I quattro saggi che qui si presentano hanno una storia. I giovani studiosi che ne sono autori hanno partecipato nel 2008 a una ricerca collettanea su "Gerusalemme. Una città vista dai giovani", promossa, attraverso il prof. Alberto Prestininzi, dalla Fondazione Frammartino, in memoria di Angelo Frammartino, ucciso a Gerusalemme il 10 agosto 2006, mentre passeggiava per strada insieme ai suoi compagni che lo avevano accompagnato in un viaggio che doveva essere all'insegna dell'incontro. Gerusalemme. Una città vista dai giovani (Roma 2009) è il volumetto che riassume il lavoro fatto da 15 giovani laureati, appartenenti a aree disciplinari diverse. Lo spirito dell'iniziativa era presente a tutti i collaboratori. Se una morte tragica e immotivata è sempre un atto di barbarie, quella, assurda, di Angelo lo è stata in maniera particolare. La risposta della famiglia e degli amici ha voluto essere antitetica alla logica dell'impossibilità del confronto e del dialogo. Rifiutando di accettare la mancanza di senso del dramma, di questo dramma, lo hanno fatto segno di un rifiuto della rassegnazione e, conseguentemente, di una volontà di futuro ancorata al reale, quindi non ideologica. Si sono, dunque, promosse una serie di ricerche, in campo sia umanistico sia scientifico-tecnologico, che individuassero ipotesi di confronto e di collaborazione funzionali a una cultura della pace, meglio di giuste paci. In una ricerca di questa natura, che ha come oggetto problematiche tipiche di un contesto connotato da conflitti che appaiono insieme irragionevoli e insanabili, il ricercatore sa che corre il rischio di vedere il suo lavoro qualificato o come utopico o come di parte, in nome di un malinteso e sviante concetto di che cosa significhi essere 'bypartisan'. Quanto si viene dicendo, vale in particolare quando a essere in causa è Gerusalemme, su cui è caduta la scelta dei promotori: non soltanto una realtà particolarmente dura, ma simbolo del conflitto israelo-palestinese che, a sua volta, è paradigma di ogni conflitto che appare, nel momento che stiamo vivendo, incomprensibile e insuperabile. L'iniziativa da cui si è partiti non si è esaurita. I ricercatori che hanno lavorato al progetto - e di cui sono stata tutor - vale a dire gli autori degli studi che qui si presentano, hanno continuato a lavorare su Gerusalemme, vuoi approfondendo il tema che avevano scelto vuoi optando per nuove problematiche, ma sempre nel rispetto dell'etica sottesa al progetto iniziale. Questa è la genesi del 'nostro' libro. E' un libro che vorrebbe coniugare conoscenze specialistiche e una corretta divulgazione, non improvvisata e tanto meno omologabile a quella serie di luoghi comuni che oggi affliggono i mass media, soprattutto quando ad essere in causa è il Vicino Oriente e in particolare l'islam. Per essere più precisi, esso si propone come un possibile strumento 'per saperne di più'. L'esigenza di una informazione corretta - vale a dire che dia conto, con cognizione di causa, dei fatti come delle inevitabilmente discordi interpretazioni dei medesimi - appare, se possibile, ancor più necessaria alla luce di quel fenomeno, denominato 'primavera araba', che ha recentemente coinvolto un crescente numero di paesi arabi musulmani. A prescindere, meglio a latere, delle ricadute di un simile 'risveglio' da parte araba sugli assetti mediorientali, politici e non solo, impossibili da pronosticare nel momento in cui si consegna questo lavoro alle stampe, è inevitabile che esse non incidano anche sul conflitto israelo-palestinese. E ciò soprattutto se si tiene conto dello stallo, a tutt'oggi, dei cosiddetti negoziati di pace tra le due parti. In questa prospettiva, si potrebbe dire che l'obiettivo centrale dei lavori qui raccolti sia quello di fornire informazioni bibliografiche vuoi, ovviamente, in funzione della collocazione disciplinare e metodologica dei contributi proposti, vuoi come chiave di lettura di ciò che rappresenta, in termini generali, la 'questione Gerusalemme' nell'ambito del conflitto. E', dunque, una scelta precisa quella di aprire il volume con un saggio di 'bibliografia ragionata', per così dire generalista, sul tema Gerusalemme e di considerare parte integrante di ognuno degli altri tre saggi la ricca bibliografia