Il presente contributo indaga le forme organizzative e partecipative alla vita familiare di tre comunità per minori – strutture residenziali per minori allontanati dalla famiglia d’origine. L’ottica applicata, dichiaratamente culturale (Vygotskij, 1990; Cole, 1995; Zucchermaglio, 2002; Mantovani, 2008b), ha permesso di intendere tali contesti come gruppi primari a carattere familiare, creatori di sistemi di significato situati, di pratiche organizzative e di socializzazione. La ricerca si costituisce, infatti, quale contributo complesso ed innovativo ad un tema che è stato principalmente approcciato con le lenti della psicologia clinica. In questa sede, vengono invece restituite alla loro dimensione sociale, culturale e semiotica alcune scene di vita quotidiana dei gruppi osservati attraverso un’approfondita etnografia organizzativa (Bruni, 2003; Mantovani & Spagnolli, 2003), che si è in un secondo momento concentrata sull’analisi di interazioni video-registrate a cena. Il fatto di aver costruito un corpus di dati video-registrati rappresenta uno dei principali punti innovativi del contributo, insieme alla specifica ottica applicata alle comunità. Lo studio ha coinvolto tre comunità per minori romane, scelte insieme alle istituzioni (V° Dipartimento del Comune di Roma e una rilevante associazione del settore) come esempi eccellenti delle principali tipologie di gestione organizzativa: da parte di un’associazione laica di educatori turnanti, con coppia residente e con personale religioso residente. Le comunità, qui denominate Comunità Staff, Comunità Famiglia e Comunità Religiose, hanno aderito alla ricerca in maniera dialogica e partecipativa, permettendo di creare un account di ricerca ‘emico’ (Cfr. Pike, 1974; Zucchermaglio, 2002). Gli obbiettivi della ricerca – che hanno lo scopo finale di contribuire ad un importante processo locale di ampliamento dei criteri di valutazione delle strutture, ora limitati alle sole dimensioni quantitative e regolamentative – vanno nella direzione di indagare le comunità per minori come organizzazioni, gruppi primari e familiari. Come organizzazioni, l’obbiettivo è di restituire una visione situata delle tre comunità per quel che riguarda la stabilità degli adulti e il legame con le pratiche interattive, gli esiti del progetto del ragazzo, il tipo di intervento educativo e il rapporto con l’esterno (in particolare con la famiglia d’origine). Come gruppi primari, l’obbiettivo è di comprendere se le comunità possano costituirsi come thinking spaces (Perret-Clermont, 2004), luoghi di costruzione di argomentazioni discorsive e spazi di sviluppo psico-sociale per minori. La scelta di indagare se e come le comunità ‘fanno famiglia’ nasce dalla considerazione che troppo spesso queste vengono contrapposte ideologicamente alle famiglie (d’origine, affidataria, adottiva). L’obbiettivo è, quindi, di comprendere se esse costruiscono discorsivamente contesti di cura e affetto, discussione, identità, moralità, ecc. A livello metodologico, l’impianto dell’etnografia organizzativa garantisce flessibilità e capacità di investigazione approfondita. Le video-riprese di interazioni a cena hanno permesso di concentrare l’attenzione sulle pratiche discorsive, analizzate con gli strumenti dell’Analisi Conversazionale (Sacks et al., 1974; Sacks, 1992; Fasulo & Pontecorvo, 1999; Fele, 2007). Il contributo si divide, pertanto, in tre sezioni: la prima ripercorre la costruzione dell’impianto teorico della ricerca (Cap. 1-2), la seconda si colloca dentro la ricerca, a partire dall’esposizione metodologica all’analisi dei dati (Cap. 3-6) e la terza ‘situa’ la ricerca al futuro (Cap. 7), mostrando il carattere intrinsecamente dinamico ed evolutivo dell’impresa conoscitiva qui affrontata. Il primo capitolo rappresenta, pertanto, un’organica rassegna del materiale normativo e della letteratura (nazionale ed internazionale) sulle comunità per minori, a partire dalle definizioni, agli obbiettivi, ai principali dati e filoni che si sono interessati al fenomeno. Tale quadro permette, infatti, di comprendere i legami con le ‘vecchie’ pratiche degli