Centrale al presente studio è il tema della mutilazione degli organi genitali femminili (qui indicata con l’acronimo di MGF), altrimenti nota come infibulazione, una pratica radicata nelle tradizioni e culture di alcune popolazioni asiatiche e africane, rimasta immutata per secoli e protetta da grande riservatezza. Tuttavia, dalla fine del secolo scorso, con le migrazioni verso i paesi occidentali, in Europa la questione delle MGF è salita alla ribalta dell’interesse scientifico e medico, soprattutto a causa delle complicanze osservate nelle donne che ne sono portatrici, al tempo stesso generando una problematica clinica abbastanza frequente. Le MGF riguardano tutte le pratiche che comportano la parziale o totale rimozione degli organi genitali femminili esterni per ragioni non mediche. È una pratica che danneggia la salute e il tessuto genitale femminile, causando interferenze con le naturali funzioni dell’organismo della donna. Inoltre è molto dolorosa e ha effetti sulla salute sia a breve che a lungo termine, tra cui sterilità o problemi durante il parto. Rappresenta una pratica pre-islamica, già in uso nell’antico Egitto e radicata prevalentemente in Africa, dal Mediterraneo alla fascia equatoriale. Attualmente le MGF sono praticate principalmente in 28 paesi dell’Africa sub-sahariana e nello Yemen e si ha certezza di casi di MGF in Kurdistan iracheno, Indonesia, Arabia Saudita, Malesia. A seguito delle migrazioni, oggi si riscontrano casi anche in Europa, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che 130 milioni di donne nel mondo, in anni recenti, siano state sottoposte a tali pratiche e che ogni anno circa 3 milioni di bambine siano a rischio. In Italia le donne che hanno ricevuto tale trattamento sono circa settantamila, al 2014. Si tratta di una pratica caratteristica – con diverse varianti – di società a struttura patriarcale condizionate da dinamiche sociali che costringono le famiglie a perpetuare l’usanza sulle loro figlie al fine di non subire sanzioni sociali e giudizi morali. In queste comunità, specialmente quelle più povere, l’onore familiare, l’educazione e il raggiungimento di una determinata condizione sociale sono necessari alla sopravvivenza, e poiché la castità della donna è al centro dello schema sociale, è difficile per le famiglie, e ancor più per le bambine stesse, sottrarsi alla pratica o decidere spontaneamente di rifiutarla. Come la circoncisione maschile, anche le MGF sono vissute e difese come “usanza popolare”, una normale pratica igienico-religioso-tradizionale. Così, ad esempio, da molti americani di origine islamica o ebraica, la pratica della circoncisione è ritenuta “normale” nei maschi, mentre l’infibulazione, a causa delle possibili gravi complicanze cliniche è giudicata e condannata dall’opinione pubblica occidentale. L’OMS definisce le MGF “…una violazione dei diritti fondamentali delle donne e delle bambine, perché ledono il loro diritto alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica, il diritto a essere libere dalla tortura e da trattamenti crudeli, disumani o degradanti; e anche lo stesso diritto alla vita, qualora la procedura conduca a morte, (16). Tale pratica ha natura discriminatoria e assegna alle bambine e alle donne una posizione di subordinazione all’interno della famiglia e della società tribale” (17). Questa prospettiva trova mille espressioni di rigetto, in Europa come negli Stati Uniti, dove la radice di questa impossibilità ad accettare tali pratiche si può far risalire al discorso di Theodor Roosevelt sullo Stato dell’Unione del 6 gennaio 1941, nel quale il Presidente degli Stati Uniti enunciava la famosa dottrina “delle quattro libertà”: la libertà di parola e di espressione, la libertà di culto, la libertà dal bisogno e quella dalla paura. Per quanto riguarda il presente lavoro, la libertà dalla paura significa adoperarsi per creare un mondo non solo più giusto, ma anche libero dal fardello di rituali antichi, spesso dolorosi e penalizzanti, dei quali sovente – come nel caso delle mutilazioni genitali – sono le donne a pagare il prezzo più alto.
Mutilazioni genital femminili. Tradizione, diffusione, complicanze, trattamenti / Chiaretti, Massimo; Carru, Giovanna Angela. - STAMPA. - (2018), pp. 1-173.