che li conclude. Una simile scelta ci è parsa quella più idonea a dar conto, con onestà, del nostro approccio al tema, così come dell'audacia di fare oggetto di ricerca Gerusalemme, su cui si sono versati fiumi di inchiostro tanto da domandarsi se ci sia, davvero, qualche cosa di nuovo da dire. Parto dall'approccio. Gerusalemme, lo scenario del dramma che, come si è detto, ci ha messo insieme, è un caso insieme emblematico e a sé stante. Gerusalemme non rappresenta né tutto Israele né tutta la Palestina. Ci sono luoghi in Israele (Nazareth) in cui il conflitto può apparire più lontano che non a Gerusalemme e, viceversa, luoghi 'palestinesi' (Gaza) in cui la repressione contro i palestinesi è più vistosa e feroce che non a Gerusalemme. Analogamente, se ci si ferma ad alcune constatazioni storiche, valide ieri come oggi, nel contesto della regione Gerusalemme non ha una specifica valenza strategica o economica. Non è una semplice coincidenza il fatto che nei momenti in cui il Vicino Oriente è stato in pace, Gerusalemme non ne sia stata la capitale. Infatti, la storia delle vicende che hanno coinvolto o hanno visto Gerusalemme protagonista non è che una parte della storia della città. Affianca e si intreccia alla storia evenemenziale un'altra storia, quella della Gerusalemme-simbolo, ove, se si guarda alla funzione che tale storia sottende, la città può, quasi indifferentemente, essere 'reale' o 'fantasticata', dal momento che fonda, in ogni caso, un immaginario collettivo e offre materiale per costruire un senso identitario rivendicato da chiunque, culturalmente, vale a dire non necessariamente in termini confessionali, sia stato segnato da uno dei tre monoteismi abramitici. Ciò si è dato in maniera diversa, ma ugualmente significativa, nel tempo e nei diversi contesti; sempre da ciò si è partiti per costruire il bagaglio ideologico cui attingere quando la regione è diventata, per un motivo o per un altro, oggetto di interessi concreti a legittimare, con una sorta di marchio di sacralità, guerre e occupazioni. E' per questo che, ogniqualvolta la regione è stata obiettivo di conquista o pedina in uno scacchiere più ampio, possedere Gerusalemme è apparso essenziale all'invasore, anche quando in senso proprio, cioè territoriale, non poteva vantare, come nel caso odierno, rapporti storici, continuativi e vitali con il territorio della città. In maniera speculare, Gerusalemme è 'luogo' assolutamente irrinunciabile alla vittima dell'invasione. Quindi, Gerusalemme, qui in senso proprio, continua a funzionare da simbolo dentro e fuori la Terra Santa: oggi con un elemento in più rispetto al passato. Il simbolo si è caricato anche della valenza di 'paradigma' dei conflitti moderni. Gerusalemme non rappresenta, per esempio, soltanto il dramma che la accomuna ad altre 'città divise'; così come non è solo un tassello di un conflitto regionale, come superficialmente potrebbe etichettarsi quello israelo-palestinese. Esso è la dimostrazione della persistenza di barriere ideologiche, di irriducibile negazione dell'altro, cioè di quanto, dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale, sembrava non doversi/potersi più ripetere. E' in gioco l'uso della storia e il peso della memoria. Ci coinvolge tutti, senza possibilità di sottrazione. Vincere o perdere la battaglia della pace a Gerusalemme determinerà il nostro modo di essere, o non essere, cittadini di un mondo civile. Di qui la ragione più vera per occuparsi di Gerusalemme, nonostante sembri che tutto (o quasi) sia già stato detto. Serve reiterare la testimonianza, intesa come il dovere di ri-trasmettere, attualizzandoli, 'saperi', a cui affidare 'valori', in particolare quello di farsi carico delle inevitabili responsabilità che implica qualunque percorso teso a scoprire di che cosa sia composta la realtà, oggetto del nostro studio, per poterla poi dire in termini di verità. Ovviamente, la verità, qualunque verità, non può mai essere considerata assoluta o definitiva. Si tratta sempre e comunque di un percorso. Il percorso è fatto di tappe, è costellato di dubbi, i risultati sono sempre parziali. Quello che va mantenuto fermo è il principio che deve informare il percorso di cui è parte essenziale la certezza che la conoscenza, se perseguita