L’articolo si propone di indagare sul tema relativo all’equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società. Si focalizza l’attenzione sull’invito rivolto agli Stati membri dalle istituzioni comunitarie - mediante risoluzioni del Parlamento europeo e relazioni e libri verde della Commissione europea - ad adottare politiche che promuovano una maggiore presenza delle donne nelle posizioni di responsabilità delle imprese. Inoltre si esamina la disciplina in materia di gender parity e diversity contenuta nella direttiva 2013/36/UE e si segnala la proposta di direttiva, approvata dalla Commissione europea il 14 novembre 2012, riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi, che fissa al 40 per cento dei relativi posti la percentuale di presenza femminile negli organi di amministrazione e controllo, da raggiungere entro il 1° gennaio 2020 per le società quotate, ed entro il 1° gennaio 2018 per le imprese pubbliche, con esclusione delle piccole e medie imprese per le quali tali vincoli potrebbero rappresentare un onere sproporzionato. In Europa coesistono tre modelli per realizzare l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società: 1) un modello basato sulle quote di genere di risultato; 2) un modello basato sull’autoregolamentazione; 3) un modello basato su criteri di trasparenza e merito nel processo di selezione dei candidati ai posti nei boards, e sulla fissazione di una percentuale di rappresentanza del genere femminile all’interno degli stessi. Nel lavoro si analizza poi la normativa nazionale sulla parità di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate, dettata dalla l. n 120/2011. L’art. 1, co. 1, della citata legge - nell’inserire il co. 1-ter nell’art. 147-ter del TUF e nel demandare allo statuto il compito di prevedere che il riparto dei posti tra gli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi - stabilisce che al genere meno rappresentato sia riservato almeno un terzo degli amministratori eletti ed introduce una clausola di delimitazione temporale secondo cui tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi. Il legislatore nazionale ha affidato il controllo sull’applicazione della normativa sulla parità di genere negli organi delle società quotate alla Consob, cioè all’autorità di regolazione di settore meglio attrezzata per vigilare sull’osservanza di tale disciplina da parte di queste imprese. Si sottolinea che, nell’ipotesi di mancato rispetto del criterio di riparto, la l. n. 120/2011 non prevede la decadenza automatica del consiglio di amministrazione, ma predispone un meccanismo sanzionatorio articolato su tre livelli, caratterizzato da effetti progressivamente più incisivi. L’art. 3, co. 1, della l. n. 120/2011 ha esteso l’applicazione della disciplina sulla parità di genere negli organi di amministrazione e controllo alle società costituite in Italia non quotate in mercati regolamentati, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 2359, co. 1 e 2, del codice civile. Il legislatore nazionale ha dichiaratamente prescelto le società a partecipazione pubblica, unitamente alle società private quotate, come gli unici soggetti destinatari dell’obbligo di rispettare il criterio di riparto tra i generi negli organi sociali, in quanto ritenute in grado di svolgere una funzione socialmente esemplare con riguardo ai modelli di governance da esse adottati, auspicandone una virtuosa imitazione, su base volontaria, da parte delle imprese che sono al momento esentate da tale vincolo. Per le società sottoposte a controllo pubblico, le modalità applicative del criterio di riparto tra i generi sono definite dal regolamento di cui al d.P.R. n. 251/2012, che attribuisce il compito di vigilare sull’osservanza del vincolo sull’equilibrio di genere negli organi direttivi delle società pubbliche ad un soggetto politico, quale il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità. Nell’articolo si illustrano le ragioni dell’introduzione in Italia delle quote di genere negli organi delle società, che risponde alla necessità di porre rimedio all’assenza delle donne nel mondo delle imprese e, in particolare, di far fronte alla tendenziale esclusione del genere femminile dalle posizioni apicali delle società. I motivi del ricorso alle quote di genere devono essere poi individuati nell’esigenza di assicurare sia una maggiore obiettività nella selezione dei componenti degli organi sociali, sia più elevati livelli di efficienza all’interno dei medesimi organi. Nel lavoro si sottolinea che il principale fondamento costituzionale della l. n. 120/2011, che è intesa a favorire il riequilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società, mediante la previsione di una riserva di posti per il sesso sottorappresentato, è costituito dal principio di uguaglianza sostanziale, sancito dall’art. 3, co. 