(...) È indubbio che gli approcci critico analitici sin qui utilizzati dalla storiografia ufficiale abbiano indagato con maggiore attenzione gli aspetti iconico figurativi nonché simbolici che gli organismi-stazione introducevano all’interno dei sistemi-città, assieme alle ricadute in termini di crescita e gestione del modello urbano nel quale essi si inserivano. Su di un piano più legato alla scala dell’edificio l’analisi critica di queste strutture architettoniche ha invece quasi sempre utilizzato chiavi prettamente funzionaliste legate alle semplificazioni prodotte dai layout d’uso, trascurando la dimensione fenomenico percettiva connessa alla qualità degli spazi fruiti come articolate successioni spaziali di ambienti, spesse volte dotate di proprie peculiari qualità. Ora, lo spostamento del punto di vista sull’organismo stazione, non più inteso come involucro urbano ma come sistema spaziale, ci consente di valutare con maggiore chiarezza uno dei caratteri peculiari di queste architetture che si configurano quasi sempre come singolari giunti architettonici, spazi intermedi posti a metà strada tra la caotica ma libera fruizione degli agglomerati urbani e la rigida e rigorosa organizzazione delle linee, ferroviaria e aerea. In questa ottica gli edifici stazione ci appaiono come architetture particolarmente interessanti perché espressione dell’annoso dualismo tra astrazioni tecnico-funzionaliste, dunque atopiche, e figurazioni materico-espressive chiaramente site specific. Gli organismi stazione, siano essi aeroportuali, ferroviari o marittimi, si configurano come luoghi spaziali di scambio o di passaggio da una dimensione statica ad una dinamica, da una condizione locale ad una globale, da un sistema a rete (le linee e le rotte) ad uno diffuso (il tessuto urbano) esplicitando il proprio ruolo attraverso la creazione di grandi vuoti spaziali, specie di cavità artificiali che materializzano fisicamente il concetto di spazio intermedio. Ma questi edifici a volte esplicitano anche fisicamente un altro importante concetto, quello di nodo, ponendosi all’interno dei paesaggi antropizzati, urbani o extraurbani, come condensatori di energie, polarizzatori d’interessi economici che si aggregano grazie ai fenomeni indotti dai grandi numeri della mobilità di massa. Assumono dunque il ruolo di grandi giunti spaziali, luoghi dell’interconnessione e della messa a sistema di dinamiche e tensioni sempre consistenti. Il grado di complessità generato dalla gestione delle grandi masse di cose e persone che qui confluiscono si confronta sempre con l’esigenza di dover garantire una chiarezza dell’impianto spaziale che orienti ed indirizzi gli utenti. Non è un caso se una delle caratteristiche che accomuna anche gli ultimi e più recenti esempi di organismi stazione continui ad essere quello del grande invaso, della grande cavità artificiale dominata generalmente dalla presenza delle coperture che assumono il ruolo di segni unificanti l’eterogeneità ed articolazione spazio funzionale delle volumetrie sottostanti. È proprio l’immagine della grande copertura a rendere possibile la ricca articolazione dei volumi di servizio che animano gli interni di queste architetture senza che questo crei eccessiva confusione. Il grande cielo artificiale è infatti l’elemento di ordine e misura dello spazio con la sua rigorosa scansione incentrata sul ritmo dei sistemi strutturali, verticali ed orizzontali; tema anche questo ultimo di fondamentale importanza per la costruzione della forma e la definizione della sua identità spaziale sul quale si sono fondati tanti dei più interessanti progetti di organismi-stazione degli ultimi anni. Con il tema della grande copertura un altro tema continua a svolgere, a livello di connotazione formale, un ruolo fondamentale per la definizione dell’oggetto architettonico: il tema dei fronti. Tema che si è per lungo tempo declinato nella definizione dei due prospetti contrapposti: quello urbano, topico, e quello del fronte macchina, tecnologico e atopico; il primo che si relazionava con la stratificata permanenza e solida fisicità dei luoghi antropizzati, il secondo che invece dialogava con il mondo delle macchine e lavorava sul concetto di iterazione di forme e modalità di fruizione prospettando nella leggerezza e trasparenza delle soluzioni costruttive le infinite possibilità di cambiamento che l’idea di viaggio in qualche modo ha sempre rappresentato. Dagli esempi della Euston station di Londra di Philip Hardwick (1835/39) dove per la prima volta si affronta il tema della stazione come porta di accesso alla città moderna utilizzando il simbolismo insito nella classica figura dei propilei che nascondono alla vista la presenza dei cavalli meccanici, all’aeroporto di Berlino Tempelhof dell’architetto Ernst Sagebiel in cui ad un’immagine interna incentrata sulla bellezza delle strutture metalliche di sostegno della grande copertura e sul disegno tecnologico di questa, si contrappone la dimensione monumentale del fronte urbano con i prospetti ritmati dalle torri delle scale, simili a fortificazioni che, ripetendosi modularmente, ne segnano ritmicamente il prospetto. Oggi poi che la tecnica consente la realizzazione di strutture gigantesche sembra farsi largo un terzo fronte, quello aereo. Sempre più spesso è questo il prospetto principale delle grandi infrastrutture aeroportuali, l’immagine emblematica attraverso la quale veicolare le idee alla base del progetto, come appare evidente nel Terminal T3 di Beijing di Foster e nell’aeroporto in costruzione di Fuksas a Shenzhen. Infine, un ultimo tema sembra importante mettere in evidenza tra i tanti che la complessità di queste architetture prospetta, quello della sostenibilità energetica. L’approccio eco-compatibile al progetto degli organismi stazione sembra ormai caratterizzare molti degli esiti più interessanti sia per le ricadute che produce in termini di gestione del bene, sia per ciò che riguarda invece la definizione della forma. La stazione di Roma Tiburtina, vincitrice del premio Eurosolar Italia 2002(The european Association for solar energy) e l’aeroporto di Indianapolis vincitore del LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), riconoscimento diffuso dalla USGBC (U.S. Green Building Council) sono due validi esempi di questo nuovo modo di avvicinarsi al progetto degli organismi-stazione. (...)