Mutilazioni genital femminili. Tradizione, diffusione, complicanze, trattamenti
Massimo Chiaretti
Conceptualization
;Giovanna Angela CarruWriting – Original Draft Preparation
2018
Abstract
Centrale al presente studio è il tema della mutilazione degli organi genitali femminili (qui indicata con l’acronimo di MGF), altrimenti nota come infibulazione, una pratica radicata nelle tradizioni e culture di alcune popolazioni asiatiche e africane, rimasta immutata per secoli e protetta da grande riservatezza. Tuttavia, dalla fine del secolo scorso, con le migrazioni verso i paesi occidentali, in Europa la questione delle MGF è salita alla ribalta dell’interesse scientifico e medico, soprattutto a causa delle complicanze osservate nelle donne che ne sono portatrici, al tempo stesso generando una problematica clinica abbastanza frequente. Le MGF riguardano tutte le pratiche che comportano la parziale o totale rimozione degli organi genitali femminili esterni per ragioni non mediche. È una pratica che danneggia la salute e il tessuto genitale femminile, causando interferenze con le naturali funzioni dell’organismo della donna. Inoltre è molto dolorosa e ha effetti sulla salute sia a breve che a lungo termine, tra cui sterilità o problemi durante il parto. Rappresenta una pratica pre-islamica, già in uso nell’antico Egitto e radicata prevalentemente in Africa, dal Mediterraneo alla fascia equatoriale. Attualmente le MGF sono praticate principalmente in 28 paesi dell’Africa sub-sahariana e nello Yemen e si ha certezza di casi di MGF in Kurdistan iracheno, Indonesia, Arabia Saudita, Malesia. A seguito delle migrazioni, oggi si riscontrano casi anche in Europa, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che 130 milioni di donne nel mondo, in anni recenti, siano state sottoposte a tali pratiche e che ogni anno circa 3 milioni di bambine siano a rischio. In Italia le donne che hanno ricevuto tale trattamento sono circa settantamila, al 2014. Si tratta di una pratica caratteristica – con diverse varianti – di società a struttura patriarcale condizionate da dinamiche sociali che costringono le famiglie a perpetuare l’usanza sulle loro figlie al fine di non subire sanzioni sociali e giudizi morali. In queste comunità, specialmente quelle più povere, l’onore familiare, l’educazione e il raggiungimento di una determinata condizione sociale sono necessari alla sopravvivenza, e poiché la castità della donna è al centro dello schema sociale, è difficile per le famiglie, e ancor più per le bambine stesse, sottrarsi alla pratica o decidere spontaneamente di rifiutarla. Come la circoncisione maschile, anche le MGF sono vissute e difese come “usanza popolare”, una normale pratica igienico-religioso-tradizionale. Così, ad esempio, da molti americani di origine islamica o ebraica, la pratica della circoncisione è ritenuta “normale” nei maschi, mentre l’infibulazione, a causa delle possibili gravi complicanze cliniche è giudicata e condannata dall’opinione pubblica occidentale. L’OMS definisce le MGF “…una violazione dei diritti fondamentali delle donne e delle bambine, perché ledono il loro diritto alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica, il diritto a essere libere dalla tortura e da trattamenti crudeli, disumani o degradanti; e anche lo stesso diritto alla vita, qualora la procedura conduca a morte, (16). Tale pratica ha natura discriminatoria e assegna alle bambine e alle donne una posizione di subordinazione all’interno della famiglia e della società tribale” (17). Questa prospettiva trova mille espressioni di rigetto, in Europa come negli Stati Uniti, dove la radice di questa impossibilità ad accettare tali pratiche si può far risalire al discorso di Theodor Roosevelt sullo Stato dell’Unione del 6 gennaio 1941, nel quale il Presidente degli Stati Uniti enunciava la famosa dottrina “delle quattro libertà”: la libertà di parola e di espressione, la libertà di culto, la libertà dal bisogno e quella dalla paura. Per quanto riguarda il presente lavoro, la libertà dalla paura significa adoperarsi per creare un mondo non solo più giusto, ma anche libero dal fardello di rituali antichi, spesso dolorosi e penalizzanti, dei quali sovente – come nel caso delle mutilazioni genitali – sono le donne a pagare il prezzo più alto.File | Dimensione | Formato | |
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