L’otto novembre scorso si è svolto, presso la Facoltà di Architettura di Roma “Ludovico Quaroni”, un incontro sul tema “Fare ricerca nelle scienze dell’Ingegneria civile e dell’Architettura”. Ho partecipato alla tavola rotonda con un intervento dal titolo “Verso la fecondità intellettuale” che prende spunto dal titolo metaforico della relazione di Piero Ostilio Rossi “Contro la monogamia intellettuale”. Se tale relazione costituisce un documento molto interessante e articolato, che consta di qualche migliaio di parole, il suo titolo, di quattro parole, ne offusca a mio avviso i contenuti scientifici. Ritengo che le riflessioni che seguono e che motivano questo mio sentire possano essere di qualche interesse. Perché ho scelto come titolo “verso la fecondità intellettuale”? Nella filosofia delle scienze, fecondità significa l’abilità di una teoria scientifica ad aprire nuove linee di investigazione teorica. Aprire nuovi filoni di ricerca è un’attività non solo pertinente ma anche di importanza vitale per fare ricerca scientifica negli ambiti che ci interessano. Pertanto fare ricerca in modo fecondo (anche nelle scienze dell’Ingegneria civile e dell’Architettura) vuol dire aprire il proprio intelletto a nuove linee di investigazione teorica. Perché invece il titolo “Contro la monogamia intellettuale” non mi convince? Ritengo sia preferibile andare “verso” le cose che ci interessano piuttosto che “contro” quelle che non ci interessano, perché queste ultime cadano da sole. Ciò in quanto fare ricerca contiene in sé l’idea di continuità, di prendere le cose per il loro verso e portarle avanti con apertura, attitudine così cara alla filosofia delle scienze. La monogamia è l'unione matrimoniale di due esseri viventi. Il termine deriva dal greco mònos, unico, e gàmos, nozze. Con specie monogama ci si riferisce a quelle specie animali in cui la coppia non si separa mai, aiutandosi in simultanea fino alla morte. Alcuni critici della monogamia tra gli umani, come Andrew Sullivan, sostengono che essa produce un dannoso rifiuto di se stessi perché priva le persone dall’esperire i propri istinti naturali, quindi, per dirla in senso metaforico con Rossi, del proprio intelletto. Egli infatti ama le metafore, come si evince dal suo libro del 1996 dal titolo La costruzione del progetto architettonico (Laterza). E’ evidentemente anche per questo motivo che ha coniato uno slogan sulla parola monogamia che potrebbe avere una certa presa di questi tempi nei quali vi è un confronto serrato tra evoluzionisti e neocreazionisti, a 201 anni dalla nascita di Charles Darwin. Pertanto il significato dello slogan, al di là dell’uso secondo me non appropriato della parola “monogamia”, andrebbe benissimo, se però non fosse del tutto scontato. Ciò anche e soprattutto perché si avverte in esso l’agitarsi del pericoloso fantasma che da sempre tende a ideologizzare la ricerca, volendola aprire a una base democratica che la scelta del termine “monogamia”, ovvero la sua negazione in campo intellettuale, sottende. Questo slogan, inedito, trasmette l’idea che le attività intellettuali buone e sostenibili, siano da ritenersi tali solo se largamente condivise da un’ampia base democratica. Forse oggi è più vero di ieri. Però, poveri Leonardo e Galileo! Povera evoluzione delle idee e della cultura che hanno dovuto lottare battaglie feroci contro le ideologie. Senza le loro, e di altri come loro, coraggiose voci fuori dal coro, non vi sarebbe stata l’evoluzione culturale. Arrestato nel suo sviluppo è chi pensa che l’essere umano si sia ormai evoluto così tanto culturalmente, intellettualmente, che più non si può, che più non si deve, e che perciò ci si debba fermare, accontentare. Che qualsiasi idea, specie quelle di menti “monogame”, debba essere passata al vaglio di un comitato di saggi-ideologi-soloni. L’umanità questo comitato non lo vuole! O, per