La Commissione Europea, nel Libro Bianco del 2001, ha sancito l’obiettivo di ridurre del 50% il numero di vittime entro il 2010. Che tale obiettivo sia di difficile conseguimento è dimostrato dal fatto che, comunque, finora solo Lettonia (-55%), Spagna (-51%), Portogallo ed Estonia (-50%) sono riusciti nell’impresa; tuttavia il risultato per l’Italia (che fino al 2008 aveva raggiunto una riduzione dell’incidentalità pari al 33% secondo i dati del 2010 forniti dalla Commissione Europea, DG TREN) è da inquadrarsi in un processo iniziato ormai quasi trenta anni fa. Infatti, a partire dagli anni ’80 mentre per alcuni paesi il numero di sinistri è andato progressivamente diminuendo, l’incidentalità sul territorio nazionale ha subito tre fasi: un iniziale, contenuto decremento (anni ’80), una ripresa forte in controtendenza a quanto avveniva all’estero (fino a circa il 2002) ed infine una sensibile diminuzione (a tutt’oggi). Questa immagine a luci ed ombre è dettata dal permanere di alcune criticità e segnatamente: - La principale iniziativa a livello nazionale, il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, non è in grado di recuperare la situazione negativa che ha caratterizzato gli anni ’90, in quanto ancora ai primi stadi. - La gestione della sicurezza stradale, a livello locale, presenta punte di eccellenza in alcune aree a cui corrispondono, altrove, sacche di assoluta arretratezza. - Le analisi dell’incidentalità rimangono ancorate a schemi quantitativi mirati a ricostruire scenari in cui si tende ad individuare la causa principale o prevalente che ha generato l’evento, con la conseguente eccessiva semplificazione nell’interpretazione del fenomeno; tuttavia è noto come, al contrario, sia appropriato distinguere fra una serie di concause a cui si somma il contributo di una serie di fattori esogeni (di natura ambientale, culturale, sociale, politica) al fine di individuare il reale quadro causale dell’evento incidentoso e proporre rimedi con questo coerenti. - Oltre a tali discrepanze, sussistono ulteriori differenze qualitative nei fenomeni incidentosi che non vengono considerate in maniera appropriata: ad esempio, secondo ERSO - Annual Statistical Report 2007, il numero totale di incidenti, in Italia, con esito mortale si divide fra un 42% circa che si verifica in area urbana e un 58% che avviene in ambito extraurbano; se si considerano le sole utenze deboli non motorizzate, tale rapporto si ribalta (72 % in aree urbane e 28% in aree extraurbane); tuttavia, non esistono strumenti o contromisure consolidati, specificamente dedicati all’una o all’altra situazione. Ciò porta a considerare la permanenza di una scarsa attenzione nei confronti di alcune classi di utenti della strada (pedoni, ciclisti, motociclisti, guidatori di microcar, ecc.), rispetto al loro peso nel bilancio totale dell’incidentalità e per le quali sarebbe importante approntare strumenti regolatori dedicati. - Analogamente al divario territoriale, esiste un divario operativo: alcune prassi sono divenute ormai consolidate in determinati comparti (per es. uso di ITS, soprattutto in ambito extraurbano), mentre altre sono ancora poco applicate. - Non esiste un’immagine sociale del controllo La memoria prenderà in esame tali criticità, approfondendone l’analisi e fornendo ipotesi risolutive sulla scorta di buone pratiche e politiche di eccellenza applicate all’estero, anche alla luce delle opportunità di rinnovamento fornite dalla recente Direttiva 2008/96/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali.

Le politiche di sicurezza stradale in Italia: analisi dell’incidentalità e potenziali sviluppi regolatori / Musso, Antonio; Corazza, MARIA VITTORIA. - STAMPA. - (2010), pp. 147-154. (Intervento presentato al convegno XXVI Convegno nazionale stradale AIPCR tenutosi a Roma nel 29 ottobre 2010).