L'architettura dei nodi della mobilità / Grimaldi, Andrea. - In: L'INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI. - ISSN 0579-4900. - STAMPA. - 425(2012), pp. 4-25.

L'architettura dei nodi della mobilità

GRIMALDI, ANDREA
2012

Abstract

(...) È indubbio che gli approcci critico analitici sin qui utilizzati dalla storiografia ufficiale abbiano indagato con maggiore attenzione gli aspetti iconico figurativi nonché simbolici che gli organismi-stazione introducevano all’interno dei sistemi-città, assieme alle ricadute in termini di crescita e gestione del modello urbano nel quale essi si inserivano. Su di un piano più legato alla scala dell’edificio l’analisi critica di queste strutture architettoniche ha invece quasi sempre utilizzato chiavi prettamente funzionaliste legate alle semplificazioni prodotte dai layout d’uso, trascurando la dimensione fenomenico percettiva connessa alla qualità degli spazi fruiti come articolate successioni spaziali di ambienti, spesse volte dotate di proprie peculiari qualità. Ora, lo spostamento del punto di vista sull’organismo stazione, non più inteso come involucro urbano ma come sistema spaziale, ci consente di valutare con maggiore chiarezza uno dei caratteri peculiari di queste architetture che si configurano quasi sempre come singolari giunti architettonici, spazi intermedi posti a metà strada tra la caotica ma libera fruizione degli agglomerati urbani e la rigida e rigorosa organizzazione delle linee, ferroviaria e aerea. In questa ottica gli edifici stazione ci appaiono come architetture particolarmente interessanti perché espressione dell’annoso dualismo tra astrazioni tecnico-funzionaliste, dunque atopiche, e figurazioni materico-espressive chiaramente site specific. Gli organismi stazione, siano essi aeroportuali, ferroviari o marittimi, si configurano come luoghi spaziali di scambio o di passaggio da una dimensione statica ad una dinamica, da una condizione locale ad una globale, da un sistema a rete (le linee e le rotte) ad uno diffuso (il tessuto urbano) esplicitando il proprio ruolo attraverso la creazione di grandi vuoti spaziali, specie di cavità artificiali che materializzano fisicamente il concetto di spazio intermedio. Ma questi edifici a volte esplicitano anche fisicamente un altro importante concetto, quello di nodo, ponendosi all’interno dei paesaggi antropizzati, urbani o extraurbani, come condensatori di energie, polarizzatori d’interessi economici che si aggregano grazie ai fenomeni indotti dai grandi numeri della mobilità di massa. Assumono dunque il ruolo di grandi giunti spaziali, luoghi dell’interconnessione e della messa a sistema di dinamiche e tensioni sempre consistenti. Il grado di complessità generato dalla gestione delle grandi masse di cose e persone che qui confluiscono si confronta sempre con l’esigenza di dover garantire una chiarezza dell’impianto spaziale che orienti ed indirizzi gli utenti. Non è un caso se una delle caratteristiche che accomuna anche gli ultimi e più recenti esempi di organismi stazione continui ad essere quello del grande invaso, della grande cavità artificiale dominata generalmente dalla presenza delle coperture che assumono il ruolo di segni unificanti l’eterogeneità ed articolazione spazio funzionale delle volumetrie sottostanti. È proprio l’immagine della grande copertura a rendere possibile la ricca articolazione dei volumi di servizio che animano gli interni di queste architetture senza che questo crei eccessiva confusione. Il