meglio dire, questo comitato è grande quanto tutta l’umanità. Pertanto io ribadisco con forza che la ricerca non va ideologizzata, come ben sa ogni pensatore filosofo della scienza o studioso dell’etica della conoscenza (Monod, Cavalli Sforza, ecc.). La ricerca va invece liberata dalle ideologie, e con essa anche l’insegnamento. L’etica della conoscenza che ha come suo fondamento il dato oggettivo si pone a difesa della scienza dalle ideologie, procedendo dalla storia antica, a Galileo, a Darwin, per ipotesi e teorie. Queste ultime, come ognuno sa, ritenute valide finché non confutate, falsificate per dirla con Karl Popper. La differenza tra l’etica della conoscenza, quindi la scienza, e l’ideologia è che la prima desidera, ambisce, in virtù del proprio statuto etico, ad essere confutata, la seconda farà invece di tutto per mantenersi valida, ben salda al potere, sia esso dittatoriale, paternalista (sempre di comodo e ipocrita) o costruito su basi democratiche. Secondo Josè Saramago l’attuale democrazia è imperfetta e nel suo ultimo “Quaderno” indica come prossimo e indispensabile obiettivo quello di inventarne una nuova, forse, dico io, basata sull’etica della conoscenza. Va peraltro detto che una ricerca scientifica per essere tale non è mai monogama intellettualmente, che è sempre animata da continui rimandi e integrazioni con altre discipline, come appare chiaro ad esempio dal grafico dell’Enciclopedia Einaudi, e come anche noi dell’ex Dipartimento DAU abbiamo dimostrato di aver capito nel 2005 e nel 2008 con la pubblicazione di due volumi degli Annali, titolati “Intersezioni” e “Nella Ricerca”. Telmo Pievani, ad esempio, usa il termine “gettare ponti sottili” quando prende in prestito i saperi di un’altra disciplina e li interseca con quelli della propria, operazione che fanno quasi tutti i ricercatori. Luigi Luca Cavalli Sforza nei suoi studi alla Stanford University sulle popolazioni, utilizza la genetica, la paleontologia, l’archeologia, l’ecologia, la storia, la demografia, la sociologia, l’antropologia culturale e altre scienze. Pertanto la monogamia intellettuale non ha nulla a che vedere con il fare ricerca, né nelle scienze dell’Ingegneria civile e dell’Architettura, né in ogni altra scienza. Quindi siamo tutti d’accordo con Rossi. Ma perché allora, mi chiedo, immettere il virus del non senso per poi costruire un antidoto per porvi rimedio? Perché dare vita al non senso individuandolo come tale? Qualcuno mi può aiutare a capire se l’inventare un’assurdità per poi combatterla fa parte di un qualche metodo scientifico, magari anche esotico? E’ per caso un vaccino? E se lo è, perché per prudenza non leggere sull’etichetta se per caso non fosse scaduto da 150 (Darwin) o da 400 anni (Galileo)? Se poi con questa terminologia (certamente suggestiva perché richiama il matrimonio che, se di rito cristiano, per gli esseri umani è un sacramento e che quindi induce a libere associazioni di pensiero quali il peccato, ma poi anche il tradimento, l’infedeltà e ad altre anche più fantasiose) si vuole intendere che oggi bisogna collocarsi a metà strada tra gli evoluzionisti e i neo-creazionisti, allora questo è un altro discorso. La sopravvivenza del più forte (the survival of the fittest, di Herbert Spencer) oggi da sola non soddisfa l’evoluzione culturale, va quindi mutuata e regolata da questioni largamente condivise su base democratica - però secondo la nuova democrazia auspicata da Saramago - questioni sostenibili per tutta l’umanità sul pianeta terra. Ecco che lo slogan di Rossi, una volta precipitati i significati apportatigli dall’infelice parola, una volta fatti emergere quelli positivi per la società secondo le regole di un’ermeneutica scientifica che va “verso” le cose e ne ricerca con apertura i valori, riprende vitalità e interesse, almeno in quelle scienze che hanno a che fare con