That fiscal constraints on the choices regarding financial structure is a classic theme of business economics. There is by now a fairly widespread consensus on the fact that the asymmetric treatment reserved by many jurisdictions, the charges related to the remuneration of the different sources of funding influences the choices regarding the most appropriate composition of liabilities. Above all, the ability to deduct the costs of debt service from the taxable income of the company, compared to a full taxation of the product, it helps to encourage the use of borrowed capital. The Finance Act 2008 amended the tax treatment of interest expense, by providing a mechanism that limits the deductibility on the basis of their size relative to the value of the gross operating profit. The intervention of the legislature immediately raised doubts. In particular, it was alleged that limit the deductibility of costs, such as interest expense, which are considered closely related management might be in breach of the general principle of ability to pay, or at least, in an unfair disadvantage for companies forced to resort to the debt for the cover their financial needs. On this point, without wanting to give an opinion on the specific amendment by financial, since that judgment would require an analysis of the consistency of the institute introduced with the overall system of tax laws, you may find that there are several arguments that point to consider a positive approach to the tax treatment of debt in the capital. First of all, the arguments remain valid notes of classical finance, for which the incentive to resort to debt that produce certain jurisdictions, is an undue intrusion into the field of managerial choices. In this regard, on a concrete floor, it may be noted that the tax incentive to businesses sottocapitalizzare results in a bias of the reasons why third-party creditors who may exercise less bargaining power against the company, suppliers and employees in the first place. There is another reason that can justify an approach tending to the equalization of the tax treatment of the remuneration of the securities issued by the company, irrespective of their nature and qualification. It is constituted by the fact that, consequently widening the categories of securities issuable by the companies and the extreme freedom granted in configure its features, in some cases it has become very difficult to classify the financial instrument and the associated remuneration. The recognition of the classification criteria laid down by their national accounting requirements under IFRS, and confirms these difficulties, caused by the existence of "gray areas" between the capital and the debt itself, within which the final choice on the nature of the instrument can not be that of conventional bases. The need to identify suitable criteria to break down the passive in two major categories consist of the net assets and financial liabilities in the strict sense is not discussed. A clear separation of capital from the rest of the liabilities, but not limited to, facilitate the determination of the value of the action issued by the company, allows a clearer understanding of the cost structure, it is functional application of all the rules in which the budget plays an "organizational". These needs are well advised major international accounting bodies that have addressed the issue in recent times, and proposed new classification criteria, including their alternative. Different approaches are based, in turn, on the enhancement of a specific characteristic of the security assessment. If present in the system of IFRS, to lead the editor of the budget in the classification of the title is the existence of an obligation to repay, the proposal made by the FASB, and recovery by the IASB, the factor becomes nullifying the placement of the title in hierarchy that identifies the rights assigned to each instrument: only the titles that put their holder in position w

Quello dei condizionamenti fiscali sulle scelte in materia di struttura finanziaria è un tema classico dell’economia aziendale. Esiste, ormai, un consenso abbastanza generalizzato sul fatto che il trattamento asimmetrico riservato da molti ordinamenti fiscali agli oneri legati alla remunerazione delle diverse fonti di finanziamento influenzi le scelte in merito alla più opportuna composizione del passivo. Soprattutto, la possibilità di dedurre i costi legati al servizio del debito dal reddito imponibile dell’impresa, a fronte di una completa tassazione dell’utile prodotto, contribuisce ad incentivare il ricorso al capitale di credito. La legge finanziaria 2008 ha modificato il regime fiscale degli interessi passivi, prevedendo un meccanismo che ne limita la deducibilità sulla base della loro entità rispetto al valore del risultato operativo lordo. L’intervento del legislatore ha immediatamente sollevato dubbi. In particolare, è stato contestato che limitare la deducibilità di costi, quali gli interessi passivi, ritenuti strettamente afferenti la gestione potrebbe configurare una violazione del principio generale di capacità contributiva, o quantomeno, una ingiustificata penalizzazione per le imprese costrette a ricorrere al debito per la copertura del loro fabbisogno finanziario. Sul punto, senza voler dare un giudizio sulla specifica modifica apportata dalla finanziaria, atteso che tale giudizio richiederebbe un’analisi della coerenza dell’istituto introdotto con il sistema complessivo delle norme tributarie, si può riscontrare l’esistenza di svariati argomenti che inducono a considerare positivamente l’avvicinamento del trattamento fiscale del debito a quello del capitale. Anzitutto rimangono valide le argomentazioni note della finanza classica, per le quali l’incentivo al ricorso al debito che taluni ordinamenti fiscali producono rappresenta un’indebita intrusione nel campo delle scelte manageriali. A questo riguardo, su un piano concreto, si può rilevare che l’incentivo fiscale a sottocapitalizzare le imprese si traduce in un pregiudizio delle ragioni dei terzi creditori che meno potere contrattuale possono esercitare nei confronti dell’impresa, fornitori e dipendenti in primo luogo. Esiste un’altra ragione che può giustificare un approccio fiscale tendente all’equiparazione del trattamento riservato alla remunerazione dei titoli emessi dall’impresa, indipendentemente dalla loro natura e qualificazione. È costituita dal fatto che, conseguentemente all’ampliamento delle categorie di titoli emettibili dalle imprese e all’estrema libertà concessa nel configurarne le caratteristiche, in alcune fattispecie è divenuto assai arduo classificare lo strumento finanziario e la connessa remunerazione. La ricognizione dei criteri di classificazione previsti dalla normativa contabile nazionale e dagli IFRS conferma queste difficoltà, legate all’esistenza di “zone grigie” tra il capitale propriamente detto ed il debito, all’interno delle quali la scelta definitiva sulla natura dello strumento non può farsi che su basi convenzionali. Della necessità di individuare criteri idonei a scomporre il passivo in due macrocategorie costituite dal patrimonio netto e dalle passività finanziarie in senso stretto non si discute. Una netta separazione del capitale dal resto delle passività, a titolo puramente esemplificativo, agevola la determinazione del valore dell’azioni emesse dall’impresa, consente una più chiara comprensione della struttura dei costi, è funzionale all’applicazione di tutte quelle norme nella quali il bilancio assume una funzione “organizzativa”. Di queste esigenze sono ben avvertiti i principali organismi contabili internazionali, che hanno affrontato il tema in tempi recenti ed hanno proposto nuovi criteri di classificazione, tra loro alternativi. I diversi approcci si basano, di volta in volta, sulla valorizzazione di una caratteristica specifica del titolo oggetto di valutazione. Se, nell’impianto attuale degli IFRS, a guidare il redattore del bilancio nella classificazione del titolo è l’esistenza di un obbligo di rimborso, nella proposta formulata dal FASB, e ripresa dallo stesso IASB, il fattore dirimente diviene la collocazione del titolo nella scala gerarchica che individua i diritti attribuiti a ciascuno strumento: soltanto ai titoli che pongono il loro detentore nella posizione più residuale riguardo al diritto a rifarsi sull’attivo dell’impresa viene riconosciuta la natura di capitale. A questa proposta si è contrapposta quella del PAAinE, incentrata sulla considerazione dell’attitudine dello strumento emesso ad assorbire le perdite generate dalla gestione. A seconda del punto di vista assunto e della finalità attribuita al bilancio, queste diverse logiche di classificazione appaiono tutte ragionevoli, tutte, per qualche verso, criticabili. Da qui il giudizio positivo su un’evoluzione della normativa fiscale che, tenuto conto della convenzionalità di questi criteri di classificazione, va nella direzione di una tendenziale equiparazione del trattamento da riservare alle diverse classi di titoli.