grande cielo artificiale è infatti l’elemento di ordine e misura dello spazio con la sua rigorosa scansione incentrata sul ritmo dei sistemi strutturali, verticali ed orizzontali; tema anche questo ultimo di fondamentale importanza per la costruzione della forma e la definizione della sua identità spaziale sul quale si sono fondati tanti dei più interessanti progetti di organismi-stazione degli ultimi anni. Con il tema della grande copertura un altro tema continua a svolgere, a livello di connotazione formale, un ruolo fondamentale per la definizione dell’oggetto architettonico: il tema dei fronti. Tema che si è per lungo tempo declinato nella definizione dei due prospetti contrapposti: quello urbano, topico, e quello del fronte macchina, tecnologico e atopico; il primo che si relazionava con la stratificata permanenza e solida fisicità dei luoghi antropizzati, il secondo che invece dialogava con il mondo delle macchine e lavorava sul concetto di iterazione di forme e modalità di fruizione prospettando nella leggerezza e trasparenza delle soluzioni costruttive le infinite possibilità di cambiamento che l’idea di viaggio in qualche modo ha sempre rappresentato. Dagli esempi della Euston station di Londra di Philip Hardwick (1835/39) dove per la prima volta si affronta il tema della stazione come porta di accesso alla città moderna utilizzando il simbolismo insito nella classica figura dei propilei che nascondono alla vista la presenza dei cavalli meccanici, all’aeroporto di Berlino Tempelhof dell’architetto Ernst Sagebiel in cui ad un’immagine interna incentrata sulla bellezza delle strutture metalliche di sostegno della grande copertura e sul disegno tecnologico di questa, si contrappone la dimensione monumentale del fronte urbano con i prospetti ritmati dalle torri delle scale, simili a fortificazioni che, ripetendosi modularmente, ne segnano ritmicamente il prospetto. Oggi poi che la tecnica consente la realizzazione di strutture gigantesche sembra farsi largo un terzo fronte, quello aereo. Sempre più spesso è questo il prospetto principale delle grandi infrastrutture aeroportuali, l’immagine emblematica attraverso la quale veicolare le idee alla base del progetto, come appare evidente nel Terminal T3 di Beijing di Foster e nell’aeroporto in costruzione di Fuksas a Shenzhen. Infine, un ultimo tema sembra importante mettere in evidenza tra i tanti che la complessità di queste architetture prospetta, quello della sostenibilità energetica. L’approccio eco-compatibile al progetto degli organismi stazione sembra ormai caratterizzare molti degli esiti più interessanti sia per le ricadute che produce in termini di gestione del bene, sia per ciò che riguarda invece la definizione della forma. La stazione di Roma Tiburtina, vincitrice del premio Eurosolar Italia 2002(The european Association for solar energy) e l’aeroporto di Indianapolis vincitore del LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), riconoscimento diffuso dalla USGBC (U.S. Green Building Council) sono due validi esempi di questo nuovo modo di avvicinarsi al progetto degli organismi-stazione. (...)
2012
Aeroporti; Stazioni ferroviarie; Architetture della mobilità; Interni architettonici
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
L'architettura dei nodi della mobilità / Grimaldi, Andrea. - In: L'INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI. - ISSN 0579-4900. - STAMPA. - 425(2012), pp. 4-25.
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