l’ambiente dell’uomo. In quelle altre scienze, molto più specialistiche, bisogna invece saper rinunciare agli slogan, camminare senza far rumore. Vorrei concludere queste brevi riflessioni a favore di una ricerca libera dalle ideologie con una citazione di Jacques Monod, a mio avviso una lezione magistrale sulla misura del dire le cose e del fare ricerca scientifica e umanistica. L’etica della conoscenza nel definire “un valore trascendente, la conoscenza vera, propone all’uomo di non servirsene ma ormai di servirla con una scelta deliberata e cosciente… L’etica della conoscenza è anche, in un certo senso, conoscenza dell’etica, delle pulsioni, delle passioni, delle esigenze e dei limiti dell’essere biologico. Nell’uomo essa sa riconoscere l’animale prezioso per la sua stessa stranezza, essere che, appartenendo contemporaneamente a due regni – la biosfera e il regno delle idee – è al tempo stesso torturato e arricchito da questo dualismo lacerante che si esprime nell’arte, nella poesia e nell’amore umano. I sistemi animistici, invece, hanno tutti più o meno voluto ignorare, avvilire o reprimere l’uomo biologico, provocare in lui orrore e terrore di alcuni aspetti relativi alla sua condizione animale. L’etica della conoscenza, al contrario, incoraggia l’uomo a rispettare e ad accettare questo retaggio pur riuscendo, quando è il caso, a dominarlo. Riguardo le più elevate qualità umane – il coraggio, l’altruismo, la generosità, l’ambizione creatrice – essa, pur riconoscendone l’origine sociobiologica, ne afferma anche il valore trascendente al servizio dell’idea che definisce.” (Monod, J. Il caso e la necessità, Oscar Mondadori, Milano 2007, pp. 153, 161).

Verso la fecondità intellettuale, presS/Tletter n_30-2010 / Lenci, Ruggero. - ELETTRONICO. - (2010).

Verso la fecondità intellettuale, presS/Tletter n_30-2010

LENCI, Ruggero
2010

Abstract

L’otto novembre scorso si è svolto, presso la Facoltà di Architettura di Roma “Ludovico Quaroni”, un incontro sul tema “Fare ricerca nelle scienze dell’Ingegneria civile e dell’Architettura”. Ho partecipato alla tavola rotonda con un intervento dal titolo “Verso la fecondità intellettuale” che prende spunto dal titolo metaforico della relazione di Piero Ostilio Rossi “Contro la monogamia intellettuale”. Se tale relazione costituisce un documento molto interessante e articolato, che consta di qualche migliaio di parole, il suo titolo, di quattro parole, ne offusca a mio avviso i contenuti scientifici. Ritengo che le riflessioni che seguono e che motivano questo mio sentire possano essere di qualche interesse. Perché ho scelto come titolo “verso la fecondità intellettuale”? Nella filosofia delle scienze, fecondità significa l’abilità di una teoria scientifica ad aprire nuove linee di investigazione teorica. Aprire nuovi filoni di ricerca è un’attività non solo pertinente ma anche di importanza vitale per fare ricerca scientifica negli ambiti che ci interessano. Pertanto fare ricerca in modo fecondo (anche nelle scienze dell’Ingegneria civile e dell’Architettura) vuol dire aprire il proprio intelletto a nuove linee di investigazione teorica. Perché invece il titolo “Contro la monogamia intellettuale” non mi convince? Ritengo sia preferibile andare “verso” le cose che ci interessano piuttosto che “contro” quelle che non ci interessano, perché queste ultime cadano da sole. Ciò in quanto fare ricerca contiene in sé l’idea di continuità, di prendere le cose per il loro verso e portarle avanti con apertura, attitudine così cara alla filosofia delle scienze. La monogamia è l'unione matrimoniale di due esseri viventi. Il termine deriva dal greco mònos, unico, e gàmos, nozze. Con specie monogama ci si riferisce a quelle specie animali in cui la coppia non si separa mai, aiutandosi in simultanea fino alla morte. Alcuni critici della monogamia tra gli umani, come Andrew