Lo studio è volto a fornire una analisi ricostruttiva e di prospettiva della figura del mercenario. La ricerca nasce dal presupposto di voler indagare un particolare soggetto presente in molti eventi bellici della storia, talvolta anche con intenti “privatistici”. Il mercenario, che nella definizione di stampo “classica”, agiva prevalentemente alle dipendenze di un sovrano (prima) e/o di uno Stato (poi), nell’epoca presente può non essere necessariamente legato agli Stati e può operare in formazione singola o inserito in un contesto “societario”, alle dipendenze di vere e proprie compagnie specializzate in sicurezza private, le quali talvolta possono essere esse stesse definibili come mercenari. La descritta evoluzione è a sua volta legata al fenomeno della progressiva “privatizzazione” di un gran numero di attività statali. Tra esse figurano perfino quelle belliche, tradizionalmente di competenza pressoché esclusiva delle forze armate regolari di uno Stato (o delle forze “ribelli”, “insorgenti” o “rivoluzionarie” o “partigiane” a seconda delle terminologia preferita, ma comunque agenti in nome – e in applicazione – del principio di autodeterminazione). Oggigiorno infatti i Governi affidano spesso ad enti esterni servizi militari o di “sicurezza”, per ridurre i costi, sia in termini strettamente economici che in termini di perdite di vite umane, riducendo così anche, per cinico che possa apparire, i costi sociali di un conflitto armato, in termini di impatto sulla popolazione. Nel nuovo millennio, i mercenari sono, insomma, veri e propri businessmen, attori di un mercato, quello della sicurezza, sempre più, anch’esso, globalizzato ed integrato. Ciò fa sorgere problemi legati, ad esempio, alla sovranità statale, nella misura in cui la funzione dell’uso della forza per la realizzazione dei diritti (il cd. “monopolio dell’uso della forza”) costituisce una prerogativa tipicamente riconosciuta ai soggetti di diritto internazionale che, in una prospettiva moderna, comprende spesso anche la partecipazione di Organismi internazionali (come le NU, la NATO e l’OSCE), i quali, a loro volta, non diversamente dagli stessi Stati, si servono di organismi strettamente privati, con le conseguenze che ne possono derivare in materia di “imputabilità” degli atti da essi compiuti. Delicata e complicata è poi l’individuazione dei Tribunali competenti a giudicare i singoli mercenari o gli operatori privati della sicurezza specie ove essi siano impiegati in territorio terzo rispetto a quello dello Stato che li abbia ingaggiati. Non appartenendo alle forze armate del soggetto “a favore” o “con” il quale agiscono, non sono, a stretto rigore, sottoponibili alla giurisdizione dei tribunali militari dello Stato nel cui territorio si trovino ad operare, ma tante volte risulta complicato convenirli in giudizio anche di fronte a tribunali penali o civili del paese con cui è stato stipulato il contratto o di cui sono cittadini . Tutto ciò fermo restando che quando un mercenario agisce “accanto” alle forze regolari di un soggetto di diritto internazionale (molto spesso di uno Stato) e compie atti in contrasto con le norme in materia di diritto di guerra o crimini previsti dallo Statuto del Tribunale penale internazionale, potrà essere catturato e poi processato. In tali casi sarà perciò essenziale poter stabilire preliminarmente, una volta e per tutte, quando e se un mercenario agisca come “espressione” del soggetto agente, e pertanto le sue azioni siano riferibili al soggetto stesso (salvo quanto disposto dal menzionato Statuto della ICC), o meno. Timori generalizzati si concentrano poi sui possibili abusi e violazioni dei diritti umani, ad opera del personale delle società di sicurezza private. In tal senso vi sono precedenti inquietanti che mostrano una sostanziale impunità degli autori di crimini efferati contro la popolazione civile. Molto spesso, come si accennava in precedenza, i “moderni” mercenari sono dipendenti di società di sicurezza, professionisti chiamati in causa, in qualità di combattenti o di formazioni ausiliarie che offrono un varietà di “servizi”, dal sostegno militare e di polizia agli Stati (sia per la sicurezza interna, che per lo svolgimento di vere e proprie azioni militari qualificabili come conflitti internazionali), alla protezione alle grandi imprese multinazionali e non (soprattutto del settore petrolifero e minerario), alla assistenza, nonché nelle operazioni condotte da organizzazioni internazionali (ad esempio nelle missioni di peacekeeping o peace enforcement delle Nazioni Unite e nei momenti immediatamente successivi alla fine delle occupazioni belliche) iniziando così ad affiancare gli eserciti nazionali anche nei teatri di guerra tout court in una pletora di attività, che vanno dall’addestramento alla logistica fino al combattimento vero e proprio . Tali servizi includono, come è noto, il supporto alle forze armate regolari, la protezione di diplomatici, la raccolta di dati informativi e investigativi, la gestione di centri di detenzione e degli interrogatori. Quindi le più svariate figure (dalla guardia del corpo al consulente militare, passando dall’addestratore e fino ad arrivare agli esperti dell’intelligence) che svolgano tali funzioni “in proprio”, o siano inquadrati in un contesto societario, sono riconducibili a questa categoria. L’utilizzo sempre più diffuso della sicurezza privata ha spinto gli studiosi ad interrogarsi sulla legittimità e sul ruolo effettivamente svolto da questi nuovi soggetti operanti sulla scena internazionale. Infatti alcune delle maggiori perplessità rispetto all’utilizzo di tali figure riguardano la dimensione giuridica di quello che da più parti viene percepito come un esercito parallelo svincolato dalle canoniche garanzie di legalità connesse alla regolare attività militare. Non possono mancare riflessioni circa le pericolose problematiche poste da una endemica carenza di effettivo controllo e coordinazione tra le Forze armate nazionali e i contractor. Gli operatori privati della sicurezza, dunque, svolgono spesso mansioni equivalenti a quelle dei “veri” soldati, e se autorizzati dai Governi che li hanno ingaggiati, possono essere equiparati agli stessi militari, mentre quando non fanno parte delle Forze Armate o non possiedono l’autorizzazione di uno Stato, si pone il problema della natura giuridica di questi soggetti e degli obblighi (e dei diritti) cui essi devono conformarsi. Tutto ciò impone una riconsiderazione delle categorie, nella misura in cui contribuiscono alla trasformazione delle regole classiche di conduzione della guerra, con particolare riferimento, oltre che al tema dell’imputazione degli atti compiuti dai partecipanti al conflitto, a quello delicatissimo della differenza tra combattenti e non combattenti alla luce del diritto internazionale di guerra