con onestà, non è mai solo teorica, è/deve essere stimolo e spinta ad agire per incidere là dove siamo chiamati a testimoniare del nostro lavoro. E - cosa scontata - la bontà del nostro lavoro di studiosi dell'area vicino-orientale si misura, non solo ma anche, sulla documentata conoscenza del lavoro altrui nei termini espressi poco sopra. Con questa premessa, che non esclude la mia assunzione di responsabilità in merito alla 'parzialità' del prodotto, nel doppio registro della presa di posizione e della non esaustività dei singoli contributi (ma non del risultato scientifico che non può che competere agli autori) posso presentare i lavori che compongono questo volume. Matteo Marconi è un geografo politico. Le fonti e le opere critiche su cui si basa, come è tradizione nel suo settore di studi, sono in lingue occidentali, con netta prevalenza dell'inglese. Elisabetta Benigni e Delia Salemi hanno alle spalle una compiuta formazione arabistica e islamistica. Ciò le porta, ognuna nel suo settore di ricerca, ad attingere come fonti primarie alla produzione in arabo, e a operare un costante raffronto tra queste fonti e la letteratura critica in lingue occidentali: cosa che aiuta a colmare, almeno in piccola parte, l'obiettivo squilibrio tra quanto è in circolazione e, dunque, accessibile a un pubblico genericamente non specialistico o a chi, a partire dagli studenti, intende avvicinarsi allo studio della questione israelo-palestinese. Come si è già detto, il primo saggio, a firma di Delia Salemi, è una Guida ragionata di una bibliografia su Gerusalemme. L'esplicitazione dei criteri selettivi sta in apertura del lavoro e viene ripresa nelle note conclusive, motivando le ragioni di una scelta che, a prima vista può apparire incongrua, là dove il saggio si pone non solo come cornice dei contributi che seguono ma anche come una sorta di indice delle tematiche da considerare, oggi, indispensabili, in vista di una adeguata conoscenza della 'questione Gerusalemme'. Lo spoglio bibliografico, le notizie sugli autori e sulle istituzioni che promuovono la ricerca su Gerusalemme costituiscono di per sé un contributo di alta divulgazione. Porre l'accento su questioni, apparentemente poco pertinenti, quanto meno a livello accademico - come è, per esempio, il turismo - spinge a uscire, in termini disciplinari dagli 'orti conclusi' e, nel contempo, mette a nudo la possibilità di veicolare precise valenze ideologiche attraverso canali apparentemente neutri e innocui. Quello che l'autrice non denuncia è la sua conoscenza della bibliografia in arabo sulla questione e, sia pure in misura decisamente minore, quella 'israeliana' a consumo interno. Questa conoscenza - che non sfugge solo a un occhio particolarmente attento alle schede dedicate a riviste e autori palestinesi o più in generale arabi - costituisce, nei fatti, lo zoccolo duro del lavoro e la garanzia della sua validità. Segue il contributo di Matteo Marconi: L'israelizzazione di Gerusalemme: politica e strategie per la "Città del domani"? L'autore propone una ricostruzione della storia delle trasformazioni urbanistiche e socio-antropologiche di Gerusalemme, con particolare riferimento al periodo post1967, quando la città viene, come si suol dire 'riunificata', vale a dire quando si completa il controllo israeliano sull'intera città, con l'annessione di Gerusalemme Est al settore occidentale in mano di Israele fin dal 1948. Sebbene io non abbia competenze specifiche in merito, mi pare evidente che tale storia viene dettagliatamente ripercorsa, con dovizia di particolari: cosa che le carte inserite nel lavoro documentano insieme, appunto, alla bibliografia che chiude il contributo. Tuttavia la cifra del discorso non è soltanto, o prevalentemente, quella di evidenziare la valenza geo-strategica dell'operazione israeliana quanto quella di proporre letture più sofisticate dei concetti di stato-nazione-sovranità e delle motivazioni che sottendono l'israelizzazione a tappeto della città. Tra queste, quella più intrigante - e, certamente, meno scontata di quanto non sia una qualunque analisi di ordine strategico - che il nostro 'politologo' mette in campo consiste nell'individuazione di una sottesa finalità messianica-apocalittica al progetto di 