Sullivan, sostengono che essa produce un dannoso rifiuto di se stessi perché priva le persone dall’esperire i propri istinti naturali, quindi, per dirla in senso metaforico con Rossi, del proprio intelletto. Egli infatti ama le metafore, come si evince dal suo libro del 1996 dal titolo La costruzione del progetto architettonico (Laterza). E’ evidentemente anche per questo motivo che ha coniato uno slogan sulla parola monogamia che potrebbe avere una certa presa di questi tempi nei quali vi è un confronto serrato tra evoluzionisti e neocreazionisti, a 201 anni dalla nascita di Charles Darwin. Pertanto il significato dello slogan, al di là dell’uso secondo me non appropriato della parola “monogamia”, andrebbe benissimo, se però non fosse del tutto scontato. Ciò anche e soprattutto perché si avverte in esso l’agitarsi del pericoloso fantasma che da sempre tende a ideologizzare la ricerca, volendola aprire a una base democratica che la scelta del termine “monogamia”, ovvero la sua negazione in campo intellettuale, sottende. Questo slogan, inedito, trasmette l’idea che le attività intellettuali buone e sostenibili, siano da ritenersi tali solo se largamente condivise da un’ampia base democratica. Forse oggi è più vero di ieri. Però, poveri Leonardo e Galileo! Povera evoluzione delle idee e della cultura che hanno dovuto lottare battaglie feroci contro le ideologie. Senza le loro, e di altri come loro, coraggiose voci fuori dal coro, non vi sarebbe stata l’evoluzione culturale. Arrestato nel suo sviluppo è chi pensa che l’essere umano si sia ormai evoluto così tanto culturalmente, intellettualmente, che più non si può, che più non si deve, e che perciò ci si debba fermare, accontentare. Che qualsiasi idea, specie quelle di menti “monogame”, debba essere passata al vaglio di un comitato di saggi-ideologi-soloni. L’umanità questo comitato non lo vuole! O, per meglio dire, questo comitato è grande quanto tutta l’umanità. Pertanto io ribadisco con forza che la ricerca non va ideologizzata, come ben sa ogni pensatore filosofo della scienza o studioso dell’etica della conoscenza (Monod, Cavalli Sforza, ecc.). La ricerca va invece liberata dalle ideologie, e con essa anche l’insegnamento. L’etica della conoscenza che ha come suo fondamento il dato oggettivo si pone a difesa della scienza dalle ideologie, procedendo dalla storia antica, a Galileo, a Darwin, per ipotesi e teorie. Queste ultime, come ognuno sa, ritenute valide finché non confutate, falsificate per dirla con Karl Popper. La differenza tra l’etica della conoscenza, quindi la scienza, e l’ideologia è che la prima desidera, ambisce, in virtù del proprio statuto etico, ad essere confutata, la seconda farà invece di tutto per mantenersi valida, ben salda al potere, sia esso dittatoriale, paternalista (sempre di comodo e ipocrita) o costruito su basi democratiche. Secondo Josè Saramago l’attuale democrazia è imperfetta e nel suo ultimo “Quaderno” indica come prossimo e indispensabile obiettivo quello di inventarne una nuova, forse, dico io, basata sull’etica della conoscenza. Va peraltro detto che una ricerca scientifica per essere tale non è mai monogama intellettualmente, che è sempre animata da continui rimandi e integrazioni con altre discipline, come appare chiaro ad esempio dal grafico dell’Enciclopedia Einaudi, e come anche noi dell’ex Dipartimento DAU abbiamo dimostrato di aver capito nel 2005 e nel 2008 con la pubblicazione di due volumi degli Annali, titolati “Intersezioni” e “Nella Ricerca”. Telmo Pievani, ad esempio, usa il termine “gettare ponti sottili” quando prende in prestito i saperi di un’altra disciplina e li interseca con quelli della propria, operazione che fanno quasi tutti i ricercatori. Luigi Luca Cavalli Sforza nei suoi studi alla Stanford University sulle popolazioni, utilizza la genetica, la paleontologia, l’archeologia, l’ecologia, la