2, Cost. Infatti tale principio legittima l’adozione di azioni positive, quali le quote, che mirano a combattere le discriminazioni dirette e indirette nei confronti delle donne lavoratrici e ad eliminare, o quantomeno, ad attenuare la sottorappresentazione del sesso femminile in ambito politico, sociale ed economico. In particolare la l. n. 120/2011 costituisce il primo esempio di azione positiva di genere nel diritto societario. Un altro fondamento costituzionale della l. n. 120/2011 può essere rintracciato nell’art. 51 Cost., il quale, pur riferendosi esplicitamente alle cariche politico-amministrative, è espressione di un più generale e sovraordinato principio di parità di accesso degli uomini e delle donne agli organi di rappresentanza nei processi decisionali anche economici. Un’ulteriore base costituzionale della l. n. 120/2011 può essere individuata nell’art. 37, co. 1, Cost., il quale stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti che spettano al lavoratore, e giustifica l’adozione di misure, anche temporanee, tese a garantire la parità di accesso al lavoro. Allo scopo di valutare la compatibilità della l. 120/2011 con la Costituzione, si esamina poi la giurisprudenza costituzionale che ha individuato i limiti che le azioni positive incontrano nell’ordinamento giuridico italiano ed, in particolare, le sentenze, con cui il giudice delle leggi si è pronunciato sulla costituzionalità sia delle norme finalizzate ad attribuire un vantaggio specifico alle donne quali soggetti appartenenti ad una categoria debole, sia delle disposizioni che, formulate in termini neutri, sono volte a garantire la parità di chances tra uomini e donne nella competizione elettorale. Il punto di approdo della giurisprudenza costituzionale sulle misure di riequilibrio di genere nelle assemblee elettive, a partire dalla pronuncia n. 422 del 1995 fino alle sentenze n. 49 del 2003 e n. 4 del 2010, consiste nell’assunto secondo cui sarebbero legittime le misure idonee ad assicurare pari opportunità all’“accesso ad un risultato finale” e non “direttamente al risultato finale”. Ciò si pone in un rapporto di difficile equilibrio con la circostanza che le misure sulle quote di genere introdotte dalla l. n. 120/2011 si differenziano da quelle previste dalle leggi elettorali, poiché esse non introducono una riserva di posti nell’ambito delle liste di candidati ma stabiliscono direttamente un riparto di posti negli organi di amministrazione e controllo delle società. Invero, l’equilibrio di genere è raggiunto solo se il sesso meno rappresentato all’interno dell’organo ottenga almeno un terzo degli amministratori eletti o dei sindaci eletti. Pertanto le norme sulla parità di accesso agli organi sociali, sebbene formulate in modo neutro e quindi non esplicitamente volte a favorire le donne, potrebbero considerarsi tese ad attribuire direttamente un risultato. Tuttavia la temporaneità della misura sulla quota di genere nei consigli di amministrazione delle società appare idonea ad escludere rischi di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.: infatti il limite temporale dei tre mandati produce l’effetto di avvantaggiare il genere meno rappresentato solo in via sperimentale, allo scopo di innescare una prassi virtuosa, che sia tale da riprodursi automaticamente anche dopo la cessazione dell’obbligo di rispettare il criterio di riparto tra i due sessi. L’introduzione di quote negli organi di amministrazione e controllo delle società solleva ulteriori problematiche costituzionali. Invero l’esigenza di parità effettiva tra i generi all’interno degli organi sociali sembrerebbe entrare in conflitto con la libertà degli azionisti di scegliere gli amministratori che essi ritengono più idonei a gestire l’impresa e a rappresentare meglio i loro interessi, condizionandone il potere di influenza. In particolare i principali nodi critici attengono, da un lato, al rapporto tra il sistema delle quote e il principio meritocratico, e, dall’altro, al rapporto tra il meccanismo delle quote e la libertà di iniziativa economica. In ordine alla conformità al diritto comunitario della l. n. 120/2011, giova rilevare che l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea consente l’introduzione di misure a favore del sesso sottorappresentato in tutti i campi della vita sociale e che l’art. 157 del TFUE giustifica l’adozione di trattamenti preferenziali per il sesso sottorappresentato nello specifico ambito lavorativo. Dall’analoga formulazione delle due norme si evince la non contrarietà al diritto comunitario di misure nazionali intese a garantire direttamente un risultato, quali la riserva a favore del genere meno rappresentato di una quota di posti negli organi di amministrazione e controllo delle società. Con la l. n. 120/2011 il legislatore italiano ha riconosciuto al genere meno rappresentato