In Hypercontextuality, American architect Michael Herrman identifies a psychological-social phenomenon through which architecture interconnects distant, past, and imagined contexts, profoundly altering the way spaces have been perceived, inhabited, and built since the mid-twentieth century. Through a fascinating journey across Europe's cities, through its airports, and inside its neighborhoods, this book weaves together an exploration of works of architecture that have eradicated the postmodern concept of contextuality to reveal an increasingly hypercontextual world.

Il volume Hypercontextuality è il risultato dello studio che Michael Herrman ha svolto nell’ultimo decennio attraverso l’analisi e la comparazione dei fenomeni sociali e culturali che caratterizzano i paesi europei e le condizioni umane ed esistenziali di chi li vive ed attraversa con lo sguardo rivolto al concetto di spazio ed all’interpretazione dello spazio – in una parola: all’architettura. Il titolo dell’opera è già esemplificativo del concetto che l’accompagna: Ipercontestualità, ovvero tutto ciò che intercorre tra un contesto urbano, sociale, culturale e la sua trasposizione a simbolo, a concetto, a stato d’animo. L’autore ha aggiunto come sottotitolo ‘l’architettura dello spostamento e del senza-luogo’ lasciando già intuire che affronta nell’opera una diversa idea di architettura e di spazio urbano, rivolta verso il non-statico, il non-ieratico: come il mondo contemporaneo mira alla fluidità, alla interconnessione tra gli uomini attraverso la comunicazione, la migrazione, il turismo o il commercio, così lo spazio viene letto ed interpretato dall’autore in maniera cinetica e diacronica. Herrman, nell’affrontare e delineare la natura dell’architettura contemporanea, parte da alcune premesse fondamentali. Innanzitutto l’idea di ‘spazio urbano’, per cui le capitali europee contemporanee sono diventate la base di osservazione preferita e predeterminata per l’analisi portata avanti nel libro. L’Europa come continente, come immaginario collettivo, risulta essere una sorta di universo parallelo per la simbologia e la concettualità che ha trasmesso nel tempo. Le stesse città europee diventano allora un’atmosfera, un sogno ricorrente che gli abitanti, i migranti o i turisti ritrovano di volta in volta diversi, in base alle motivazioni o alle finalità che li spingono a vivere ed interpretare i tessuti urbani che attraversano. Altro concetto fondamentale è quello che potremmo definire di ‘tempo urbano’, ovvero di una diversa percezione del tempo e della sua cineticità dovuta alla società contemporanea ed ai suoi ritmi di vita. Il tempo urbano è un tempo legato alla città e per la città: è un tempo velocissimo, che connette diverse culture e realtà geografiche o storiche con una fruizione immediata, per cui l’architettura è chiamata a rispondere in maniera fotografica. Ecco allora sorgere luoghi urbani temporanei, chiese o moschee negli aeroporti, festival nei mercati rionali, o finti monumenti nei luoghi di divertimento. Tutto all’insegna dell’immediatezza, della quasi completa fusione/fissione del Sé e dell’Altro, dell’Intimo e del Pubblico. Le persone possono pregare, commerciare, studiare, divertirsi o parlare a distanze ravvicinate in uno spazio caratterizzato solo da una diversa concettualizzazione della sua funzione sociale. Il sociale ed il personale si fondono allora all’insegna della velocità, del tempo urbano, dell’architettura-al-limite. Da una base concettuale di spazio e tempo urbanizzati e assolutizzati quasi verso il non-spazio e il non-tempo, l’autore mette in atto tutta una seria di approfondimenti che uniscono l’esperienza personale a una metodologia innovativa. Herrman ha utilizzato la propria abilità nel con-fondersi integralmente con i luoghi e le culture in cui è vissuto con una notevole apertura metodologica: da architetto e da americano si è di volta in volta trasformato in sociologo, geografo, storico, urbanista, perfino in statistico, cambiando – per così dire – lingua e nazionalità in base al punto di osservazione in cui si è trovato. Alla fine tra l’autore e la sua opera non c’è più distinzione netta. La fusione tra tutte queste discipline, tra tutti i luoghi osservati e vissuti dall’autore e la loro diversità diventa allora un tessuto cangiante, multicolore, completamente disteso all’umanità dell’architettura ed all’architettura dell’umanità. Tutto in quest’opera diventa fonte di riflessione e punto di osservazione: le immagini, i dettagli artistici, i riferimenti filosofici, storici, epistemologici, le radici semantiche, il carattere laico o religioso dei luoghi e delle loro rappresentazioni. Con quest’opera l’architettura non è più vista come una disciplina dello spazio secondo parametri culturali o locali, ma come una assolutizzazione dell’esperienza esistenziale di ogni uomo verso una liberalizzazione dello spazio e del tempo secondo emozioni momentanee, istintive e irrazionali. L’uomo vive di questi ipercontesti perché in sé stesso è un ipercontesto. Come ogni essere umano, al di là della razza, della lingua o della cultura, presenta diverse esigenze, memorie, traumi, affetti e sogni, così l’architettura del XXI secolo sembra superare i limiti della fissità e della staticità per aprirsi ad una diversa interpretazione della realtà, fatta di molteplici significati, di innumerevoli simboli e di profonde emotività.

Hypercontextuality. The architecture of displacement and placelessness / DAL PASSO, Fabrizio; Michael, Herrman. - (2009).