istituti per minori qui intesi come ‘istituzioni totali’ (Goffman, 1961). Inoltre, l’analisi critica del materiale ha permesso di far emergere gli specifici problemi di questi contesti, come quello del turnover degli operatori, che inficia la qualità del servizio stesso. Il secondo capitolo espone l’impianto teorico che si rifà principalmente alla psicologia culturale (Cfr. Zucchermaglio, 2002; Mantovani, 2008b) e discorsiva (Edwards & Potter, 1992; Molder & Potter, 2005). Le organizzazioni sono intese nell’accezione di costruzioni situate di senso e di produzione culturale e semiotica (Cfr. Suchman, 1987), ovvero come comunità di pratiche (Lave & Wenger, 1991; Wenger, 1998). I gruppi sono analizzati come dimensioni emergenti dai discorsi stessi e l’interazione sociale è considerata come strumento di mediazione locale di costruzione di agency (Duranti, 2000; Donzelli & Fasulo, 2007) e partecipazione (Cfr. Philips, 1983; Goffman, 1981; Goodwin, 1994, 2002, 2003; Goodwin & Goodwin, 2003; Tannen, 2006). Lo strumento analitico del ‘fare famiglia’ è, poi, analizzato nelle sue funzioni di costruzione del gruppo primario, di socializzazione, nella fattispecie linguistica (Cfr. Ochs & Schiefflin, 1984), e di costruzione di contesti d’interazione. Il terzo capitolo ripercorre il percorso metodologico: dalla formulazione delle ipotesi descrittive alla scelta dell’etnografia, all’utilizzo di strumenti (come l’intervista narrativa e le video-riprese), dall’esplicitazione delle procedure analitiche alla costruzione del corpus di dati fino alla complessa negoziazione che ha portato la ricercatrice nei contesti di analisi. Il quarto capitolo fornisce una prima organica descrizione delle tre comunità per ciò che riguarda le dimensioni storiche e organizzative. Tale scenario è stato costruito attraverso le note di campo della ricercatrice, l’analisi della documentazione ambientale e le interviste narrative degli operatori e dei coordinatori, attivi protagonisti della costruzione conoscitiva. Il quinto capitolo affronta le dimensioni organizzative delle comunità soprattutto per ciò che ha a che fare con le eredità degli istituti per minori; tale compito è portato avanti attraverso l’analisi dell’utilizzo degli spazi, della scansione temporale della vita quotidiana e della relazione con la famiglia d’origine, principale interlocutore di ogni comunità. L’analisi del rapporto fra la stabilità degli adulti e le pratiche comunicative permette, inoltre, di mettere in evidenza le differenti realizzazioni interattive a seconda del modello organizzativo. Il sesto capitolo rappresenta l’analisi delle costruzioni interattive emerse nell’analisi del materiale video-registrato. Attraverso una fine analisi conversazionale, si sono portati in evidenza due principali modi di ‘fare famiglia’ attraverso la partecipazione. Da una parte, il modello denominato ‘centripeto’ offre forme di partecipazione rigide, vincolanti, prevedibili e scarsamente innovative. Il sistema interattivo ‘aperto’, invece, assicura la possibilità di nuove e mutevoli forme di partecipazione ai ragazzi, consentendo loro di sperimentarsi discorsivamente in un ambiente sicuro e stabile. I riscontri emersi dall’analisi hanno permesso di evidenziare che la funzione centrale è l’interpretazione del mandato sociale da parte delle comunità per minori: essa orienta, infatti, verso scopi, obbiettivi, funzionamenti organizzativi ed interattivi nel nostro caso decisamente coerenti. Le tre comunità emergono, infatti, come contesti con differenti interpretazioni della loro funzione eppure coerenti al proprio interno per quel che riguarda gli esiti a breve termine e gli scenari interattivi creati. Il settimo capitolo, pertanto, fornisce i principali risultati emersi dall’analisi e riporta numerose indicazioni, sia metodologiche che pratiche. Il tentativo è, infatti, quello di veicolare la costruzione di ‘buone prassi’ tramite apposite restituzioni con gli attori sociali della ricerca e con le istituzioni coinvolte.

Fare famiglia in comunità per minori: forme di organizzazione e partecipazione / Saglietti, Marzia. - (2010 Mar 11).

