Scopo del presente lavoro è offrire uno studio del «giudicato» nel processo amministrativo, l’istituto che, come noto, rappresenta il “punto” di chiusura della vicenda contenziosa e (almeno nelle intenzioni) dovrebbe offrire la “stabilità” agli effetti contenuti all’interno della sentenza, rispetto a futuri giudizi “de eadem re” e alla successiva attività delle parti coinvolte. La ripresa di un tale tema, invero assai complesso, è parsa necessaria per due ordini di ragioni. In primo luogo, l’avvento del nuovo Codice del processo amministrativo ha realizzato una grande rivoluzione nel sistema di tutela delle controversie di diritto pubblico, giacché, grazie ad una nuova “sistematica” di azioni si è cercato di “andare oltre” rispetto al precedente angusto modello di giustizia amministrativa a carattere rigidamente impugnatorio che la dottrina, con grandi sforzi teorici, da tempo cercava di superare onde raggiungere una miglior corrispondenza fra “bisogni di protezione” e “tecniche processuali” corrispondenti. In secondo luogo, perché la giurisprudenza, nazionale e sovranazionale, sempre più si è fatta attenta all’attuazione dei c.d. “valori funzionali” del processo (es. effettività, satisfattività, concentrazione, etc.) che ogni sistema giurisdizionale dovrebbe realizzare e che, conseguentemente, orientano lo studioso verso la lettura del “dato strutturale” secondo scelte interpretative (quando ciò sia possibile) più in linea con la “sostanza” assiologica richiamata. Tuttavia, per procedere con rigore si è ritenuto dapprima sviluppare lo studio del tema secondo un approccio graduale e diacronico al fine di analizzare le principali problematiche e le fondamentali costruzioni dottrinali che hanno interessato il dibattito, per poi presentare la proposta ricostruttiva che si vuole suggerire per un nuovo «giudicato amministrativo» (che definiremo) “a spettanza stabilizzata” nel quadro del nuovo “diritto processuale amministrativo” seguito all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo. Pertanto, dapprima nel Capitolo I si è cercato di offrire alcune “coordinate teoriche” minime di teoria generale del processo al fine di tracciare i confini dell’istituto del «giudicato», specialmente con riguardo alla tradizionale distinzione tra giudicato “in senso formale” e giudicato “in senso sostanziale/materiale”, nonché di perimetrare la distinzione dogmatica tra il concetto di «giudicato» e quello di «efficacia della sentenza» al fine di porre in risalto il proprium della funzione “stabilizzante” del primo. Inoltre, è stato essenziale, per una miglior comprensione delle riflessioni successive, cercare di illustrare i criteri che consentono di comprendere l’ambito di estensione dei c.d. «limiti oggettivi» del giudicato ponendo in risalto il collegamento sussistente tra «criteri identificativi delle azioni», «oggetto del processo» e «oggetto del giudicato», oltre a rappresentare le peculiarità del problema riferibili alle azioni c.d. “costitutive” (specie per l’importanza che riveste l’azione d’annullamento all’interno del processo amministrativo). Dopo aver delineato, dal punto di vista della teoria generale del processo, le categorie dogmatiche funzionali al presente studio, si è iniziato — nel Capitolo II del presente lavoro — a declinare i concetti all’interno del modello di processo che ha corrisposto alle forme di tutela giurisdizionale dinanzi agli organi della giurisdizione amministrativa. Per fare ciò si è optato di partire, storicamente, dal momento della nascita della “giustizia amministrativa”, ossia dall’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, poiché è proprio all’interno del dibattito sulla natura (giurisdizionale o amministrativa) delle nuove funzioni attribuite al Consiglio di Stato che nasce il “problema” del «giudicato amministrativo». In tal modo, presentando al lettore uno “spaccato” del dibattito delle “origini” del sistema di