Hypercontextuality. The architecture of displacement and placelessness

FABRIZIO DAL PASSO
Secondo
Project Administration
;
2009

Abstract

In Hypercontextuality, American architect Michael Herrman identifies a psychological-social phenomenon through which architecture interconnects distant, past, and imagined contexts, profoundly altering the way spaces have been perceived, inhabited, and built since the mid-twentieth century. Through a fascinating journey across Europe's cities, through its airports, and inside its neighborhoods, this book weaves together an exploration of works of architecture that have eradicated the postmodern concept of contextuality to reveal an increasingly hypercontextual world.
2009
Il volume Hypercontextuality è il risultato dello studio che Michael Herrman ha svolto nell’ultimo decennio attraverso l’analisi e la comparazione dei fenomeni sociali e culturali che caratterizzano i paesi europei e le condizioni umane ed esistenziali di chi li vive ed attraversa con lo sguardo rivolto al concetto di spazio ed all’interpretazione dello spazio – in una parola: all’architettura. Il titolo dell’opera è già esemplificativo del concetto che l’accompagna: Ipercontestualità, ovvero tutto ciò che intercorre tra un contesto urbano, sociale, culturale e la sua trasposizione a simbolo, a concetto, a stato d’animo. L’autore ha aggiunto come sottotitolo ‘l’architettura dello spostamento e del senza-luogo’ lasciando già intuire che affronta nell’opera una diversa idea di architettura e di spazio urbano, rivolta verso il non-statico, il non-ieratico: come il mondo contemporaneo mira alla fluidità, alla interconnessione tra gli uomini attraverso la comunicazione, la migrazione, il turismo o il commercio, così lo spazio viene letto ed interpretato dall’autore in maniera cinetica e diacronica. Herrman, nell’affrontare e delineare la natura dell’architettura contemporanea, parte da alcune premesse fondamentali. Innanzitutto l’idea di ‘spazio urbano’, per cui le capitali europee contemporanee sono diventate la base di osservazione preferita e predeterminata per l’analisi portata avanti nel libro. L’Europa come continente, come immaginario collettivo, risulta essere una sorta di universo parallelo per la simbologia e la concettualità che ha trasmesso nel tempo. Le stesse città europee diventano allora un’atmosfera, un sogno ricorrente che gli abitanti, i migranti o i turisti ritrovano di volta in volta diversi, in base alle motivazioni o alle finalità che li spingono a vivere ed interpretare i tessuti urbani che attraversano. Altro concetto fondamentale è quello che potremmo definire di ‘tempo urbano’, ovvero di una diversa percezione del tempo e della sua cineticità dovuta alla società contemporanea ed ai suoi ritmi di vita. Il tempo urbano è un tempo legato alla città e per la città: è un tempo velocissimo, che connette diverse culture e realtà geografiche o storiche con una fruizione immediata, per cui l’architettura è chiamata a rispondere in maniera fotografica. Ecco allora sorgere luoghi urbani temporanei, chiese o moschee negli aeroporti, festival nei mercati rionali, o finti monumenti nei luoghi di divertimento. Tutto all’insegna dell’immediatezza, della quasi completa fusione/fissione del Sé e dell’Altro, dell’Intimo e del Pubblico. Le persone possono pregare, commerciare, studiare, divertirsi o parlare a distanze ravvicinate in uno spazio caratterizzato solo da una diversa concettualizzazione della sua funzione sociale. Il sociale ed il personale si fondono allora all’insegna della velocità, del tempo urbano, dell’architettura-al-limite. Da una base concettuale di spazio e tempo urbanizzati e assolutizzati quasi verso il non-spazio e il non-tempo, l’autore mette in atto tutta una seria di approfondimenti che uniscono l’esperienza personale a una metodologia innovativa. Herrman ha utilizzato la propria abilità nel con-fondersi integralmente con i luoghi e le culture in cui è vissuto con una notevole apertura metodologica: da architetto e da americano si è di volta in volta trasformato in sociologo, geografo, storico, urbanista, perfino in statistico, cambiando – per così dire – lingua e nazionalità in base al punto di osservazione in cui si è trovato. Alla fine tra l’autore e la sua opera non c’è più distinzione netta. La fusione tra tutte queste discipline, tra tutti i luoghi osservati e vissuti dall’autore e la loro diversità diventa allora un tessuto cangiante, multicolore, completamente disteso all’umanità dell’architettura ed all’architettura dell’umanità. Tutto in quest’opera diventa fonte di riflessione e punto di osservazione: le immagini, i dettagli artistici, i riferimenti filosofici, storici, epistemologici, le radici semantiche, il carattere laico o religioso dei luoghi e delle loro rappresentazioni. Con quest’opera l’architettura non è più vista come una disciplina dello spazio secondo parametri culturali o locali, ma come una assolutizzazione dell’esperienza esistenziale di ogni uomo verso una liberalizzazione dello spazio e del tempo secondo emozioni momentanee, istintive e irrazionali. L’uomo vive di questi ipercontesti perché in sé stesso è un ipercontesto. Come ogni essere umano, al di là della razza, della lingua o della cultura, presenta diverse esigenze, memorie, traumi, affetti e sogni, così l’architettura del XXI secolo sembra superare i limiti della fissità e della staticità per aprirsi ad una diversa interpretazione della realtà, fatta di molteplici significati, di innumerevoli simboli e di profonde emotività.
ARCHITECTURE; MIGRATION; HYPERCONTEXTUALITY; HISTORY; URBAN HISTORY
DAL PASSO, Fabrizio; Michael, Herrman
06 Curatela::06a Curatela
Hypercontextuality. The architecture of displacement and placelessness / DAL PASSO, Fabrizio; Michael, Herrman. - (2009).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1216593
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