraverso la riflessione, la spiritualità e la gnosi, il fiabesco regno di Utopia. Di famiglia ebrea, Caraco subisce direttamente l’aggressione dei pregiudizi razziali che lo costringono, con i genitori, a vagabondare da un capo all’altro del mondo. Ha, inoltre, sin dalla più tenera età problemi di salute a causa di un’iniezione contro un tetano. Erranza e malattia diventano pertanto stili di vita: […] les impressions de l’enfance et de l’adolescence m’ont marqué, je grandis au milieu de l’horreur grandissante… les dix années précédant la Guerre furent très pénibles et parfois horribles, j’éprouve encore comme un serrement de gorge en me remmémorant les incessants dégoûts dont je fus abreuvé: menace de ruine économique, vie de plus en plus resserreée, humiliations de plus en plus sensibles, apatridie, nouvelles effroyables fondant sur ma tête, orages se levant de toute part et santé chancelante. All’ombra di questi eventi matura, sin dall’adolescenza, una Weltanschauung notturna, scandita da un prologo e da un epilogo degni di un’orazione funebre. Gli elementi formativi di Caraco sono, dunque, l’insicurezza, la paura, la malattia, la morte, elementi che ne forgiano il carattere a guisa di pierre, flamme et glace. La polvere, il legno e l’acqua subiscono una violenza: la cristallizzazione. Gli elementi, nella loro essenza germinale, inaugurale, sono pietrificati, incendiati, ghiacciati. L’estensione marmorea degli elementi vuole dire, fuor di metafora, che l’universo ludico dell’infanzia e dell’adolescenza diviene un rabberciante gioco di morte; il canto di un’infanzia diviene singulto emorragico, grido apocalittico: Ah! quelle horreur que ces temps-là! quelles méthodes! quelle pédagogie!. Diretto discendente di Nietzsche, Caraco, sulla scia della concezione escatologica di Spengler e di Lukács, intraprende nei suoi saggi filosofici un progetto di annientamento della Storia. Nel tentativo di demolizione di tutte le certezze permane un ideale di ricostruzione: così Caraco diventa profeta, che è come il depositario della contingenza e della speranza. Egli si scaglia contro la società aspirando, contemporaneamente, alla realizzazione di una società migliore. Distruzione, dunque, in nome della ricostruzione, della palingenesi: En attendant l’Apocalypse […] je prophétise le déclin […] l’agonie préludant à la renaissance. Apocalisse in Caraco non ha, quindi, un significato del tutto negativo; rivela, sì, un sentimento panico di paura, ma anche una speranza in præsentia. Questo immanente sentimento palingenetico tipico delle sue opere filosofiche, lenti e sofferti works in progress, in cui più viva e marcata è l’analisi del mondo, scivola, accentuandosi, nelle opere autobiografiche ed intime. L’acme di questa evoluzione è pienamente ravvisabile nelle pagine del Post Mortem (1963), scritto ultimo dedicato al ricordo della Signora Madre. Avvolto anch’esso nella danza di sentimenti, in cui «ogni pagina si stende come una fossile foglia, fragile e pietrosa» e intriso di un’aura che ha «del liturgico, della nenia funebre, della cantilena, della litania e della danza», lo scritto si fa lentamente opera del pensiero, libro di un’evoluzione e di un’elevazione, libro di purificazione. Vero e proprio canto dell’anima, ascrivibile più delle altre alla categoria dello spirito, l’opera, che segna la fine di una stagione agonizzante, sembra offrire a Caraco la possibilità del riscatto, la ratio ultima per poter recuperare, nel regno della Memoria, la poesia rubata della sua esistenza. E solo attraverso questo riscatto spirituale, Caraco può pervenire ad una forma di rigenerazione. Eppure già nei suoi ultimi scritti campeggiano, sparsi qua e là, momenti epifanici, orme di riflessione che domineranno poi, incontrastati, il Post Mortem, telos sovrano di una vita che pretende la rigenerazione degli elementi puri, non cristallizzati, vale a dire, la rigenerazione del (dis-) ordine e della (dis-) armonia universali.
2013
9788891036216
madre; apocalisse; rinascita
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Albert Caraco: la signora madre e la dimora ritrovata / DI DOMENICO, Stefano. - (2013), pp. 0-77.
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