'israelizzazione' della città. Obiettivamente, se così fosse, la chiave di lettura dell'intero progetto israeliano per e su Gerusalemme andrebbe decodificato in maniera per l’appunto più sofisticata. E, a pensarci bene, una simile lettura darebbe coerenza a operazioni che, al momento, appaiono fuori dalla stessa logica con cui vengono legittimate. La nota che segue, Fede e istituzioni religiose a Gerusalemme: qualche osservazione, è ancora a firma di Delia Salemi. L'autrice, sia pure a volo d'uccello, mette sul tappeto alcuni elementi che da un lato integrano il saggio precedente, dall'altro giustamente fanno risaltare un aspetto ineludibile quando è in causa Gerusalemme, vale a dire la presenza istituzionale nella città delle tre confessioni religiose, a loro volta declinate in una pluralità di realtà. Ovviamente, la presenza islamica fa la parte del leone, almeno in termini propositivi. Viene analizzata, ancora a volo d'uccello, un'istituzione 'classica' dell'islam: il waqf, sorta di manomorta, che sancisce l'inalienabilità di un bene, soprattutto immobile - case, campi, frutteti, oliveti, ecc. - in funzione benefica. Quello che viene messo in evidenza è come tale istituzione possa essere utilizzata quale strumento di contenimento della depalestinizzazione della città operata dallo stato di Israele. Uno spunto di riflessione importante in sé, come è evidente, ma che, tangenzialmente, invita a considerare in termini meno ideologici e più concreti 'l'uso' e la funzione della religione delle parti in causa. Tale uso ha un risvolto, solo accennato nella nota, nel composito sistema giuridico cui le diverse confessioni - non è questione esclusivamente islamica - fanno riferimento; analisi che, a fine percorso, porrebbe sotto altra luce il senso da attribuire alla laicità dello stato di Israele. Il corposo saggio di Elisabetta Benigni, Il realismo immaginario di Gerusalemme è dedicato alle rappresentazioni della città nella letteratura araba. Il discorso di ricognizione delle immagini letterarie è diacronico ed è, opportunamente, punteggiato da citazioni testuali. L'obiettivo che l'autrice si propone è duplice. Uno è immediato: stimolare la lettura di romanzi arabi e israeliani, da qualche anno ormai, accessibili anche in lingua italiana. Il secondo è più ambizioso. L'autrice si propone di evidenziare precise dinamiche ideologiche che sottendono la scelta di determinati moduli letterari a preferenza di altri, in una linea ora di continuità, ora di rottura. Acquista, in questa prospettiva, una specifica importanza la carrellata di rappresentazioni di Gerusalemme da parte di autori e testi 'medievali' arabi, poco o per nulla noti al pubblico. Di qui, acquista una valenza speciale l'analisi della produzione araba su Gerusalemme sotto l'influenza della 'immagine' della città proposta a partire dal Settecento dai letterati e viaggiatori europei. Un po' come dire che il saggio può essere letto anche come ricostruzione di un segmento importante del 'percorso' di acculturazione vissuto dall'intellettualità araba a partire dal Settecento ad oggi. Una acculturazione, quella avvenuta in ambito letterario che, a sua volta, determina slittamenti di senso dei concetti di appartenenza e di identità in terra d'islam. In questa prospettiva, l'analisi della rappresentazione di Gerusalemme dimostra quella emblematicità di cui si è detto. Emblematicità che viene esaltata, e nel contempo riportata alla concretezza della città Gerusalemme, nella disamina della sua 'immagine' nella letteratura dal 1948 ad oggi, in un'ottica comparativa con la produzione israeliana coeva. Un'ultima informazione. Si è lasciata libertà di scelta agli autori in merito all'uso delle maiuscole, dei corsivi e anche della trascrizione, e ciò perché sul significato e l'uso delle maiuscole non c'è stato consenso; viceversa, la disomogeneità delle fonti ha, obiettivamente, comportato la necessità di rispettarle. L'impaginazione del testo è stata curata da Matteo Marconi che desidero ringraziare perché ha fatto crollare il prezzo del volume. Infine, un grazie particolare a Angelo Arioli che ha accettato questo lavoro nella collana da lui diretta.
Studi su Gerusalemme / Marconi, Matteo; Salemi, Delia; Benigni, Elisabetta. - STAMPA. - (2012), pp. 1-348.
