Se la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi (von CLAUSEWITZ, Della guerra), perché non dimostrare che il diritto è la continuazione della politica con i mezzi propri? Già da queste poche parole dovrebbe esser chiara l’intuizione che guida tutta la ricerca. Si pone in luce un fattore inesplorato: tanto la guerra quanto il diritto sono strumenti a disposizione delle classi dominanti per raggiunger i propri scopi. E così si spiega la differenza degli ordinamenti giuridici secondo il tempo e secondo il luogo. La guerra è una cattiva maestra: non solo si serve di mezzi diversi dal diritto ma soprattutto ricorre ad atti di forza che hanno per scopo quello di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà (von CLAUSEWITZ). Nel corso dell’opera si cerca di dimostrare che il diritto è un’arte alternativa alla guerra e alla rivoluzione per risolvere le controversie. Per arrivare a questa conclusione radicalmente nuova occorre superare un ostacolo creato in passato da alcuni studiosi: l’esistenza del diritto bellico. Esso si fonderebbe su tre pilastri lo ius ad bellum, lo ius in bello, lo ius post bellum. Il primo (lo ius ad bellum) è crollato con la nascita nell’ordinamento internazionale delle Nazioni Unite che si sono poste lo scopo di vietare la guerra di aggressione. L’ultimatum e la dichiarazione di guerra come principali atti dello ius ad bellum, quindi, sono diventati controproducenti e sono caduti in desuetudine: farebbero passare per aggressore chi se ne servisse. Il secondo (lo ius in bello) costituisce il pilastro più difficile da demolire. Tuttavia nella metà dell’Ottocento ha incominciato a farsi largo un vero diritto (il diritto umanitario) che ha iniziato a porre alcuni freni alla guerra per motivi non bellici ma umanitari. Questo è lo scopo di alcune importanti organizzazioni come la Croce Rossa Internazionale e le altre che sono nate successivamente con lo scopo di soccorrere i feriti e di umanizzare le condizioni dei prigionieri, e porre qualche freno al flagello della guerra con l’introduzione di alcuni divieti che però non sono tali da trasformare il conflitto armato in qualcosa di giuridico: in un alcunché di assimilabile anche lontanamente ad un processo giuridico. Non si può avvicinare neanche al duello, per l’assenza di coloro che (come ad esempio, i padrini) avrebbero il compito di controllare il rispetto delle regole. Lo ius post bellum è stato da sempre l’anello più debole del sistema. Così come la guerra ha inizio quando i rapporti tra le parti in conflitto sono degenerati a tal punto che si è passati dalla trattativa politica e giuridica all’uso delle armi da guerra, altrettanto può dirsi alla fine del conflitto, per la rinascita del diritto. Si tratta di alternanza come tra la notte e il giorno. Le trattative di pace e i successivi accordi segnano la fine della guerra e il ritorno all’uso dello strumentario giuridico. Durante la notte del diritto (questa è la guerra) possono essere accese alcune fiaccole (come le regole di diritto umanitario) ma queste non hanno la capacità di trasformare il buio della notte nella luce del giorno. Si evidenzia, dunque, che la funzione del diritto è quella di prevenire e risolvere i conflitti attraverso due modelli fondamentali: il diritto sostanziale e quello processuale. Il rispetto delle regole del diritto sostanziale da parte dei consociati ha il compito di fornire le regole per evitare l’insorgere dei conflitti; ma quando essi sorgono ugualmente, l’uso del diritto processuale è deputato a risolverli. In conclusione: la guerra e la rivoluzione sono gli strumenti alternativi a quelli giuridici per tentare di risolvere una controversia tra ordinamenti giuridici contrapposti.

Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i conflitti armati tra ordinamenti giuridici / Federici, Renato. - STAMPA. - (2010), pp. 1-309.

Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i conflitti armati tra ordinamenti giuridici

FEDERICI, Renato
2010

Abstract

Se la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi (von CLAUSEWITZ, Della guerra), perché non dimostrare che il diritto è la continuazione della politica con i mezzi propri? Già da queste poche parole dovrebbe esser chiara l’intuizione che guida tutta la ricerca. Si pone in luce un fattore inesplorato: tanto la guerra quanto il diritto sono strumenti a disposizione delle classi dominanti per raggiunger i propri scopi. E così si spiega la differenza degli ordinamenti giuridici secondo il tempo e secondo il luogo. La guerra è una cattiva maestra: non solo si serve di mezzi diversi dal diritto ma soprattutto ricorre ad atti di forza che hanno per scopo quello di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà (von CLAUSEWITZ). Nel corso dell’opera si cerca di dimostrare che il diritto è un’arte alternativa alla guerra e alla rivoluzione per risolvere le controversie. Per arrivare a questa conclusione radicalmente nuova occorre superare un ostacolo creato in passato da alcuni studiosi: l’esistenza del diritto bellico. Esso si fonderebbe su tre pilastri lo ius ad bellum, lo ius in bello, lo ius post bellum. Il primo (lo ius ad bellum) è crollato con la nascita nell’ordinamento internazionale delle Nazioni Unite che si sono poste lo scopo di vietare la guerra di aggressione. L’ultimatum e la dichiarazione di guerra come principali atti dello ius ad bellum, quindi, sono diventati controproducenti e sono caduti in desuetudine: farebbero passare per aggressore chi se ne servisse. Il secondo (lo ius in bello) costituisce il pilastro più difficile da demolire. Tuttavia nella metà dell’Ottocento ha incominciato a farsi largo un vero diritto (il diritto umanitario) che ha iniziato a porre alcuni freni alla guerra per motivi non bellici ma umanitari. Questo è lo scopo di alcune importanti organizzazioni come la Croce Rossa Internazionale e le altre che sono nate successivamente con lo scopo di soccorrere i feriti e di umanizzare le condizioni dei prigionieri, e porre qualche freno al flagello della guerra con l’introduzione di alcuni divieti che però non sono tali da trasformare il conflitto armato in qualcosa di giuridico: in un alcunché di assimilabile anche lontanamente ad un processo giuridico. Non si può avvicinare neanche al duello, per l’assenza di coloro che (come ad esempio, i padrini) avrebbero il compito di controllare il rispetto delle regole. Lo ius post bellum è stato da sempre l’anello più debole del sistema. Così come la guerra ha inizio quando i rapporti tra le parti in conflitto sono degenerati a tal punto che si è passati dalla trattativa politica e giuridica all’uso delle armi da guerra, altrettanto può dirsi alla fine del conflitto, per la rinascita del diritto. Si tratta di alternanza come tra la notte e il giorno. Le trattative di pace e i successivi accordi segnano la fine della guerra e il ritorno all’uso dello strumentario giuridico. Durante la notte del diritto (questa è la guerra) possono essere accese alcune fiaccole (come le regole di diritto umanitario) ma queste non hanno la capacità di trasformare il buio della notte nella luce del giorno. Si evidenzia, dunque, che la funzione del diritto è quella di prevenire e risolvere i conflitti attraverso due modelli fondamentali: il diritto sostanziale e quello processuale. Il rispetto delle regole del diritto sostanziale da parte dei consociati ha il compito di fornire le regole per evitare l’insorgere dei conflitti; ma quando essi sorgono ugualmente, l’uso del diritto processuale è deputato a risolverli. In conclusione: la guerra e la rivoluzione sono gli strumenti alternativi a quelli giuridici per tentare di risolvere una controversia tra ordinamenti giuridici contrapposti.
2010
9788863421675
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Guerra o diritto? Il diritto umanitario e i conflitti armati tra ordinamenti giuridici / Federici, Renato. - STAMPA. - (2010), pp. 1-309.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/195274
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