Il saggio propone un focus di approfondimento sull’analisi sociologica, a carattere teorico ed empirico, che ha avuto per oggetto il gruppo ebraico e l’antisemitismo che ha caratterizzato la vita degli ebrei in tutto il corso del ‘900. Dalla ricostruzione del contributo della Sociologia all’analisi della rappresentazione sociale del gruppo ebraico emerge anzitutto come essa sia caratterizzata da una trama coerente, integrata e ambivalente di tratti ritenuti tipici, dall’invasività alla tendenza all’esclusivismo, dalla separatezza al tentativo di dominio, dalla marginalità alla preminenza nel campo intellettuale, dalla deprivazione economica alla detenzione del potere economico e finanziario. Questi tratti della rappresentazione degli ebrei, sono presenti fin dall’inizio del ‘900, sia all’interno della Sociologia tedesca (Sombart, 1911; tr. it., 1980; 1916; tr. it., 1967) sia nella Sociologia nord-americana (Ross, 1914), anche se si intrecciano ad analisi assai più realistiche e sistematiche (Thomas (Park, Miller), 1921; tr.it., 1997; Wirth, 1928; tr.it., 1968) o a riflessioni di grande spessore teorico che si avvalgono di un forma espressiva a tratti letteraria (Veblen, 1919). Nel contesto della Sociologia nord-americana di inizio ‘900, il gruppo ebraico venne analizzato all’interno del caleidoscopio di gruppi etnici giunti negli USA a seguito della grande migrazione di fine ‘800 inizi ‘900, ma esso si caratterizzava per tratti distintivi unici che non consentivano di riferirlo ad un “normale” processo di integrazione, come nel caso di tutti gli altri gruppi migranti: gli ebrei erano un “particolare gruppo di migranti”, contraddistinti da un forte senso di appartenenza religiosa e culturale fondata sulle vicende storiche del gruppo a partire dai molteplici contesti e rafforzata dall’esperienza umana del ghetto, volontario e coatto. Tutto ciò delineava i contorni di una società autonoma alla quale non erano appplicabili le tradizionali fasi del processo di “assimilazione” all’interno della società americana. Se la rappresentazione del gruppo ebraico costituisce il tema centrale della Sociologia nei primi decenni del ‘900, l’analisi sociologica si concentra a partire dagli anni ’30 sul pregiudizio antiebarico e sull’antisemitismo che avevano caratterizzato la storia lungo molti secoli e che avevano assunto forme di violenza estrema con l’internazionalizzazione del fascismo e l’avvento del nazionalsocialismo in Germania. La rappresentazione degli ebrei diveniva parte di un contesto politico e ideologico che, avvalendosi di immagini sempre più aggressive e negative, prefiguravano forme di discriminazione e persecuzione sempre più violente che già presagivano un vero e proprio processo di sterminio. Con l’avvento dei regimi autoritari di massa in Europa, le scienze sociali, e la Sociologia in particolare, concentrarono la loro attenzione sui fattori scatenanti l’antisemitismo in una prospettiva storica e con riferimento specifico all’analisi della struttura sociale. Tra il 1938 e il 1945, Parsons elaborò alcune analisi relative al contesto storico in cui si era affermato in Germania il nazionalsocialismo, considerato come esito estremo e deviante della modernizzazione. I saggi si caratterizzano per una robusta analisi storica, sociologica e politica del pregiudizio antiebraico e delle forme moderne che esso aveva assunto negli anni della guerra, nello stesso tempo determinate ma saldamente legate alla storia del gruppo ebraico e alla persistente ostilità che ha accompagnato la sua presenza nel mondo gentile (Parsons, 1938; 1942a, 1942b; 1942c; 1942d). La riflessione di Parsons non è isolata nel contesto delle scienze sociali nord-americane. L’esplosione dell’antisemitismo in Europa, i drammatici eventi bellici, la graduale