Le politiche di sicurezza stradale in Italia: analisi dell’incidentalità e potenziali sviluppi regolatori

MUSSO, Antonio;CORAZZA, MARIA VITTORIA
2010

Abstract

La Commissione Europea, nel Libro Bianco del 2001, ha sancito l’obiettivo di ridurre del 50% il numero di vittime entro il 2010. Che tale obiettivo sia di difficile conseguimento è dimostrato dal fatto che, comunque, finora solo Lettonia (-55%), Spagna (-51%), Portogallo ed Estonia (-50%) sono riusciti nell’impresa; tuttavia il risultato per l’Italia (che fino al 2008 aveva raggiunto una riduzione dell’incidentalità pari al 33% secondo i dati del 2010 forniti dalla Commissione Europea, DG TREN) è da inquadrarsi in un processo iniziato ormai quasi trenta anni fa. Infatti, a partire dagli anni ’80 mentre per alcuni paesi il numero di sinistri è andato progressivamente diminuendo, l’incidentalità sul territorio nazionale ha subito tre fasi: un iniziale, contenuto decremento (anni ’80), una ripresa forte in controtendenza a quanto avveniva all’estero (fino a circa il 2002) ed infine una sensibile diminuzione (a tutt’oggi). Questa immagine a luci ed ombre è dettata dal permanere di alcune criticità e segnatamente: - La principale iniziativa a livello nazionale, il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, non è in grado di recuperare la situazione negativa che ha caratterizzato gli anni ’90, in quanto ancora ai primi stadi. - La gestione della sicurezza stradale, a livello locale, presenta punte di eccellenza in alcune aree a cui corrispondono, altrove, sacche di assoluta arretratezza. - Le analisi dell’incidentalità rimangono ancorate a schemi quantitativi mirati a ricostruire scenari in cui si tende ad individuare la causa principale o prevalente che ha generato l’evento, con la conseguente eccessiva semplificazione nell’interpretazione del fenomeno; tuttavia è noto come, al contrario, sia appropriato distinguere fra una serie di concause a cui si somma il contributo di una serie di fattori esogeni (di natura ambientale, culturale, sociale, politica) al fine di individuare il reale quadro causale dell’evento incidentoso e proporre rimedi con questo coerenti. - Oltre a tali discrepanze, sussistono ulteriori differenze qualitative nei fenomeni incidentosi che non vengono considerate in maniera appropriata: ad esempio, secondo ERSO - Annual Statistical Report 2007, il numero totale di incidenti, in Italia, con esito mortale si divide fra un 42% circa che si verifica in area urbana e un 58% che avviene in ambito extraurbano; se si considerano le sole utenze deboli non motorizzate, tale rapporto si ribalta (72 % in aree urbane e 28% in aree extraurbane); tuttavia, non esistono strumenti o contromisure consolidati, specificamente dedicati all’una o all’altra situazione. Ciò porta a considerare la permanenza di una scarsa attenzione nei confronti di alcune classi di utenti della strada (pedoni, ciclisti, motociclisti, guidatori di microcar, ecc.), rispetto al loro peso nel bilancio totale dell’incidentalità e per le quali sarebbe importante approntare strumenti regolatori dedicati. - Analogamente al divario territoriale, esiste un divario operativo: alcune prassi sono divenute ormai consolidate in determinati comparti (per es. uso di ITS, soprattutto in ambito extraurbano), mentre altre sono ancora poco applicate. - Non esiste un’immagine sociale del controllo La memoria prenderà in esame tali criticità, approfondendone l’analisi e fornendo ipotesi risolutive sulla scorta di buone pratiche e politiche di eccellenza applicate all’estero, anche alla luce delle opportunità di rinnovamento fornite dalla recente Direttiva 2008/96/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali.
2010
XXVI Convegno nazionale stradale AIPCR
sicurezza stradale
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
Le politiche di sicurezza stradale in Italia: analisi dell’incidentalità e potenziali sviluppi regolatori / Musso, Antonio; Corazza, MARIA VITTORIA. - STAMPA. - (2010), pp. 147-154. (Intervento presentato al convegno XXVI Convegno nazionale stradale AIPCR tenutosi a Roma nel 29 ottobre 2010).
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