l’accesso a ruoli decisionali di rilievo socio-economico, garantendo alle donne la partecipazione al c.d. “decision making” nelle imprese. In quest’ottica la l. n. 120/2011 diviene espressione di un cambiamento culturale, poiché essa denota la consapevolezza che alla diversità di genere corrisponde - pur sempre nella “parità” - una eterogeneità di caratteristiche individuali, la quale, nell’interesse di un miglior funzionamento dell’organo collegiale ed a beneficio della collettività dei risparmiatori, merita di essere salvaguardata in sede di composizione degli organi sociali. Ciò risulta comprovato dal bilancio positivo dell’attuazione della l. n. 120/2011, che ha determinato un incremento della presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane e un aumento del numero delle donne che ricoprono posizioni al vertice delle società pubbliche. Tuttavia le quote di genere sono solo uno degli strumenti ma non l’unico in grado di riequilibrare la rappresentanza delle donne ai vertici delle imprese. Le quote di genere devono essere affiancate da iniziative legislative, strutturali e aziendali di tipo family-friendly che, in modo stabile e duraturo nel tempo, sostengano le donne verso la progressione di carriera. Alcune misure specifiche, idonee a promuovere un cambiamento nella ripartizione dei ruoli maschili e femminili nella società e, quindi, a favorire l’aumento del numero delle donne nei consigli di amministrazione delle imprese, sono costituiti da sistemi appropriati di congedi di maternità, paternità e parentali che agevolino la conciliazione tra vita professionale e familiare e offrano servizi di qualità per l’assistenza all’infanzia e altri familiari a carico, nonché da interventi di sensibilizzazione, orientamento, formazione e istruzione. La l. n. 120/2011 sulla parità di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società segna comunque un importante un passo in avanti verso la realizzazione della democrazia paritaria.

L'equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società. Un passo in avanti verso la realizzazione della democrazia paritaria / Giachetti Fantini, Michela. - In: AMMINISTRAZIONE IN CAMMINO. - ISSN 2038-3711. - ELETTRONICO. - (2016), pp. 1-37.

L'equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società. Un passo in avanti verso la realizzazione della democrazia paritaria

Giachetti Fantini, Michela
2016

Abstract

L’articolo si propone di indagare sul tema relativo all’equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società. Si focalizza l’attenzione sull’invito rivolto agli Stati membri dalle istituzioni comunitarie - mediante risoluzioni del Parlamento europeo e relazioni e libri verde della Commissione europea - ad adottare politiche che promuovano una maggiore presenza delle donne nelle posizioni di responsabilità delle imprese. Inoltre si esamina la disciplina in materia di gender parity e diversity contenuta nella direttiva 2013/36/UE e si segnala la proposta di direttiva, approvata dalla Commissione europea il 14 novembre 2012, riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi, che fissa al 40 per cento dei relativi posti la percentuale di presenza femminile negli organi di amministrazione e controllo, da raggiungere entro il 1° gennaio 2020 per le società quotate, ed entro il 1° gennaio 2018 per le imprese pubbliche, con esclusione delle piccole e medie imprese per le quali tali vincoli potrebbero rappresentare un onere sproporzionato. In Europa coesistono tre modelli per realizzare l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società: 1) un modello basato sulle quote di genere di risultato; 2) un modello basato sull’autoregolamentazione; 3) un modello basato su criteri di trasparenza e merito nel processo di selezione dei candidati ai posti nei boards, e sulla fissazione di una percentuale di rappresentanza del genere femminile all’interno degli stessi. Nel lavoro si analizza poi la normativa nazionale sulla parità di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate, dettata dalla l. n 120/2011. L’art. 1, co. 1, della citata legge - nell’inserire il co. 1-ter nell’art. 147-ter del TUF e nel demandare allo statuto il compito di prevedere che il riparto dei posti tra gli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi - stabilisce che al genere meno rappresentato sia riservato almeno un terzo degli amministratori eletti ed introduce una clausola di delimitazione temporale secondo cui tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi. Il legislatore nazionale ha affidato il controllo sull’applicazione della normativa sulla parità di genere negli organi delle società quotate alla Consob, cioè all’autorità di regolazione di settore meglio attrezzata per vigilare sull’osservanza di tale disciplina da parte di queste imprese. Si sottolinea che, nell’ipotesi