Studi su Gerusalemme
Matteo Marconi
;Delia Salemi
;Elisabetta Benigni
2012
Abstract
I quattro saggi che qui si presentano hanno una storia. I giovani studiosi che ne sono autori hanno partecipato nel 2008 a una ricerca collettanea su "Gerusalemme. Una città vista dai giovani", promossa, attraverso il prof. Alberto Prestininzi, dalla Fondazione Frammartino, in memoria di Angelo Frammartino, ucciso a Gerusalemme il 10 agosto 2006, mentre passeggiava per strada insieme ai suoi compagni che lo avevano accompagnato in un viaggio che doveva essere all'insegna dell'incontro. Gerusalemme. Una città vista dai giovani (Roma 2009) è il volumetto che riassume il lavoro fatto da 15 giovani laureati, appartenenti a aree disciplinari diverse. Lo spirito dell'iniziativa era presente a tutti i collaboratori. Se una morte tragica e immotivata è sempre un atto di barbarie, quella, assurda, di Angelo lo è stata in maniera particolare. La risposta della famiglia e degli amici ha voluto essere antitetica alla logica dell'impossibilità del confronto e del dialogo. Rifiutando di accettare la mancanza di senso del dramma, di questo dramma, lo hanno fatto segno di un rifiuto della rassegnazione e, conseguentemente, di una volontà di futuro ancorata al reale, quindi non ideologica. Si sono, dunque, promosse una serie di ricerche, in campo sia umanistico sia scientifico-tecnologico, che individuassero ipotesi di confronto e di collaborazione funzionali a una cultura della pace, meglio di giuste paci. In una ricerca di questa natura, che ha come oggetto problematiche tipiche di un contesto connotato da conflitti che appaiono insieme irragionevoli e insanabili, il ricercatore sa che corre il rischio di vedere il suo lavoro qualificato o come utopico o come di parte, in nome di un malinteso e sviante concetto di che cosa significhi essere 'bypartisan'. Quanto si viene dicendo, vale in particolare quando a essere in causa è Gerusalemme, su cui è caduta la scelta dei promotori: non soltanto una realtà particolarmente dura, ma simbolo del conflitto israelo-palestinese che, a sua volta, è paradigma di ogni conflitto che appare, nel momento che stiamo vivendo, incomprensibile e insuperabile. L'iniziativa da cui si è partiti non si è esaurita. I ricercatori che hanno lavorato al progetto - e di cui sono stata tutor - vale a dire gli autori degli studi che qui si presentano, hanno continuato a lavorare su Gerusalemme, vuoi approfondendo il tema che avevano scelto vuoi optando per nuove problematiche, ma sempre nel rispetto dell'etica sottesa al progetto iniziale. Questa è la genesi del 'nostro' libro. E' un libro che vorrebbe coniugare conoscenze specialistiche e una corretta divulgazione, non improvvisata e tanto meno omologabile a quella serie di luoghi comuni che oggi affliggono i mass media, soprattutto quando ad essere in causa è il Vicino Oriente e in particolare l'islam. Per essere più precisi, esso si propone come un possibile strumento 'per saperne di più'. L'esigenza di una informazione corretta - vale a dire che dia conto, con cognizione di causa, dei fatti come delle inevitabilmente discordi interpretazioni dei medesimi - appare, se possibile, ancor più necessaria alla luce di quel fenomeno, denominato 'primavera araba', che ha recentemente coinvolto un crescente numero di paesi arabi musulmani. A prescindere, meglio a latere, delle ricadute di un simile 'risveglio' da parte araba sugli assetti mediorientali, politici e non solo, impossibili da pronosticare nel momento in cui si consegna questo lavoro alle stampe, è inevitabile che esse non incidano anche sul conflitto israelo-palestinese. E ciò soprattutto se si tiene conto dello stallo, a tutt'oggi, dei cosiddetti negoziati di pace tra le due parti. In questa prospettiva, si potrebbe dire che l'obiettivo centrale dei lavori qui raccolti sia quello di fornire informazioni bibliografiche vuoi, ovviamente, in funzione della collocazione disciplinare e metodologica dei contributi proposti, vuoi come chiave di lettura di ciò che rappresenta, in termini generali, la 'questione Gerusalemme' nell'ambito del conflitto. E', dunque, una scelta precisa quella di aprire il volume con un saggio di 'bibliografia ragionata', per così dire generalista, sul tema Gerusalemme e di considerare