Il termine in greco antico μέτοικος indicava lo straniero residente nella città. Nelle nostre città sono ora presenti molti meteci, circa 295.000 nella sola città di Roma, e ciò che destabilizza è che non si ha più a che fare con il “buon selvaggio” (Eco,1991), bensì con persone portatrici di cultura, anche se si tratta di culture altre, che ci restituiscono uno sguardo alternativo sulla nostra società. La letteratura italiana della migrazione nel suo doppio binario, cioè nella produzione letteraria degli scrittori di origine migrante in lingua italiana e in quella, a lungo ignorata, degli emigranti italiani, ci parla dell’Italia in un modo inconsueto, perché lo fa dalla prospettiva di chi guarda dalla “giusta distanza”, cioè da lontano e da vicino nello stesso tempo. L’italiano, a causa dei processi di mobilità globale, ha cessato di essere una lingua limitata all’uso dei suoi parlanti madrelingua per diventare una lingua comune, una L2 complessa, che si arricchisce quotidianamente. La scelta dell’italiano come forma di espressione, “lingua del cuore” (Lecomte, 2006), preferita in maniera libera e autonoma, dà alla letteratura italiana della migrazione un valore aggiunto unico nel panorama delle altre letterature della migrazione europee, legate ad un passato coloniale e quindi a scelte linguistiche, in un certo senso, obbligate. La letteratura italiana dell’immigrazione nasce negli anni Novanta del Novecento, quando i primi autori translingui abbandonano la propria lingua madre per raccontare, spesso in collaborazione con scrittori autoctoni, l’esperienza del viaggio. Esempi importanti ne sono Io, venditore di Elefanti (1990) di Pap Khouma, con Oreste Pivetta, e Dove lo stato non c’è. Racconti italiani (1991) di Tahar Ben Jelloun, con Egi Volterrani. I testi della letteratura migrante di “seconda generazione”, cioè quelli relativi all’ultimo decennio, superano invece il racconto autobiografico puro per esprimere vere e proprie poetiche, proponendo un’esperienza del sé che oltrepassa l’aspetto della migrazione. Sono così in grado di incrociare forme e generi diversi, rendendo possibile il loro inserimento in un sistema ipertestuale che ne permette la trasposizione in altri linguaggi mediali, (vedi tra gli altri il romanzo di Amara Lakhous Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, 2006). La letteratura della migrazione proietta la letteratura italofona in un panorama globale, tenendo presente che la letteratura contemporanea è “un tessuto osmotico internazionale” (Gnisci 2002), che mette in comunicazione le culture del mondo.

Meteci, afroitaliani, italofoni: la letteratura italiana in un universo in movimento / Monticelli, Annalinda. - In: COMUNICAZIONEPUNTODOC. - ISSN 2282-0140. - STAMPA. - 6:(2012), pp. 281-286.

Meteci, afroitaliani, italofoni: la letteratura italiana in un universo in movimento

Annalinda Monticelli
2012

Abstract

Il termine in greco antico μέτοικος indicava lo straniero residente nella città. Nelle nostre città sono ora presenti molti meteci, circa 295.000 nella sola città di Roma, e ciò che destabilizza è che non si ha più a che fare con il “buon selvaggio” (Eco,1991), bensì con persone portatrici di cultura, anche se si tratta di culture altre, che ci restituiscono uno sguardo alternativo sulla nostra società. La letteratura italiana della migrazione nel suo doppio binario, cioè nella produzione letteraria degli scrittori di origine migrante in lingua italiana e in quella, a lungo ignorata, degli emigranti italiani, ci parla dell’Italia in un modo inconsueto, perché lo fa dalla prospettiva di chi guarda dalla “giusta distanza”, cioè da lontano e da vicino nello stesso tempo. L’italiano, a causa dei processi di mobilità globale, ha cessato di essere una lingua limitata all’uso dei suoi parlanti madrelingua per diventare una lingua comune, una L2 complessa, che si arricchisce quotidianamente. La scelta dell’italiano come forma di espressione, “lingua del cuore” (Lecomte, 2006), preferita in maniera libera e autonoma, dà alla letteratura italiana della migrazione un valore aggiunto unico nel panorama delle altre letterature della migrazione europee, legate ad un passato coloniale e quindi a scelte linguistiche, in un certo senso, obbligate. La letteratura italiana dell’immigrazione nasce negli anni Novanta del Novecento, quando i primi autori translingui abbandonano la propria lingua madre per raccontare, spesso in collaborazione con scrittori autoctoni, l’esperienza del viaggio. Esempi importanti ne sono Io, venditore di Elefanti (1990) di Pap Khouma, con Oreste Pivetta, e Dove lo stato non c’è. Racconti italiani (1991) di Tahar Ben Jelloun, con Egi Volterrani. I testi della letteratura migrante di “seconda generazione”, cioè quelli relativi all’ultimo decennio, superano invece il racconto autobiografico puro per esprimere vere e proprie poetiche, proponendo un’esperienza del sé che oltrepassa l’aspetto della migrazione. Sono così in grado di incrociare forme e generi diversi, rendendo possibile il loro inserimento in un sistema ipertestuale che ne permette la trasposizione in altri linguaggi mediali, (vedi tra gli altri il romanzo di Amara Lakhous Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, 2006). La letteratura della migrazione proietta la letteratura italofona in un panorama globale, tenendo presente che la letteratura contemporanea è “un tessuto osmotico internazionale” (Gnisci 2002), che mette in comunicazione le culture del mondo.
2012
letteratura; emigrazione; immigrazione
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Meteci, afroitaliani, italofoni: la letteratura italiana in un universo in movimento / Monticelli, Annalinda. - In: COMUNICAZIONEPUNTODOC. - ISSN 2282-0140. - STAMPA. - 6:(2012), pp. 281-286.
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