di mancato rispetto del criterio di riparto, la l. n. 120/2011 non prevede la decadenza automatica del consiglio di amministrazione, ma predispone un meccanismo sanzionatorio articolato su tre livelli, caratterizzato da effetti progressivamente più incisivi. L’art. 3, co. 1, della l. n. 120/2011 ha esteso l’applicazione della disciplina sulla parità di genere negli organi di amministrazione e controllo alle società costituite in Italia non quotate in mercati regolamentati, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 2359, co. 1 e 2, del codice civile. Il legislatore nazionale ha dichiaratamente prescelto le società a partecipazione pubblica, unitamente alle società private quotate, come gli unici soggetti destinatari dell’obbligo di rispettare il criterio di riparto tra i generi negli organi sociali, in quanto ritenute in grado di svolgere una funzione socialmente esemplare con riguardo ai modelli di governance da esse adottati, auspicandone una virtuosa imitazione, su base volontaria, da parte delle imprese che sono al momento esentate da tale vincolo. Per le società sottoposte a controllo pubblico, le modalità applicative del criterio di riparto tra i generi sono definite dal regolamento di cui al d.P.R. n. 251/2012, che attribuisce il compito di vigilare sull’osservanza del vincolo sull’equilibrio di genere negli organi direttivi delle società pubbliche ad un soggetto politico, quale il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità. Nell’articolo si illustrano le ragioni dell’introduzione in Italia delle quote di genere negli organi delle società, che risponde alla necessità di porre rimedio all’assenza delle donne nel mondo delle imprese e, in particolare, di far fronte alla tendenziale esclusione del genere femminile dalle posizioni apicali delle società. I motivi del ricorso alle quote di genere devono essere poi individuati nell’esigenza di assicurare sia una maggiore obiettività nella selezione dei componenti degli organi sociali, sia più elevati livelli di efficienza all’interno dei medesimi organi. Nel lavoro si sottolinea che il principale fondamento costituzionale della l. n. 120/2011, che è intesa a favorire il riequilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società, mediante la previsione di una riserva di posti per il sesso sottorappresentato, è costituito dal principio di uguaglianza sostanziale, sancito dall’art. 3, co. 2, Cost. Infatti tale principio legittima l’adozione di azioni positive, quali le quote, che mirano a combattere le discriminazioni dirette e indirette nei confronti delle donne lavoratrici e ad eliminare, o quantomeno, ad attenuare la sottorappresentazione del sesso femminile in ambito politico, sociale ed economico. In particolare la l. n. 120/2011 costituisce il primo esempio di azione positiva di genere nel diritto societario. Un altro fondamento costituzionale della l. n. 120/2011 può essere rintracciato nell’art. 51 Cost., il quale, pur riferendosi esplicitamente alle cariche politico-amministrative, è espressione di un più generale e sovraordinato principio di parità di accesso degli uomini e delle donne agli organi di rappresentanza nei processi decisionali anche economici. Un’ulteriore base costituzionale della l. n. 120/2011 può essere individuata nell’art. 37, co. 1, Cost., il quale stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti che spettano al lavoratore, e giustifica l’adozione di misure, anche temporanee, tese a garantire la parità di accesso al lavoro. Allo scopo di valutare la compatibilità della l. 120/2011 con la Costituzione, si esamina poi la giurisprudenza costituzionale che ha individuato i limiti che le azioni positive incontrano nell’ordinamento giuridico italiano ed, in particolare, le sentenze, con cui il giudice delle leggi si è pronunciato sulla costituzionalità sia delle norme finalizzate ad attribuire un vantaggio specifico alle donne quali soggetti appartenenti ad una categoria debole, sia delle disposizioni che, formulate in termini neutri, sono volte a garantire la parità di chances tra uomini e donne nella competizione elettorale. Il punto di approdo della giurisprudenza costituzionale sulle misure di riequilibrio di genere nelle assemblee elettive, a partire dalla pronuncia n. 422 del 1995 fino alle sentenze n. 49 del 2003 e n. 4 del 2010, consiste nell’assunto secondo cui sarebbero legittime le misure idonee ad assicurare pari opportunità all’“accesso ad un risultato finale” e non “direttamente al risultato finale”. Ciò si pone in un rapporto di difficile equilibrio con la circostanza che le misure sulle quote di genere introdotte dalla l. n. 120/2011 si differenziano da quelle previste dalle leggi elettorali, poiché esse non introducono una riserva di posti nell’ambito delle liste di candidati ma stabiliscono direttamente un riparto di posti negli