Fare famiglia in comunità per minori: forme di organizzazione e partecipazione

SAGLIETTI, MARZIA
11/03/2010

Abstract

Il presente contributo indaga le forme organizzative e partecipative alla vita familiare di tre comunità per minori – strutture residenziali per minori allontanati dalla famiglia d’origine. L’ottica applicata, dichiaratamente culturale (Vygotskij, 1990; Cole, 1995; Zucchermaglio, 2002; Mantovani, 2008b), ha permesso di intendere tali contesti come gruppi primari a carattere familiare, creatori di sistemi di significato situati, di pratiche organizzative e di socializzazione. La ricerca si costituisce, infatti, quale contributo complesso ed innovativo ad un tema che è stato principalmente approcciato con le lenti della psicologia clinica. In questa sede, vengono invece restituite alla loro dimensione sociale, culturale e semiotica alcune scene di vita quotidiana dei gruppi osservati attraverso un’approfondita etnografia organizzativa (Bruni, 2003; Mantovani & Spagnolli, 2003), che si è in un secondo momento concentrata sull’analisi di interazioni video-registrate a cena. Il fatto di aver costruito un corpus di dati video-registrati rappresenta uno dei principali punti innovativi del contributo, insieme alla specifica ottica applicata alle comunità. Lo studio ha coinvolto tre comunità per minori romane, scelte insieme alle istituzioni (V° Dipartimento del Comune di Roma e una rilevante associazione del settore) come esempi eccellenti delle principali tipologie di gestione organizzativa: da parte di un’associazione laica di educatori turnanti, con coppia residente e con personale religioso residente. Le comunità, qui denominate Comunità Staff, Comunità Famiglia e Comunità Religiose, hanno aderito alla ricerca in maniera dialogica e partecipativa, permettendo di creare un account di ricerca ‘emico’ (Cfr. Pike, 1974; Zucchermaglio, 2002). Gli obbiettivi della ricerca – che hanno lo scopo finale di contribuire ad un importante processo locale di ampliamento dei criteri di valutazione delle strutture, ora limitati alle sole dimensioni quantitative e regolamentative – vanno nella direzione di indagare le comunità per minori come organizzazioni, gruppi primari e familiari. Come organizzazioni, l’obbiettivo è di restituire una visione situata delle tre comunità per quel che riguarda la stabilità degli adulti e il legame con le pratiche interattive, gli esiti del progetto del ragazzo, il tipo di intervento educativo e il rapporto con l’esterno (in particolare con la famiglia d’origine). Come gruppi primari, l’obbiettivo è di comprendere se le comunità possano costituirsi come thinking spaces (Perret-Clermont, 2004), luoghi di costruzione di argomentazioni discorsive e spazi di sviluppo psico-sociale per minori. La scelta di indagare se e come le comunità ‘fanno famiglia’ nasce dalla considerazione che troppo spesso queste vengono contrapposte ideologicamente alle famiglie (d’origine, affidataria, adottiva). L’obbiettivo è, quindi, di comprendere se esse costruiscono discorsivamente contesti di cura e affetto, discussione, identità, moralità, ecc. A livello metodologico, l’impianto dell’etnografia organizzativa garantisce flessibilità e capacità di investigazione approfondita. Le video-riprese di interazioni a cena hanno permesso di concentrare l’attenzione sulle pratiche discorsive, analizzate con gli strumenti dell’Analisi Conversazionale (Sacks et al., 1974; Sacks, 1992; Fasulo & Pontecorvo, 1999; Fele, 2007). Il contributo si divide, pertanto, in tre sezioni: la prima ripercorre la costruzione dell’impianto teorico della ricerca (Cap. 1-2), la seconda si colloca dentro la ricerca, a partire dall’esposizione metodologica all’analisi dei dati (Cap. 3-6) e la terza ‘situa’ la ricerca al futuro (Cap. 7), mostrando il carattere intrinsecamente dinamico ed evolutivo dell’impresa conoscitiva qui affrontata. Il primo capitolo rappresenta, pertanto, un’organica rassegna del materiale normativo e della letteratura (nazionale ed internazionale) sulle comunità per minori, a partire dalle definizioni, agli obbiettivi, ai principali dati e filoni che si sono interessati al fenomeno. Tale