L’anno 1883 rappresenta uno spartiacque nella storia della cultura italiana. Il 20 febbraio alle 23,40, in Napoli, spirava Bertrando Spaventa, spento – scrisse Giovanni Gentile –, «non si poté dire, se dall’angina pectoris de’ po-dagrosi, o dall’aneurisma, ond’erano morti uno zio e una sorella». Circa dieci mesi dopo, il 29 dicembre, scompariva anche Francesco De Sanctis, lascian-do inconcluse la dettatura delle memorie e la preparazione del volume leo-pardiano, il cui manoscritto venne poi pubblicato, per quello che ne restava, da Raffaele Bonari nel 1885 per l’editore Morano. Se ne andavano i due pro-tagonisti di un’epoca del pensiero italiano, che avevano accompagnato le vi-cende del Risorgimento e del post-Risorgimento, delineando – l’uno con la teoria della «circolazione», l’altro con il grande progetto di una storia lettera-ria – una prima, compiuta autobiografia della nazione, dopo quelle che, spe-cie con il «primato» di Vincenzo Gioberti, avevano forgiato l’animo della rinascita civile; e che avevano, con prospettive diverse ma convergenti, in-trodotto nella nostra cultura il seme della filosofia hegeliana e della sua dia-lettica, pur proponendone, entrambi, intelligenti revisioni o persino «rifor-me», e quindi adattando i caratteri di quel «sistema» alle esigenze del proprio tempo e alle tradizioni del proprio paese. In modo particolare – e questo mi sembra l’aspetto essenziale – entrambi avevano preavvertito la crisi che si avvicinava, quel clima di «fine secolo» che, all’alba del secolo nuovo, avrebbe condotto, a partire dalla Francia, alla reazione contro il positivismo e al disegno di una «rinascita dell’idealismo» che, ben oltre le intenzioni dei promotori, presto sfociò nelle intemperanze di una cultura spesso irrazionale; una «rinascita» che ben poco aveva a che vedere con Hegel e con la dialetti-ca, i cui motivi di razionalità e storicità erano piuttosto trasmigrati – come riconobbe Benedetto Croce in una pagina della Storia d’Italia – nel giovane marxismo o almeno nei suoi più lucidi esponenti: «il risveglio filosofico – scrisse Croce –, che, contro il positivismo soverchiante, i sopravviventi della classica filosofia idealistica avevano invano tentato di promuovere […] si effettuò invece primamente in Italia attraverso il marxismo e il suo materiali-smo storico, il quale, nato dallo hegelismo, ne serbava in sé il concetto fon-damentale della storicità dialettica». Chi rilegga gli ultimi scritti di Spaventa, fino a Esperienza e metafisica e al saggio di critica a Gustav Teichmüller, non tarderà a scorgervi i segni di una rinnovata inquietudine, che nasceva da una meditazione aspra sulle nuove tendenze del darwinismo, del realismo, delle filosofie dell’esperienza. E, in maniera analoga e parallela, la medesima preoccupazione percorse le ultime riflessioni di De Sanctis, dopo la «seconda scuola napoletana», con i saggi critici su La scienza e la vita, su Il principio del realismo, quindi su Zola e sul darwinismo nell’arte. Era chiara, in ambe-due, la crescente consapevolezza, e la grande apprensione, per un’epoca che rapidamente andava chiudendosi, e il desiderio di governarne coraggiosa-mente gli sviluppi, sia sul piano teorico sia su quello delle conseguenze eti-che e civili
Introduzione / Muste', Marcello. - STAMPA. - (2017), pp. 7-16.
Introduzione
MUSTE', MARCELLO
2017
Abstract
L’anno 1883 rappresenta uno spartiacque nella storia della cultura italiana. Il 20 febbraio alle 23,40, in Napoli, spirava Bertrando Spaventa, spento – scrisse Giovanni Gentile –, «non si poté dire, se dall’angina pectoris de’ po-dagrosi, o dall’aneurisma, ond’erano morti uno zio e una sorella». Circa dieci mesi dopo, il 29 dicembre, scompariva anche Francesco De Sanctis, lascian-do inconcluse la dettatura delle memorie e la preparazione del volume leo-pardiano, il cui manoscritto venne poi pubblicato, per quello che ne restava, da Raffaele Bonari nel 1885 per l’editore Morano. Se ne andavano i due pro-tagonisti di un’epoca del pensiero italiano, che avevano accompagnato le vi-cende del Risorgimento e del post-Risorgimento, delineando – l’uno con la teoria della «circolazione», l’altro con il grande progetto di una storia lettera-ria – una prima, compiuta autobiografia della nazione, dopo quelle che, spe-cie con il «primato» di Vincenzo Gioberti, avevano forgiato l’animo della rinascita civile; e che avevano, con prospettive diverse ma convergenti, in-trodotto nella nostra cultura il seme della filosofia hegeliana e della sua dia-lettica, pur proponendone, entrambi, intelligenti revisioni o persino «rifor-me», e quindi adattando i caratteri di quel «sistema» alle esigenze del proprio tempo e alle tradizioni del proprio paese. In modo particolare – e questo mi sembra l’aspetto essenziale – entrambi avevano preavvertito la crisi che si avvicinava, quel clima di «fine secolo» che, all’alba del secolo nuovo, avrebbe condotto, a partire dalla Francia, alla reazione contro il positivismo e al disegno di una «rinascita dell’idealismo» che, ben oltre le intenzioni dei promotori, presto sfociò nelle intemperanze di una cultura spesso irrazionale; una «rinascita» che ben poco aveva a che vedere con Hegel e con la dialetti-ca, i cui motivi di razionalità e storicità erano piuttosto trasmigrati – come riconobbe Benedetto Croce in una pagina della Storia d’Italia – nel giovane marxismo o almeno nei suoi più lucidi esponenti: «il risveglio filosofico – scrisse Croce –, che, contro il positivismo soverchiante, i sopravviventi della classica filosofia idealistica avevano invano tentato di promuovere […] si effettuò invece primamente in Italia attraverso il marxismo e il suo materiali-smo storico, il quale, nato dallo hegelismo, ne serbava in sé il concetto fon-damentale della storicità dialettica». Chi rilegga gli ultimi scritti di Spaventa, fino a Esperienza e metafisica e al saggio di critica a Gustav Teichmüller, non tarderà a scorgervi i segni di una rinnovata inquietudine, che nasceva da una meditazione aspra sulle nuove tendenze del darwinismo, del realismo, delle filosofie dell’esperienza. E, in maniera analoga e parallela, la medesima preoccupazione percorse le ultime riflessioni di De Sanctis, dopo la «seconda scuola napoletana», con i saggi critici su La scienza e la vita, su Il principio del realismo, quindi su Zola e sul darwinismo nell’arte. Era chiara, in ambe-due, la crescente consapevolezza, e la grande apprensione, per un’epoca che rapidamente andava chiudendosi, e il desiderio di governarne coraggiosa-mente gli sviluppi, sia sul piano teorico sia su quello delle conseguenze eti-che e civiliFile | Dimensione | Formato | |
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