parte integrante di ognuno degli altri tre saggi la ricca bibliografia che li conclude. Una simile scelta ci è parsa quella più idonea a dar conto, con onestà, del nostro approccio al tema, così come dell'audacia di fare oggetto di ricerca Gerusalemme, su cui si sono versati fiumi di inchiostro tanto da domandarsi se ci sia, davvero, qualche cosa di nuovo da dire. Parto dall'approccio. Gerusalemme, lo scenario del dramma che, come si è detto, ci ha messo insieme, è un caso insieme emblematico e a sé stante. Gerusalemme non rappresenta né tutto Israele né tutta la Palestina. Ci sono luoghi in Israele (Nazareth) in cui il conflitto può apparire più lontano che non a Gerusalemme e, viceversa, luoghi 'palestinesi' (Gaza) in cui la repressione contro i palestinesi è più vistosa e feroce che non a Gerusalemme. Analogamente, se ci si ferma ad alcune constatazioni storiche, valide ieri come oggi, nel contesto della regione Gerusalemme non ha una specifica valenza strategica o economica. Non è una semplice coincidenza il fatto che nei momenti in cui il Vicino Oriente è stato in pace, Gerusalemme non ne sia stata la capitale. Infatti, la storia delle vicende che hanno coinvolto o hanno visto Gerusalemme protagonista non è che una parte della storia della città. Affianca e si intreccia alla storia evenemenziale un'altra storia, quella della Gerusalemme-simbolo, ove, se si guarda alla funzione che tale storia sottende, la città può, quasi indifferentemente, essere 'reale' o 'fantasticata', dal momento che fonda, in ogni caso, un immaginario collettivo e offre materiale per costruire un senso identitario rivendicato da chiunque, culturalmente, vale a dire non necessariamente in termini confessionali, sia stato segnato da uno dei tre monoteismi abramitici. Ciò si è dato in maniera diversa, ma ugualmente significativa, nel tempo e nei diversi contesti; sempre da ciò si è partiti per costruire il bagaglio ideologico cui attingere quando la regione è diventata, per un motivo o per un altro, oggetto di interessi concreti a legittimare, con una sorta di marchio di sacralità, guerre e occupazioni. E' per questo che, ogniqualvolta la regione è stata obiettivo di conquista o pedina in uno scacchiere più ampio, possedere Gerusalemme è apparso essenziale all'invasore, anche quando in senso proprio, cioè territoriale, non poteva vantare, come nel caso odierno, rapporti storici, continuativi e vitali con il territorio della città. In maniera speculare, Gerusalemme è 'luogo' assolutamente irrinunciabile alla vittima dell'invasione. Quindi, Gerusalemme, qui in senso proprio, continua a funzionare da simbolo dentro e fuori la Terra Santa: oggi con un elemento in più rispetto al passato. Il simbolo si è caricato anche della valenza di 'paradigma' dei conflitti moderni. Gerusalemme non rappresenta, per esempio, soltanto il dramma che la accomuna ad altre 'città divise'; così come non è solo un tassello di un conflitto regionale, come superficialmente potrebbe etichettarsi quello israelo-palestinese. Esso è la dimostrazione della persistenza di barriere ideologiche, di irriducibile negazione dell'altro, cioè di quanto, dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale, sembrava non doversi/potersi più ripetere. E' in gioco l'uso della storia e il peso della memoria. Ci coinvolge tutti, senza possibilità di sottrazione. Vincere o perdere la battaglia della pace a Gerusalemme determinerà il nostro modo di essere, o non essere, cittadini di un mondo civile. Di qui la ragione più vera per occuparsi di Gerusalemme, nonostante sembri che tutto (o quasi) sia già stato detto. Serve reiterare la testimonianza, intesa come il dovere di ri-trasmettere, attualizzandoli, 'saperi', a cui affidare 'valori', in particolare quello di farsi carico delle inevitabili responsabilità che implica qualunque percorso teso a scoprire di che cosa sia composta la realtà, oggetto del nostro studio, per poterla poi dire in termini di verità. Ovviamente, la verità, qualunque verità, non può mai essere considerata assoluta o definitiva. Si tratta sempre e comunque di un percorso. Il percorso è fatto di tappe, è costellato di dubbi, i risultati sono sempre parziali. Quello che va mantenuto fermo è il principio che deve informare il percorso di cui è parte