consapevolezza del più orribile crimine dell’età moderna contro l’umanità che si stava realizzando in Germania e in altri territori europei, mobilitò l’impegno di tutte le scienze sociali nella prospettiva di analisi e decodifica di avvenimenti che erano lontani da ogni capacità di previsione e che materializzavano la Shoah in tutta la sua portata per la condizione umana. Nel 1941 il Council for Democracy promosse una rilevazione tramite questionario sui temi dell’antisemitismo. La pubblicazione che derivò da quella esperienza, (Council for Democracy, 1941) sintetizza i risultati della rilevazione che coinvolse 25 eminenti studiosi ebrei e non ebrei tra i quali, lo psicologo sociale Floyd Allport, l’antropologa Mead, i sociologi Graeber, Parsons, Riesman, Wirth, gli esponenti della Scuola di Francoforte Horkheimer, Adorno, Neumann, le cui analisi sono state recentemente rese disponibili da una ricerca archivistica di Bendersky (2010). Nell’anno successivo venne pubblicato il volume curato da Graeber e Britt, The Jews in a Gentile World (1942) in cui, oltre al saggio di Parsons The Modern Antisemitism, compaiono altri interventi di storici, sociologi, psicologi sociali che si inoltrano nell’analisi dell’ antisemitismo secondo le diverse prospettive disciplinari. L’ampliamento degli studi sul tema dell’antisemitismo si rafforzerà negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, con un chiaro orientamento interdisciplinare. La prospettiva congiunta a carattere sociologico, socio-psicologico e psicoanalitico nell’analisi dell’antisemitismo è presente nella riflessione di Horkheimer e Adorno (1944-47; tr.it., 1966), caratterizza la ricerca pubblicata nel 1949 The Authoritarian Personality (Adorno, Frenkel-Bruswick, Levinson, Nevitt Sanford, 1949) ed è riproposta, con una accentuazione degli aspetti sociologici, da Bettelheim e Janowitz (1950). Lo svelamento dell’orrore della Shoah, ha indirizzato gradualmente verso un approfondimento delle cause storiche e sociologiche che avevano reso possibile il tentativo di sterminio di interi popoli e gruppi umani (ebrei, rom e sinti, disabili, omosessuali, testimoni di Geova, dissidenti politici) nell’apatia e nell’indifferenza della maggior parte della popolazione (E.C. Hughes, 1948 (1963); Moore jr, 1979; tr.it., 1983), un approfondimento delle condizioni della modernizzazione che avevano reso “tecnicamente” possibile lo sterminio di milioni di persone attraverso la routinizzazione e la burocratizzazione delle diverse fasi implicate nella filiera del genocidio (Katz, 1982; 1993), dell’organizzazione dei campi di sterminio e delle relazioni vigenti tra internati e carnefici e, tra gli stessi internati (Pawełczyńska, 1973; en.tr., 1979), dei fattori sociologici alla base del diseguale tributo di vittime nei diversi Stati dell’Europa (Fein, 1979). A Bauman si deve l’analisi più sistematica della Shoah, in una prospettiva storica e sociologica, in Modernity and Holocaust (1989; tr.it., 2010). Nell’analisi di Bauman, essa deve essere ricondotta ad aspetti costitutivi della modernità, all’efficienza tecnologica e burocratica come base imprescindibile del tentativo di sterminio di un intero popolo. La Shoah, sostiene Bauman, non rappresenta soltanto un episodio estremo della storia millenaria dell’antisemitismo né può essere considerata come una deviazione del processo di civilizzazione moderna riconducibile, per di più, alla sola Germania e alle caratteristiche specifiche del nazismo e del popolo tedesco. La Shoah è profondamente legata alla logica interna della modernità occidentale e del processo di civilizzazione, con una convergenza con la prospettiva di analisi di Elias (2001).

La Sociologia e l'antisemitismo moderno / Cipollini, Roberta. - STAMPA. - (2018), pp. 235-308.

