Parlare di architettura o di urbanistica “sociali” è sicuramente molto importante e anche positivo, ma allo stesso tempo problematico e obbliga a definire bene i vari aspetti implicati e i margini entro cui si pone la questione. L’urbanistica, quasi per definizione, o almeno come carattere identitario originario, ha come obiettivo l’interesse pubblico più generale, e quindi anche uno scopo “sociale” se per questo intendiamo che abbia un occhio attento alle esigenze “sociali”, che emergono dalla società. Ma si può dire anche di più. Indubbiamente è condiviso da molta cultura urbanistica e da molti urbanisti l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della società ed in particolare dei suoi componenti; in qualsiasi modo li vogliamo definire, con declinazioni che hanno portati anche differenti: abitanti, cittadini, appartenenti alla polis, appartenenti alla civitas, o semplicemente persone. Si tenga conto che gli abitanti della città non sono tutti uguali, e che quindi già la questione delle disuguaglianze è un problema. Inoltre, in relazione a questo, è importante che molto dipende anche dal punto di vista che si assume e qui si vuole assumere il punto di vista delle periferie, quel “luogo” della città che spesso, nell’immaginario collettivo, viene associato alle parti più degradate e problematiche, in una visione in realtà molto distorta di quel mondo, fatto di cose molto diverse tra loro, e di situazioni (nei casi in cui ci si riferisca ai quartieri dove si concentra il disagio sociale) molto ricche oltre che di problemi anche di potenzialità, risorse, progettualità, iniziative, culture, ecc. (Cellamare, 2016). Pur assumendo, fatto assolutamente non scontato, l’obiettivo di migliorare le condizioni dell’abitare, questo obiettivo è stato lungamente disilluso dall’urbanistica moderna e poi contemporanea. Rimanendo però questo il nostro riferimento bisogna subito chiarire che quando parliamo di architettura o urbanistica “sociali” non dobbiamo intenderle come un’architettura o un’urbanistica “buoniste”, “concessive”; in particolare, da due punti di vista. Non è semplicemente che l’architetto, l’ingegnere, il tecnico in generale, da una parte, e l’amministrazione pubblica, dall’altra, fanno una concessione e condiscono le loro azioni e le loro politiche di attenzione alle esigenze sociali; né che questi soggetti semplicemente ascoltano e raccolgono le sollecitazioni e poi decidono in autonomia, aggiungendo appunto gli aspetti sociali.
Abitare pienamente la città. Protagonisti della polis a partire dalle sue periferie / Cellamare, Carlo. - STAMPA. - (2017), pp. 21-23.
Abitare pienamente la città. Protagonisti della polis a partire dalle sue periferie
carlo cellamare
2017
Abstract
Parlare di architettura o di urbanistica “sociali” è sicuramente molto importante e anche positivo, ma allo stesso tempo problematico e obbliga a definire bene i vari aspetti implicati e i margini entro cui si pone la questione. L’urbanistica, quasi per definizione, o almeno come carattere identitario originario, ha come obiettivo l’interesse pubblico più generale, e quindi anche uno scopo “sociale” se per questo intendiamo che abbia un occhio attento alle esigenze “sociali”, che emergono dalla società. Ma si può dire anche di più. Indubbiamente è condiviso da molta cultura urbanistica e da molti urbanisti l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della società ed in particolare dei suoi componenti; in qualsiasi modo li vogliamo definire, con declinazioni che hanno portati anche differenti: abitanti, cittadini, appartenenti alla polis, appartenenti alla civitas, o semplicemente persone. Si tenga conto che gli abitanti della città non sono tutti uguali, e che quindi già la questione delle disuguaglianze è un problema. Inoltre, in relazione a questo, è importante che molto dipende anche dal punto di vista che si assume e qui si vuole assumere il punto di vista delle periferie, quel “luogo” della città che spesso, nell’immaginario collettivo, viene associato alle parti più degradate e problematiche, in una visione in realtà molto distorta di quel mondo, fatto di cose molto diverse tra loro, e di situazioni (nei casi in cui ci si riferisca ai quartieri dove si concentra il disagio sociale) molto ricche oltre che di problemi anche di potenzialità, risorse, progettualità, iniziative, culture, ecc. (Cellamare, 2016). Pur assumendo, fatto assolutamente non scontato, l’obiettivo di migliorare le condizioni dell’abitare, questo obiettivo è stato lungamente disilluso dall’urbanistica moderna e poi contemporanea. Rimanendo però questo il nostro riferimento bisogna subito chiarire che quando parliamo di architettura o urbanistica “sociali” non dobbiamo intenderle come un’architettura o un’urbanistica “buoniste”, “concessive”; in particolare, da due punti di vista. Non è semplicemente che l’architetto, l’ingegnere, il tecnico in generale, da una parte, e l’amministrazione pubblica, dall’altra, fanno una concessione e condiscono le loro azioni e le loro politiche di attenzione alle esigenze sociali; né che questi soggetti semplicemente ascoltano e raccolgono le sollecitazioni e poi decidono in autonomia, aggiungendo appunto gli aspetti sociali.| File | Dimensione | Formato | |
|---|---|---|---|
|
Cellamare_Abitare-pienamente-città_postprint_2017.pdf
accesso aperto
Tipologia:
Documento in Post-print (versione successiva alla peer review e accettata per la pubblicazione)
Licenza:
Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione
643.08 kB
Formato
Adobe PDF
|
643.08 kB | Adobe PDF | |
|
Cellamare_Abitare-pienamente-città_2017.pdf
solo gestori archivio
Tipologia:
Altro materiale allegato
Licenza:
Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione
1.51 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.51 MB | Adobe PDF | Contatta l'autore |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