essenziale la certezza che la conoscenza, se perseguita con onestà, non è mai solo teorica, è/deve essere stimolo e spinta ad agire per incidere là dove siamo chiamati a testimoniare del nostro lavoro. E - cosa scontata - la bontà del nostro lavoro di studiosi dell'area vicino-orientale si misura, non solo ma anche, sulla documentata conoscenza del lavoro altrui nei termini espressi poco sopra. Con questa premessa, che non esclude la mia assunzione di responsabilità in merito alla 'parzialità' del prodotto, nel doppio registro della presa di posizione e della non esaustività dei singoli contributi (ma non del risultato scientifico che non può che competere agli autori) posso presentare i lavori che compongono questo volume. Matteo Marconi è un geografo politico. Le fonti e le opere critiche su cui si basa, come è tradizione nel suo settore di studi, sono in lingue occidentali, con netta prevalenza dell'inglese. Elisabetta Benigni e Delia Salemi hanno alle spalle una compiuta formazione arabistica e islamistica. Ciò le porta, ognuna nel suo settore di ricerca, ad attingere come fonti primarie alla produzione in arabo, e a operare un costante raffronto tra queste fonti e la letteratura critica in lingue occidentali: cosa che aiuta a colmare, almeno in piccola parte, l'obiettivo squilibrio tra quanto è in circolazione e, dunque, accessibile a un pubblico genericamente non specialistico o a chi, a partire dagli studenti, intende avvicinarsi allo studio della questione israelo-palestinese. Come si è già detto, il primo saggio, a firma di Delia Salemi, è una Guida ragionata di una bibliografia su Gerusalemme. L'esplicitazione dei criteri selettivi sta in apertura del lavoro e viene ripresa nelle note conclusive, motivando le ragioni di una scelta che, a prima vista può apparire incongrua, là dove il saggio si pone non solo come cornice dei contributi che seguono ma anche come una sorta di indice delle tematiche da considerare, oggi, indispensabili, in vista di una adeguata conoscenza della 'questione Gerusalemme'. Lo spoglio bibliografico, le notizie sugli autori e sulle istituzioni che promuovono la ricerca su Gerusalemme costituiscono di per sé un contributo di alta divulgazione. Porre l'accento su questioni, apparentemente poco pertinenti, quanto meno a livello accademico - come è, per esempio, il turismo - spinge a uscire, in termini disciplinari dagli 'orti conclusi' e, nel contempo, mette a nudo la possibilità di veicolare precise valenze ideologiche attraverso canali apparentemente neutri e innocui. Quello che l'autrice non denuncia è la sua conoscenza della bibliografia in arabo sulla questione e, sia pure in misura decisamente minore, quella 'israeliana' a consumo interno. Questa conoscenza - che non sfugge solo a un occhio particolarmente attento alle schede dedicate a riviste e autori palestinesi o più in generale arabi - costituisce, nei fatti, lo zoccolo duro del lavoro e la garanzia della sua validità. Segue il contributo di Matteo Marconi: L'israelizzazione di Gerusalemme: politica e strategie per la "Città del domani"? L'autore propone una ricostruzione della storia delle trasformazioni urbanistiche e socio-antropologiche di Gerusalemme, con particolare riferimento al periodo post1967, quando la città viene, come si suol dire 'riunificata', vale a dire quando si completa il controllo israeliano sull'intera città, con l'annessione di Gerusalemme Est al settore occidentale in mano di Israele fin dal 1948. Sebbene io non abbia competenze specifiche in merito, mi pare evidente che tale storia viene dettagliatamente ripercorsa, con dovizia di particolari: cosa che le carte inserite nel lavoro documentano insieme, appunto, alla bibliografia che chiude il contributo. Tuttavia la cifra del discorso non è soltanto, o prevalentemente, quella di evidenziare la valenza geo-strategica dell'operazione israeliana quanto quella di proporre letture più sofisticate dei concetti di stato-nazione-sovranità e delle motivazioni che sottendono l'israelizzazione a tappeto della città. Tra queste, quella più intrigante - e, certamente, meno scontata di quanto non sia una qualunque analisi di ordine strategico - che il nostro 'politologo' mette in campo consiste nell'individuazione di una sottesa finalità