La pochezza della mappa, definita da un geografo come Farinelli, un modello “miserabile” della realtà (poiché “sacrifica” ogni cosa pur di dare una sola informazione), corrisponde proprio all’insufficienza della dimensione unicamente rappresentativa, o spaziale. Secondo Farinelli, il Mediterraneo rappresenta da sempre una enorme contraddizione, riscontrabile anche oggi nel contesto sociale, geopolitico e nella gestione dei processi migratori. La contraddizione è dovuta ad un semplice fatto: lo spazio è un’invenzione mediterranea (poi largamente esportata), ma nel mediterraneo lo spazio - isotopico, razionale e centralizzato - non c’è mai stato. Il Mediterraneo è proprio il contrario di questo tipo di spazio su cui gli Stati hanno costruito la propria immagine e la mappa delle relazioni tra i popoli. E’ uno spazio in cui coesistono zone franche, città stato, zone di continuità, regole speciali, unità politiche piccole, economie “immateriali”. Il Mediterraneo è un “diaframma” tra l’interno e l’esterno, tra ciò che separa i popoli - come le identità nazionali o le realtà produttive locali - e ciò che invece li accomuna, ovvero lo scambio. In molti studi recenti, si parla della globalizzazione come un fenomeno non contemporaneo, ma endemico ad un modello che si è originato proprio nel Mediterraneo. Un modello irriducibile alle logiche stataliste che ancora oggi cercano di governare il territorio attraverso l’irrigidimento dei confini e delle separazioni. Il Mediterraneo smentisce programmaticamente una visione politica fondata sulle identità nazionali. Gli incontri che ho fatto in questi anni, lavorando sul dialogo tra le persone migranti e le comunità locali, attraverso pratiche artistiche partecipative, sono stati quasi sempre caratterizzati dalla raccolta di memorie, narrazioni e testimonianze di chi il Mediterraneo lo ha vissuto, attraversato, o di chi non lo aveva mai visto prima di intraprendere il proprio viaggio verso l’Europa. Credo che ciò che abbiate vissuto in questa esperienza palermitana sia una condizione molto particolare: voi, mediterranei per eccellenza, avete iniziato a lavorare a Palermo, uno dei luoghi in cui questa condizione di eterogeneità è più visibile e presente tutt’oggi, insieme ad un gruppo di persone dalle provenienze diverse, cui non avete chiesto di raccontarsi biograficamente. La narrazione, nella vostra proposta, non è legata alla testimonianza diretta, ma ad una sorta di filo che attraversa voi stessi e il gruppo, intessendo un discorso. Questo filo è ciò che avete scelto di intrecciare, con una delicatezza e responsabilità interiore che mi piacerebbe sottolineare. Vi chiedo anche io dunque qualcosa sul narrare e il narrarsi. Le persone con cui avete sviluppato questo percorso non hanno necessariamente condiviso il Mediterraneo, non sempre lo hanno vissuto, non sempre sentono di farne parte. Siamo tutti noi il Mediterraneo, in un qui e ora storico e simultaneo. Come si va in cerca delle origini, noi torniamo sempre a questo non spazio di appartenenza, da cui prende avvio ogni necessaria ricerca di connessioni.
Terra di me. Conversazione tra Daria Filardo, Costanza Meli e Bianco Valente / Polizzi, Agata; Meli, GIOVANNA COSTANZA; Filardo, Daria; Valente, Bianco; Pepe, Lucia. - (2018), pp. 25-37.
Terra di me. Conversazione tra Daria Filardo, Costanza Meli e Bianco Valente
Giovanna Costanza Meli;Lucia Pepe
2018
Abstract
La pochezza della mappa, definita da un geografo come Farinelli, un modello “miserabile” della realtà (poiché “sacrifica” ogni cosa pur di dare una sola informazione), corrisponde proprio all’insufficienza della dimensione unicamente rappresentativa, o spaziale. Secondo Farinelli, il Mediterraneo rappresenta da sempre una enorme contraddizione, riscontrabile anche oggi nel contesto sociale, geopolitico e nella gestione dei processi migratori. La contraddizione è dovuta ad un semplice fatto: lo spazio è un’invenzione mediterranea (poi largamente esportata), ma nel mediterraneo lo spazio - isotopico, razionale e centralizzato - non c’è mai stato. Il Mediterraneo è proprio il contrario di questo tipo di spazio su cui gli Stati hanno costruito la propria immagine e la mappa delle relazioni tra i popoli. E’ uno spazio in cui coesistono zone franche, città stato, zone di continuità, regole speciali, unità politiche piccole, economie “immateriali”. Il Mediterraneo è un “diaframma” tra l’interno e l’esterno, tra ciò che separa i popoli - come le identità nazionali o le realtà produttive locali - e ciò che invece li accomuna, ovvero lo scambio. In molti studi recenti, si parla della globalizzazione come un fenomeno non contemporaneo, ma endemico ad un modello che si è originato proprio nel Mediterraneo. Un modello irriducibile alle logiche stataliste che ancora oggi cercano di governare il territorio attraverso l’irrigidimento dei confini e delle separazioni. Il Mediterraneo smentisce programmaticamente una visione politica fondata sulle identità nazionali. Gli incontri che ho fatto in questi anni, lavorando sul dialogo tra le persone migranti e le comunità locali, attraverso pratiche artistiche partecipative, sono stati quasi sempre caratterizzati dalla raccolta di memorie, narrazioni e testimonianze di chi il Mediterraneo lo ha vissuto, attraversato, o di chi non lo aveva mai visto prima di intraprendere il proprio viaggio verso l’Europa. Credo che ciò che abbiate vissuto in questa esperienza palermitana sia una condizione molto particolare: voi, mediterranei per eccellenza, avete iniziato a lavorare a Palermo, uno dei luoghi in cui questa condizione di eterogeneità è più visibile e presente tutt’oggi, insieme ad un gruppo di persone dalle provenienze diverse, cui non avete chiesto di raccontarsi biograficamente. La narrazione, nella vostra proposta, non è legata alla testimonianza diretta, ma ad una sorta di filo che attraversa voi stessi e il gruppo, intessendo un discorso. Questo filo è ciò che avete scelto di intrecciare, con una delicatezza e responsabilità interiore che mi piacerebbe sottolineare. Vi chiedo anche io dunque qualcosa sul narrare e il narrarsi. Le persone con cui avete sviluppato questo percorso non hanno necessariamente condiviso il Mediterraneo, non sempre lo hanno vissuto, non sempre sentono di farne parte. Siamo tutti noi il Mediterraneo, in un qui e ora storico e simultaneo. Come si va in cerca delle origini, noi torniamo sempre a questo non spazio di appartenenza, da cui prende avvio ogni necessaria ricerca di connessioni.File | Dimensione | Formato | |
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