giustizia amministrativa (specialmente, prendendo a modello delle due concezioni contrapposte, le posizioni dei due capiscuola rappresentati dal CAMMEO e dall’ORLANDO) si è cercato di far emergere il “cuore” del problema del «giudicato amministrativo» ed, in particolare, la delicata questione circa il rapporto tra «limiti oggettivi» dello stesso e spazio “libero” di ri-edizione del potere amministrativo post-giudizio. Dopo aver esposto i termini del problema nella loro portata “prima” e semplificata — come può consentire la lettura del dibattito delle origini — è stato quindi possibile procedere, nel Capitolo III, con l’esposizione delle principali “tappe” del percorso teorico che hanno condotto allo sviluppo delle costruzioni teoriche “moderne” ancora presenti nell’odierno dibattito sul giudicato e sull’efficacia della sentenza amministrativa. Al riguardo, nell’esame dei contenuti delle diverse tesi che compongono il panorama dottrinale dell’elaborazione moderna dell’istituto, si è cercato di far emergere i pro e i contra di ciascuna tesi al fine di mettere in rilievo la relatività di ogni posizione e la “non vittoria” di ogni tesi sull’altra così da lasciare sempre aperto il dibattito sul punto. In particolare, si è operata una selezione delle principali costruzioni teoriche per offrire uno “spaccato” il più ampio possibile delle diverse impostazioni di fondo proprie delle diverse correnti dottrinali (più attente alla sola dimensione dell’“atto” o con, maggiori o minori, aperture al c.d. “rapporto amministrativo”). L’esposizione dovrebbe far comprendere, aldilà dei contenuti e delle problematiche principali che interessano il tema in analisi, anche il “limite” invalicabile che la dottrina moderna incontrava nello studio del «giudicato amministrativo», vale a dire il dato “strutturale” povero di azioni e incentrato, essenzialmente, sull’egemonia dell’azione di annullamento. Questa era la ragione che impediva di operare una ricostruzione teorica dell’istituto del «giudicato amministrativo» realmente satisfattiva e stabilizzante (s’intende, rispetto al risultato di acquisizione di un dato “bene della vita”, soprattutto con riguardo ai titolari di posizioni d’interesse legittimo pretensivo), salvo procedere ad alcune eccessive forzature onde non rinunciare comunque agli ambiziosi obiettivi di qualità, vale a dire i valori funzionali del processo. Tuttavia, come si è già appena anticipato, oggi lo scenario pare essere mutato: l’entrata in vigore del nuovo Codice del processo amministrativo consente al sistema di giustizia amministrativa di acquisire un vero “abito” processuale, avvicinandosi sempre più ai modelli realmente processuali (per i quali, il processo civile storicamente funge da metro di paragone) e offrendo un apparato di strumenti di tutela (di azioni) completo e ritagliato sulla fisionomia delle differenti posizioni giuridiche sostanziali che sono nella titolarità dei soggetti ricorrenti. Il “nuovo” dato strutturale rappresenta, dunque, lo sfondo per poter tentare di elaborare una proposta ricostruttiva in tema di «giudicato amministrativo» (quale si è cercata di esporre nel Capitolo IV) al fine di realizzare gli obiettivi di effettività e satisfattività che hanno animato, da sempre, la dottrina nell’affrontare il tema per quanto costretta a scontare un imprescindibile deficit “strutturale” (salvi i generici auspici “de jure condendo”). Si è trattato, dunque, di verificare se sia possibile costruire realmente un «giudicato amministrativo» a c.d. “spettanza stabilizzata” che impedisca alla P.A. di ri-esercitare il potere amministrativo post giudizio chiudendo ogni “alternativa amministrativa” o ogni spazio di libertà che residua dai limiti oggettivi del giudicato stesso per assicurare un acquisto o una conservazione stabile delle utilità inerenti al “bene della vita” sotteso alle diverse posizioni giuridiche che dialogano con il potere amministrativo.