I mercenari nel diritto internazionale. Implicazioni giuridiche nell'evoluzione della gestione privata della sicurezza / D'Anna, Ilaria. - ELETTRONICO. - (2012).

I mercenari nel diritto internazionale. Implicazioni giuridiche nell'evoluzione della gestione privata della sicurezza.

D'ANNA, ILARIA
01/01/2012

Abstract

Lo studio è volto a fornire una analisi ricostruttiva e di prospettiva della figura del mercenario. La ricerca nasce dal presupposto di voler indagare un particolare soggetto presente in molti eventi bellici della storia, talvolta anche con intenti “privatistici”. Il mercenario, che nella definizione di stampo “classica”, agiva prevalentemente alle dipendenze di un sovrano (prima) e/o di uno Stato (poi), nell’epoca presente può non essere necessariamente legato agli Stati e può operare in formazione singola o inserito in un contesto “societario”, alle dipendenze di vere e proprie compagnie specializzate in sicurezza private, le quali talvolta possono essere esse stesse definibili come mercenari. La descritta evoluzione è a sua volta legata al fenomeno della progressiva “privatizzazione” di un gran numero di attività statali. Tra esse figurano perfino quelle belliche, tradizionalmente di competenza pressoché esclusiva delle forze armate regolari di uno Stato (o delle forze “ribelli”, “insorgenti” o “rivoluzionarie” o “partigiane” a seconda delle terminologia preferita, ma comunque agenti in nome – e in applicazione – del principio di autodeterminazione). Oggigiorno infatti i Governi affidano spesso ad enti esterni servizi militari o di “sicurezza”, per ridurre i costi, sia in termini strettamente economici che in termini di perdite di vite umane, riducendo così anche, per cinico che possa apparire, i costi sociali di un conflitto armato, in termini di impatto sulla popolazione. Nel nuovo millennio, i mercenari sono, insomma, veri e propri businessmen, attori di un mercato, quello della sicurezza, sempre più, anch’esso, globalizzato ed integrato. Ciò fa sorgere problemi legati, ad esempio, alla sovranità statale, nella misura in cui la funzione dell’uso della forza per la realizzazione dei diritti (il cd. “monopolio dell’uso della forza”) costituisce una prerogativa tipicamente riconosciuta ai soggetti di diritto internazionale che, in una prospettiva moderna, comprende spesso anche la partecipazione di Organismi internazionali (come le NU, la NATO e l’OSCE), i quali, a loro volta, non diversamente dagli stessi Stati, si servono di organismi strettamente privati, con le conseguenze che ne possono derivare in materia di “imputabilità” degli atti da essi compiuti. Delicata e complicata è poi l’individuazione dei Tribunali competenti a giudicare i singoli mercenari o gli operatori privati della sicurezza specie ove essi siano impiegati in territorio terzo rispetto a quello dello Stato che li abbia ingaggiati. Non appartenendo alle forze armate del soggetto “a favore” o “con” il quale agiscono, non sono, a stretto rigore, sottoponibili alla giurisdizione dei tribunali militari dello Stato nel cui territorio si trovino ad operare, ma tante volte risulta complicato convenirli in giudizio anche di fronte a tribunali penali o civili del paese con cui è stato stipulato il contratto o di cui sono cittadini . Tutto ciò fermo restando che quando un mercenario agisce “accanto” alle forze regolari di un soggetto di diritto internazionale (molto spesso di uno Stato) e compie atti in contrasto con le norme in materia di diritto di guerra o crimini previsti dallo Statuto del Tribunale penale internazionale, potrà essere catturato e poi processato. In tali casi sarà perciò