La Sociologia e l'antisemitismo moderno

Roberta Cipollini
Primo
Conceptualization
2018

Abstract

Il saggio propone un focus di approfondimento sull’analisi sociologica, a carattere teorico ed empirico, che ha avuto per oggetto il gruppo ebraico e l’antisemitismo che ha caratterizzato la vita degli ebrei in tutto il corso del ‘900. Dalla ricostruzione del contributo della Sociologia all’analisi della rappresentazione sociale del gruppo ebraico emerge anzitutto come essa sia caratterizzata da una trama coerente, integrata e ambivalente di tratti ritenuti tipici, dall’invasività alla tendenza all’esclusivismo, dalla separatezza al tentativo di dominio, dalla marginalità alla preminenza nel campo intellettuale, dalla deprivazione economica alla detenzione del potere economico e finanziario. Questi tratti della rappresentazione degli ebrei, sono presenti fin dall’inizio del ‘900, sia all’interno della Sociologia tedesca (Sombart, 1911; tr. it., 1980; 1916; tr. it., 1967) sia nella Sociologia nord-americana (Ross, 1914), anche se si intrecciano ad analisi assai più realistiche e sistematiche (Thomas (Park, Miller), 1921; tr.it., 1997; Wirth, 1928; tr.it., 1968) o a riflessioni di grande spessore teorico che si avvalgono di un forma espressiva a tratti letteraria (Veblen, 1919). Nel contesto della Sociologia nord-americana di inizio ‘900, il gruppo ebraico venne analizzato all’interno del caleidoscopio di gruppi etnici giunti negli USA a seguito della grande migrazione di fine ‘800 inizi ‘900, ma esso si caratterizzava per tratti distintivi unici che non consentivano di riferirlo ad un “normale” processo di integrazione, come nel caso di tutti gli altri gruppi migranti: gli ebrei erano un “particolare gruppo di migranti”, contraddistinti da un forte senso di appartenenza religiosa e culturale fondata sulle vicende storiche del gruppo a partire dai molteplici contesti e rafforzata dall’esperienza umana del ghetto, volontario e coatto. Tutto ciò delineava i contorni di una società autonoma alla quale non erano appplicabili le tradizionali fasi del processo di “assimilazione” all’interno della società americana. Se la rappresentazione del gruppo ebraico costituisce il tema centrale della Sociologia nei primi decenni del ‘900, l’analisi sociologica si concentra a partire dagli anni ’30 sul pregiudizio antiebarico e sull’antisemitismo che avevano caratterizzato la storia lungo molti secoli e che avevano assunto forme di violenza estrema con l’internazionalizzazione del fascismo e l’avvento del nazionalsocialismo in Germania. La rappresentazione degli ebrei diveniva parte di un contesto politico e ideologico che, avvalendosi di immagini sempre più aggressive e negative, prefiguravano forme di discriminazione e persecuzione sempre più violente che già presagivano un vero e proprio processo di sterminio. Con l’avvento dei regimi autoritari di massa in Europa, le scienze sociali, e la Sociologia in particolare, concentrarono la loro attenzione sui fattori scatenanti l’antisemitismo in una prospettiva storica e con riferimento specifico all’analisi della struttura sociale. Tra il 1938 e il 1945, Parsons elaborò alcune analisi relative al contesto storico in cui si era affermato in Germania il nazionalsocialismo, considerato come esito estremo e deviante della modernizzazione. I saggi si caratterizzano per una robusta analisi storica, sociologica e politica del pregiudizio antiebraico e delle forme moderne che esso aveva assunto negli anni della guerra, nello stesso tempo determinate ma saldamente legate alla storia del gruppo ebraico e alla persistente ostilità che ha accompagnato la sua presenza nel mondo gentile (Parsons, 1938; 1942a, 1942b; 1942c; 1942d). La riflessione di Parsons non è isolata nel contesto delle scienze sociali nord-americane. L’esplosione dell’antisemitismo in Europa, i drammatici eventi bellici, la graduale consapevolezza del più orribile crimine dell’età moderna contro l’umanità