Il giudicato nel nuovo diritto processuale amministrativo / Vaccari, Stefano. - (2017 Feb 21).

Il giudicato nel nuovo diritto processuale amministrativo

VACCARI, STEFANO
21/02/2017

Abstract

Scopo del presente lavoro è offrire uno studio del «giudicato» nel processo amministrativo, l’istituto che, come noto, rappresenta il “punto” di chiusura della vicenda contenziosa e (almeno nelle intenzioni) dovrebbe offrire la “stabilità” agli effetti contenuti all’interno della sentenza, rispetto a futuri giudizi “de eadem re” e alla successiva attività delle parti coinvolte. La ripresa di un tale tema, invero assai complesso, è parsa necessaria per due ordini di ragioni. In primo luogo, l’avvento del nuovo Codice del processo amministrativo ha realizzato una grande rivoluzione nel sistema di tutela delle controversie di diritto pubblico, giacché, grazie ad una nuova “sistematica” di azioni si è cercato di “andare oltre” rispetto al precedente angusto modello di giustizia amministrativa a carattere rigidamente impugnatorio che la dottrina, con grandi sforzi teorici, da tempo cercava di superare onde raggiungere una miglior corrispondenza fra “bisogni di protezione” e “tecniche processuali” corrispondenti. In secondo luogo, perché la giurisprudenza, nazionale e sovranazionale, sempre più si è fatta attenta all’attuazione dei c.d. “valori funzionali” del processo (es. effettività, satisfattività, concentrazione, etc.) che ogni sistema giurisdizionale dovrebbe realizzare e che, conseguentemente, orientano lo studioso verso la lettura del “dato strutturale” secondo scelte interpretative (quando ciò sia possibile) più in linea con la “sostanza” assiologica richiamata. Tuttavia, per procedere con rigore si è ritenuto dapprima sviluppare lo studio del tema secondo un approccio graduale e diacronico al fine di analizzare le principali problematiche e le fondamentali costruzioni dottrinali che hanno interessato il dibattito, per poi presentare la proposta ricostruttiva che si vuole suggerire per un nuovo «giudicato amministrativo» (che definiremo) “a spettanza stabilizzata” nel quadro del nuovo “diritto processuale amministrativo” seguito all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo. Pertanto, dapprima nel Capitolo I si è cercato di offrire alcune “coordinate teoriche” minime di teoria generale del processo al fine di tracciare i confini dell’istituto del «giudicato», specialmente con riguardo alla tradizionale distinzione tra giudicato “in senso formale” e giudicato “in senso sostanziale/materiale”, nonché di perimetrare la distinzione dogmatica tra il concetto di «giudicato» e quello di «efficacia della sentenza» al fine di porre in risalto il proprium della funzione “stabilizzante” del primo. Inoltre, è stato essenziale, per una miglior comprensione delle riflessioni successive, cercare di illustrare i criteri che consentono di comprendere l’ambito di estensione dei c.d. «limiti oggettivi» del giudicato ponendo in risalto il collegamento sussistente tra «criteri identificativi delle azioni», «oggetto del processo» e «oggetto del giudicato», oltre a rappresentare le peculiarità del problema riferibili alle azioni c.d. “costitutive” (specie per l’importanza che riveste l’azione d’annullamento all’interno del processo amministrativo). Dopo aver delineato, dal punto di vista della teoria generale del processo, le categorie dogmatiche funzionali al presente studio, si è iniziato — nel Capitolo II del presente lavoro — a declinare i concetti all’interno del modello di processo che ha corrisposto alle forme di tutela giurisdizionale dinanzi agli organi della giurisdizione amministrativa. Per fare ciò si è optato di partire, storicamente, dal momento della nascita della “giustizia amministrativa”, ossia dall’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, poiché è proprio all’interno del dibattito sulla natura (giurisdizionale o amministrativa) delle nuove funzioni attribuite al Consiglio di Stato che nasce il “problema” del «giudicato amministrativo». In tal modo, presentando al lettore uno “spaccato” del dibattito delle “origini” del sistema di giustizia amministrativa (specialmente, prendendo a modello delle due concezioni contrapposte, le posizioni dei due capiscuola rappresentati dal CAMMEO e dall’ORLANDO) si è cercato di far emergere il “cuore” del problema del «giudicato amministrativo» ed, in particolare, la delicata questione circa il rapporto tra «limiti oggettivi» dello stesso e spazio “libero” di ri-edizione del potere amministrativo post-giudizio. Dopo aver esposto i termini del problema nella loro portata “prima” e semplificata — come può consentire la lettura del dibattito delle origini — è stato quindi possibile procedere, nel Capitolo III, con l’esposizione delle principali “tappe” del percorso teorico che hanno condotto allo sviluppo delle costruzioni teoriche “moderne” ancora presenti nell’odierno dibattito sul giudicato e sull’efficacia della sentenza amministrativa. Al riguardo, nell’esame dei contenuti delle diverse tesi che compongono il panorama dottrinale dell’elaborazione moderna dell’istituto, si è cercato di far emergere i pro e i contra di ciascuna tesi al fine di mettere in rilievo la relatività di ogni posizione e la “non vittoria” di ogni tesi sull’altra così da lasciare sempre aperto il dibattito sul punto. In particolare, si è operata una selezione delle principali costruzioni teoriche per offrire uno “spaccato” il più ampio possibile delle diverse impostazioni di fondo proprie delle diverse correnti dottrinali (più attente alla sola dimensione dell’“atto” o con, maggiori o minori, aperture al c.d. “rapporto amministrativo”). L’esposizione dovrebbe far comprendere, aldilà dei contenuti e delle problematiche principali che interessano il tema in analisi, anche il “limite” invalicabile che la dottrina moderna incontrava nello studio del «giudicato amministrativo», vale a dire il dato “strutturale” povero di azioni e incentrato, essenzialmente, sull’egemonia dell’azione di annullamento. Questa era la ragione che impediva di operare una ricostruzione teorica dell’istituto del «giudicato amministrativo» realmente satisfattiva e stabilizzante (s’intende, rispetto al risultato di acquisizione di un dato “bene della vita”, soprattutto con riguardo ai titolari di posizioni d’interesse legittimo pretensivo), salvo procedere ad alcune eccessive forzature onde non rinunciare comunque agli ambiziosi obiettivi di qualità, vale a dire i valori funzionali del processo. Tuttavia, come si è già appena anticipato, oggi lo scenario pare essere mutato: l’entrata in vigore del nuovo Codice del processo amministrativo consente al sistema di giustizia amministrativa di acquisire un vero “abito” processuale, avvicinandosi sempre più ai modelli realmente processuali (per i quali, il processo civile storicamente funge da metro di paragone) e offrendo un apparato di strumenti di tutela (di azioni) completo e ritagliato sulla fisionomia delle differenti posizioni giuridiche sostanziali che sono nella titolarità dei soggetti ricorrenti. Il “nuovo” dato strutturale rappresenta, dunque, lo sfondo per poter tentare di elaborare una proposta ricostruttiva in tema di «giudicato amministrativo» (quale si è cercata di esporre nel Capitolo IV) al fine di realizzare gli obiettivi di effettività e satisfattività che hanno animato, da sempre, la dottrina nell’affrontare il tema per quanto costretta a scontare un imprescindibile deficit “strutturale” (salvi i generici auspici “de jure condendo”). Si è trattato, dunque, di verificare se sia possibile costruire realmente un «giudicato amministrativo» a c.d. “spettanza stabilizzata” che impedisca alla P.A. di ri-esercitare il potere amministrativo post giudizio chiudendo ogni “alternativa amministrativa” o ogni spazio di libertà che residua dai limiti oggettivi del giudicato stesso per assicurare un acquisto o una conservazione stabile delle utilità inerenti al “bene della vita” sotteso alle diverse posizioni giuridiche che dialogano con il potere amministrativo.
21-feb-2017
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Tesi dottorato Vaccari

Open Access dal 18/11/2020

Note: Tesi dottorato Stefano Vaccari
Tipologia: Tesi di dottorato
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