quadro permette, infatti, di comprendere i legami con le ‘vecchie’ pratiche degli istituti per minori qui intesi come ‘istituzioni totali’ (Goffman, 1961). Inoltre, l’analisi critica del materiale ha permesso di far emergere gli specifici problemi di questi contesti, come quello del turnover degli operatori, che inficia la qualità del servizio stesso. Il secondo capitolo espone l’impianto teorico che si rifà principalmente alla psicologia culturale (Cfr. Zucchermaglio, 2002; Mantovani, 2008b) e discorsiva (Edwards & Potter, 1992; Molder & Potter, 2005). Le organizzazioni sono intese nell’accezione di costruzioni situate di senso e di produzione culturale e semiotica (Cfr. Suchman, 1987), ovvero come comunità di pratiche (Lave & Wenger, 1991; Wenger, 1998). I gruppi sono analizzati come dimensioni emergenti dai discorsi stessi e l’interazione sociale è considerata come strumento di mediazione locale di costruzione di agency (Duranti, 2000; Donzelli & Fasulo, 2007) e partecipazione (Cfr. Philips, 1983; Goffman, 1981; Goodwin, 1994, 2002, 2003; Goodwin & Goodwin, 2003; Tannen, 2006). Lo strumento analitico del ‘fare famiglia’ è, poi, analizzato nelle sue funzioni di costruzione del gruppo primario, di socializzazione, nella fattispecie linguistica (Cfr. Ochs & Schiefflin, 1984), e di costruzione di contesti d’interazione. Il terzo capitolo ripercorre il percorso metodologico: dalla formulazione delle ipotesi descrittive alla scelta dell’etnografia, all’utilizzo di strumenti (come l’intervista narrativa e le video-riprese), dall’esplicitazione delle procedure analitiche alla costruzione del corpus di dati fino alla complessa negoziazione che ha portato la ricercatrice nei contesti di analisi. Il quarto capitolo fornisce una prima organica descrizione delle tre comunità per ciò che riguarda le dimensioni storiche e organizzative. Tale scenario è stato costruito attraverso le note di campo della ricercatrice, l’analisi della documentazione ambientale e le interviste narrative degli operatori e dei coordinatori, attivi protagonisti della costruzione conoscitiva. Il quinto capitolo affronta le dimensioni organizzative delle comunità soprattutto per ciò che ha a che fare con le eredità degli istituti per minori; tale compito è portato avanti attraverso l’analisi dell’utilizzo degli spazi, della scansione temporale della vita quotidiana e della relazione con la famiglia d’origine, principale interlocutore di ogni comunità. L’analisi del rapporto fra la stabilità degli adulti e le pratiche comunicative permette, inoltre, di mettere in evidenza le differenti realizzazioni interattive a seconda del modello organizzativo. Il sesto capitolo rappresenta l’analisi delle costruzioni interattive emerse nell’analisi del materiale video-registrato. Attraverso una fine analisi conversazionale, si sono portati in evidenza due principali modi di ‘fare famiglia’ attraverso la partecipazione. Da una parte, il modello denominato ‘centripeto’ offre forme di partecipazione rigide, vincolanti, prevedibili e scarsamente innovative. Il sistema interattivo ‘aperto’, invece, assicura la possibilità di nuove e mutevoli forme di partecipazione ai ragazzi, consentendo loro di sperimentarsi discorsivamente in un ambiente sicuro e stabile. I riscontri emersi dall’analisi hanno permesso di evidenziare che la funzione centrale è l’interpretazione del mandato sociale da parte delle comunità per minori: essa orienta, infatti, verso scopi, obbiettivi, funzionamenti organizzativi ed interattivi nel nostro caso decisamente coerenti. Le tre comunità emergono, infatti, come contesti con differenti interpretazioni della loro funzione eppure coerenti al proprio interno per quel che riguarda gli esiti a breve termine e gli scenari interattivi creati. Il settimo capitolo, pertanto, fornisce i principali risultati emersi dall’analisi e riporta numerose indicazioni, sia metodologiche che pratiche. Il tentativo è, infatti, quello di veicolare la costruzione di ‘buone prassi’ tramite apposite restituzioni con gli attori sociali della ricerca e con le istituzioni coinvolte.
11-mar-2010
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