essenziale poter stabilire preliminarmente, una volta e per tutte, quando e se un mercenario agisca come “espressione” del soggetto agente, e pertanto le sue azioni siano riferibili al soggetto stesso (salvo quanto disposto dal menzionato Statuto della ICC), o meno. Timori generalizzati si concentrano poi sui possibili abusi e violazioni dei diritti umani, ad opera del personale delle società di sicurezza private. In tal senso vi sono precedenti inquietanti che mostrano una sostanziale impunità degli autori di crimini efferati contro la popolazione civile. Molto spesso, come si accennava in precedenza, i “moderni” mercenari sono dipendenti di società di sicurezza, professionisti chiamati in causa, in qualità di combattenti o di formazioni ausiliarie che offrono un varietà di “servizi”, dal sostegno militare e di polizia agli Stati (sia per la sicurezza interna, che per lo svolgimento di vere e proprie azioni militari qualificabili come conflitti internazionali), alla protezione alle grandi imprese multinazionali e non (soprattutto del settore petrolifero e minerario), alla assistenza, nonché nelle operazioni condotte da organizzazioni internazionali (ad esempio nelle missioni di peacekeeping o peace enforcement delle Nazioni Unite e nei momenti immediatamente successivi alla fine delle occupazioni belliche) iniziando così ad affiancare gli eserciti nazionali anche nei teatri di guerra tout court in una pletora di attività, che vanno dall’addestramento alla logistica fino al combattimento vero e proprio . Tali servizi includono, come è noto, il supporto alle forze armate regolari, la protezione di diplomatici, la raccolta di dati informativi e investigativi, la gestione di centri di detenzione e degli interrogatori. Quindi le più svariate figure (dalla guardia del corpo al consulente militare, passando dall’addestratore e fino ad arrivare agli esperti dell’intelligence) che svolgano tali funzioni “in proprio”, o siano inquadrati in un contesto societario, sono riconducibili a questa categoria. L’utilizzo sempre più diffuso della sicurezza privata ha spinto gli studiosi ad interrogarsi sulla legittimità e sul ruolo effettivamente svolto da questi nuovi soggetti operanti sulla scena internazionale. Infatti alcune delle maggiori perplessità rispetto all’utilizzo di tali figure riguardano la dimensione giuridica di quello che da più parti viene percepito come un esercito parallelo svincolato dalle canoniche garanzie di legalità connesse alla regolare attività militare. Non possono mancare riflessioni circa le pericolose problematiche poste da una endemica carenza di effettivo controllo e coordinazione tra le Forze armate nazionali e i contractor. Gli operatori privati della sicurezza, dunque, svolgono spesso mansioni equivalenti a quelle dei “veri” soldati, e se autorizzati dai Governi che li hanno ingaggiati, possono essere equiparati agli stessi militari, mentre quando non fanno parte delle Forze Armate o non possiedono l’autorizzazione di uno Stato, si pone il problema della natura giuridica di questi soggetti e degli obblighi (e dei diritti) cui essi devono conformarsi. Tutto ciò impone una riconsiderazione delle categorie, nella misura in cui contribuiscono alla trasformazione delle regole classiche di conduzione della guerra, con particolare riferimento, oltre che al tema dell’imputazione degli atti compiuti dai partecipanti al conflitto, a quello delicatissimo della differenza tra combattenti e non combattenti alla luce del diritto internazionale di guerra
2012
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/872938
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