che si stava realizzando in Germania e in altri territori europei, mobilitò l’impegno di tutte le scienze sociali nella prospettiva di analisi e decodifica di avvenimenti che erano lontani da ogni capacità di previsione e che materializzavano la Shoah in tutta la sua portata per la condizione umana. Nel 1941 il Council for Democracy promosse una rilevazione tramite questionario sui temi dell’antisemitismo. La pubblicazione che derivò da quella esperienza, (Council for Democracy, 1941) sintetizza i risultati della rilevazione che coinvolse 25 eminenti studiosi ebrei e non ebrei tra i quali, lo psicologo sociale Floyd Allport, l’antropologa Mead, i sociologi Graeber, Parsons, Riesman, Wirth, gli esponenti della Scuola di Francoforte Horkheimer, Adorno, Neumann, le cui analisi sono state recentemente rese disponibili da una ricerca archivistica di Bendersky (2010). Nell’anno successivo venne pubblicato il volume curato da Graeber e Britt, The Jews in a Gentile World (1942) in cui, oltre al saggio di Parsons The Modern Antisemitism, compaiono altri interventi di storici, sociologi, psicologi sociali che si inoltrano nell’analisi dell’ antisemitismo secondo le diverse prospettive disciplinari. L’ampliamento degli studi sul tema dell’antisemitismo si rafforzerà negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, con un chiaro orientamento interdisciplinare. La prospettiva congiunta a carattere sociologico, socio-psicologico e psicoanalitico nell’analisi dell’antisemitismo è presente nella riflessione di Horkheimer e Adorno (1944-47; tr.it., 1966), caratterizza la ricerca pubblicata nel 1949 The Authoritarian Personality (Adorno, Frenkel-Bruswick, Levinson, Nevitt Sanford, 1949) ed è riproposta, con una accentuazione degli aspetti sociologici, da Bettelheim e Janowitz (1950). Lo svelamento dell’orrore della Shoah, ha indirizzato gradualmente verso un approfondimento delle cause storiche e sociologiche che avevano reso possibile il tentativo di sterminio di interi popoli e gruppi umani (ebrei, rom e sinti, disabili, omosessuali, testimoni di Geova, dissidenti politici) nell’apatia e nell’indifferenza della maggior parte della popolazione (E.C. Hughes, 1948 (1963); Moore jr, 1979; tr.it., 1983), un approfondimento delle condizioni della modernizzazione che avevano reso “tecnicamente” possibile lo sterminio di milioni di persone attraverso la routinizzazione e la burocratizzazione delle diverse fasi implicate nella filiera del genocidio (Katz, 1982; 1993), dell’organizzazione dei campi di sterminio e delle relazioni vigenti tra internati e carnefici e, tra gli stessi internati (Pawełczyńska, 1973; en.tr., 1979), dei fattori sociologici alla base del diseguale tributo di vittime nei diversi Stati dell’Europa (Fein, 1979). A Bauman si deve l’analisi più sistematica della Shoah, in una prospettiva storica e sociologica, in Modernity and Holocaust (1989; tr.it., 2010). Nell’analisi di Bauman, essa deve essere ricondotta ad aspetti costitutivi della modernità, all’efficienza tecnologica e burocratica come base imprescindibile del tentativo di sterminio di un intero popolo. La Shoah, sostiene Bauman, non rappresenta soltanto un episodio estremo della storia millenaria dell’antisemitismo né può essere considerata come una deviazione del processo di civilizzazione moderna riconducibile, per di più, alla sola Germania e alle caratteristiche specifiche del nazismo e del popolo tedesco. La Shoah è profondamente legata alla logica interna della modernità occidentale e del processo di civilizzazione, con una convergenza con la prospettiva di analisi di Elias (2001).
2018
Straniero. Percorsi di analisi in sociologia
978-88-255-1803-0
storia del pensiero sociologico; rappresentazioni sociali; antisemitismo;
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
La Sociologia e l'antisemitismo moderno / Cipollini, Roberta. - STAMPA. - (2018), pp. 235-308.
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