organi di amministrazione e controllo delle società. Invero, l’equilibrio di genere è raggiunto solo se il sesso meno rappresentato all’interno dell’organo ottenga almeno un terzo degli amministratori eletti o dei sindaci eletti. Pertanto le norme sulla parità di accesso agli organi sociali, sebbene formulate in modo neutro e quindi non esplicitamente volte a favorire le donne, potrebbero considerarsi tese ad attribuire direttamente un risultato. Tuttavia la temporaneità della misura sulla quota di genere nei consigli di amministrazione delle società appare idonea ad escludere rischi di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.: infatti il limite temporale dei tre mandati produce l’effetto di avvantaggiare il genere meno rappresentato solo in via sperimentale, allo scopo di innescare una prassi virtuosa, che sia tale da riprodursi automaticamente anche dopo la cessazione dell’obbligo di rispettare il criterio di riparto tra i due sessi. L’introduzione di quote negli organi di amministrazione e controllo delle società solleva ulteriori problematiche costituzionali. Invero l’esigenza di parità effettiva tra i generi all’interno degli organi sociali sembrerebbe entrare in conflitto con la libertà degli azionisti di scegliere gli amministratori che essi ritengono più idonei a gestire l’impresa e a rappresentare meglio i loro interessi, condizionandone il potere di influenza. In particolare i principali nodi critici attengono, da un lato, al rapporto tra il sistema delle quote e il principio meritocratico, e, dall’altro, al rapporto tra il meccanismo delle quote e la libertà di iniziativa economica. In ordine alla conformità al diritto comunitario della l. n. 120/2011, giova rilevare che l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea consente l’introduzione di misure a favore del sesso sottorappresentato in tutti i campi della vita sociale e che l’art. 157 del TFUE giustifica l’adozione di trattamenti preferenziali per il sesso sottorappresentato nello specifico ambito lavorativo. Dall’analoga formulazione delle due norme si evince la non contrarietà al diritto comunitario di misure nazionali intese a garantire direttamente un risultato, quali la riserva a favore del genere meno rappresentato di una quota di posti negli organi di amministrazione e controllo delle società. Con la l. n. 120/2011 il legislatore italiano ha riconosciuto al genere meno rappresentato l’accesso a ruoli decisionali di rilievo socio-economico, garantendo alle donne la partecipazione al c.d. “decision making” nelle imprese. In quest’ottica la l. n. 120/2011 diviene espressione di un cambiamento culturale, poiché essa denota la consapevolezza che alla diversità di genere corrisponde - pur sempre nella “parità” - una eterogeneità di caratteristiche individuali, la quale, nell’interesse di un miglior funzionamento dell’organo collegiale ed a beneficio della collettività dei risparmiatori, merita di essere salvaguardata in sede di composizione degli organi sociali. Ciò risulta comprovato dal bilancio positivo dell’attuazione della l. n. 120/2011, che ha determinato un incremento della presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane e un aumento del numero delle donne che ricoprono posizioni al vertice delle società pubbliche. Tuttavia le quote di genere sono solo uno degli strumenti ma non l’unico in grado di riequilibrare la rappresentanza delle donne ai vertici delle imprese. Le quote di genere devono essere affiancate da iniziative legislative, strutturali e aziendali di tipo family-friendly che, in modo stabile e duraturo nel tempo, sostengano le donne verso la progressione di carriera. Alcune misure specifiche, idonee a promuovere un cambiamento nella ripartizione dei ruoli maschili e femminili nella società e, quindi, a favorire l’aumento del numero delle donne nei consigli di amministrazione delle imprese, sono costituiti da sistemi appropriati di congedi di maternità, paternità e parentali che agevolino la conciliazione tra vita professionale e familiare e offrano servizi di qualità per l’assistenza all’infanzia e altri familiari a carico, nonché da interventi di sensibilizzazione, orientamento, formazione e istruzione. La l. n. 120/2011 sulla parità di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società segna comunque un importante un passo in avanti verso la realizzazione della democrazia paritaria.
2016
equilibrio di genere; democrazia pariaria; società; organi di amministrazione e controllo
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
L'equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società. Un passo in avanti verso la realizzazione della democrazia paritaria / Giachetti Fantini, Michela. - In: AMMINISTRAZIONE IN CAMMINO. - ISSN 2038-3711. - ELETTRONICO. - (2016), pp. 1-37.
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