messianica-apocalittica al progetto di 'israelizzazione' della città. Obiettivamente, se così fosse, la chiave di lettura dell'intero progetto israeliano per e su Gerusalemme andrebbe decodificato in maniera per l’appunto più sofisticata. E, a pensarci bene, una simile lettura darebbe coerenza a operazioni che, al momento, appaiono fuori dalla stessa logica con cui vengono legittimate. La nota che segue, Fede e istituzioni religiose a Gerusalemme: qualche osservazione, è ancora a firma di Delia Salemi. L'autrice, sia pure a volo d'uccello, mette sul tappeto alcuni elementi che da un lato integrano il saggio precedente, dall'altro giustamente fanno risaltare un aspetto ineludibile quando è in causa Gerusalemme, vale a dire la presenza istituzionale nella città delle tre confessioni religiose, a loro volta declinate in una pluralità di realtà. Ovviamente, la presenza islamica fa la parte del leone, almeno in termini propositivi. Viene analizzata, ancora a volo d'uccello, un'istituzione 'classica' dell'islam: il waqf, sorta di manomorta, che sancisce l'inalienabilità di un bene, soprattutto immobile - case, campi, frutteti, oliveti, ecc. - in funzione benefica. Quello che viene messo in evidenza è come tale istituzione possa essere utilizzata quale strumento di contenimento della depalestinizzazione della città operata dallo stato di Israele. Uno spunto di riflessione importante in sé, come è evidente, ma che, tangenzialmente, invita a considerare in termini meno ideologici e più concreti 'l'uso' e la funzione della religione delle parti in causa. Tale uso ha un risvolto, solo accennato nella nota, nel composito sistema giuridico cui le diverse confessioni - non è questione esclusivamente islamica - fanno riferimento; analisi che, a fine percorso, porrebbe sotto altra luce il senso da attribuire alla laicità dello stato di Israele. Il corposo saggio di Elisabetta Benigni, Il realismo immaginario di Gerusalemme è dedicato alle rappresentazioni della città nella letteratura araba. Il discorso di ricognizione delle immagini letterarie è diacronico ed è, opportunamente, punteggiato da citazioni testuali. L'obiettivo che l'autrice si propone è duplice. Uno è immediato: stimolare la lettura di romanzi arabi e israeliani, da qualche anno ormai, accessibili anche in lingua italiana. Il secondo è più ambizioso. L'autrice si propone di evidenziare precise dinamiche ideologiche che sottendono la scelta di determinati moduli letterari a preferenza di altri, in una linea ora di continuità, ora di rottura. Acquista, in questa prospettiva, una specifica importanza la carrellata di rappresentazioni di Gerusalemme da parte di autori e testi 'medievali' arabi, poco o per nulla noti al pubblico. Di qui, acquista una valenza speciale l'analisi della produzione araba su Gerusalemme sotto l'influenza della 'immagine' della città proposta a partire dal Settecento dai letterati e viaggiatori europei. Un po' come dire che il saggio può essere letto anche come ricostruzione di un segmento importante del 'percorso' di acculturazione vissuto dall'intellettualità araba a partire dal Settecento ad oggi. Una acculturazione, quella avvenuta in ambito letterario che, a sua volta, determina slittamenti di senso dei concetti di appartenenza e di identità in terra d'islam. In questa prospettiva, l'analisi della rappresentazione di Gerusalemme dimostra quella emblematicità di cui si è detto. Emblematicità che viene esaltata, e nel contempo riportata alla concretezza della città Gerusalemme, nella disamina della sua 'immagine' nella letteratura dal 1948 ad oggi, in un'ottica comparativa con la produzione israeliana coeva. Un'ultima informazione. Si è lasciata libertà di scelta agli autori in merito all'uso delle maiuscole, dei corsivi e anche della trascrizione, e ciò perché sul significato e l'uso delle maiuscole non c'è stato consenso; viceversa, la disomogeneità delle fonti ha, obiettivamente, comportato la necessità di rispettarle. L'impaginazione del testo è stata curata da Matteo Marconi che desidero ringraziare perché ha fatto crollare il prezzo del volume. Infine, un grazie particolare a Angelo Arioli che ha accettato questo lavoro nella collana da lui diretta.File | Dimensione | Formato | |
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