storia, la demografia, la sociologia, l’antropologia culturale e altre scienze. Pertanto la monogamia intellettuale non ha nulla a che vedere con il fare ricerca, né nelle scienze dell’Ingegneria civile e dell’Architettura, né in ogni altra scienza. Quindi siamo tutti d’accordo con Rossi. Ma perché allora, mi chiedo, immettere il virus del non senso per poi costruire un antidoto per porvi rimedio? Perché dare vita al non senso individuandolo come tale? Qualcuno mi può aiutare a capire se l’inventare un’assurdità per poi combatterla fa parte di un qualche metodo scientifico, magari anche esotico? E’ per caso un vaccino? E se lo è, perché per prudenza non leggere sull’etichetta se per caso non fosse scaduto da 150 (Darwin) o da 400 anni (Galileo)? Se poi con questa terminologia (certamente suggestiva perché richiama il matrimonio che, se di rito cristiano, per gli esseri umani è un sacramento e che quindi induce a libere associazioni di pensiero quali il peccato, ma poi anche il tradimento, l’infedeltà e ad altre anche più fantasiose) si vuole intendere che oggi bisogna collocarsi a metà strada tra gli evoluzionisti e i neo-creazionisti, allora questo è un altro discorso. La sopravvivenza del più forte (the survival of the fittest, di Herbert Spencer) oggi da sola non soddisfa l’evoluzione culturale, va quindi mutuata e regolata da questioni largamente condivise su base democratica - però secondo la nuova democrazia auspicata da Saramago - questioni sostenibili per tutta l’umanità sul pianeta terra. Ecco che lo slogan di Rossi, una volta precipitati i significati apportatigli dall’infelice parola, una volta fatti emergere quelli positivi per la società secondo le regole di un’ermeneutica scientifica che va “verso” le cose e ne ricerca con apertura i valori, riprende vitalità e interesse, almeno in quelle scienze che hanno a che fare con l’ambiente dell’uomo. In quelle altre scienze, molto più specialistiche, bisogna invece saper rinunciare agli slogan, camminare senza far rumore. Vorrei concludere queste brevi riflessioni a favore di una ricerca libera dalle ideologie con una citazione di Jacques Monod, a mio avviso una lezione magistrale sulla misura del dire le cose e del fare ricerca scientifica e umanistica. L’etica della conoscenza nel definire “un valore trascendente, la conoscenza vera, propone all’uomo di non servirsene ma ormai di servirla con una scelta deliberata e cosciente… L’etica della conoscenza è anche, in un certo senso, conoscenza dell’etica, delle pulsioni, delle passioni, delle esigenze e dei limiti dell’essere biologico. Nell’uomo essa sa riconoscere l’animale prezioso per la sua stessa stranezza, essere che, appartenendo contemporaneamente a due regni – la biosfera e il regno delle idee – è al tempo stesso torturato e arricchito da questo dualismo lacerante che si esprime nell’arte, nella poesia e nell’amore umano. I sistemi animistici, invece, hanno tutti più o meno voluto ignorare, avvilire o reprimere l’uomo biologico, provocare in lui orrore e terrore di alcuni aspetti relativi alla sua condizione animale. L’etica della conoscenza, al contrario, incoraggia l’uomo a rispettare e ad accettare questo retaggio pur riuscendo, quando è il caso, a dominarlo. Riguardo le più elevate qualità umane – il coraggio, l’altruismo, la generosità, l’ambizione creatrice – essa, pur riconoscendone l’origine sociobiologica, ne afferma anche il valore trascendente al servizio dell’idea che definisce.” (Monod, J. Il caso e la necessità, Oscar Mondadori, Milano 2007, pp. 153, 161).
2010
presS/Tletter n_30-2010 (elettronico)
Fecondità intellettuale; monogamia intellettuale; curiosità intellettuale
02 Pubblicazione su volume::02b Commentario
Verso la fecondità intellettuale, presS/Tletter n_30-2010 / Lenci, Ruggero. - ELETTRONICO. - (2010).
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