LA CLASSIFICAZIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI EMESSI DALLE IMPRESE. CONSIDERAZIONI CIRCA I POSSIBILI CRITERI DI RAPPRESENTAZIONE IN BILANCIO E IL PIU' OPPORTUNO TRATTAMENTO AI FINI FISCALI / Sura, Alessandro. - STAMPA. - (2009), pp. 1-100.

LA CLASSIFICAZIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI EMESSI DALLE IMPRESE. CONSIDERAZIONI CIRCA I POSSIBILI CRITERI DI RAPPRESENTAZIONE IN BILANCIO E IL PIU' OPPORTUNO TRATTAMENTO AI FINI FISCALI

SURA, ALESSANDRO
2009

Abstract

That fiscal constraints on the choices regarding financial structure is a classic theme of business economics. There is by now a fairly widespread consensus on the fact that the asymmetric treatment reserved by many jurisdictions, the charges related to the remuneration of the different sources of funding influences the choices regarding the most appropriate composition of liabilities. Above all, the ability to deduct the costs of debt service from the taxable income of the company, compared to a full taxation of the product, it helps to encourage the use of borrowed capital. The Finance Act 2008 amended the tax treatment of interest expense, by providing a mechanism that limits the deductibility on the basis of their size relative to the value of the gross operating profit. The intervention of the legislature immediately raised doubts. In particular, it was alleged that limit the deductibility of costs, such as interest expense, which are considered closely related management might be in breach of the general principle of ability to pay, or at least, in an unfair disadvantage for companies forced to resort to the debt for the cover their financial needs. On this point, without wanting to give an opinion on the specific amendment by financial, since that judgment would require an analysis of the consistency of the institute introduced with the overall system of tax laws, you may find that there are several arguments that point to consider a positive approach to the tax treatment of debt in the capital. First of all, the arguments remain valid notes of classical finance, for which the incentive to resort to debt that produce certain jurisdictions, is an undue intrusion into the field of managerial choices. In this regard, on a concrete floor, it may be noted that the tax incentive to businesses sottocapitalizzare results in a bias of the reasons why third-party creditors who may exercise less bargaining power against the company, suppliers and employees in the first place. There is another reason that can justify an approach tending to the equalization of the tax treatment of the remuneration of the securities issued by the company, irrespective of their nature and qualification. It is constituted by the fact that, consequently widening the categories of securities issuable by the companies and the extreme freedom granted in configure its features, in some cases it has become very difficult to classify the financial instrument and the associated remuneration. The recognition of the classification criteria laid down by their national accounting requirements under IFRS, and confirms these difficulties, caused by the existence of "gray areas" between the capital and the debt itself, within which the final choice on the nature of the instrument can not be that of conventional bases. The need to identify suitable criteria to break down the passive in two major categories consist of the net assets and financial liabilities in the strict sense is not discussed. A clear separation of capital from the rest of the liabilities, but not limited to, facilitate the determination of the value of the action issued by the company, allows a clearer understanding of the cost structure, it is functional application of all the rules in which the budget plays an "organizational". These needs are well advised major international accounting bodies that have addressed the issue in recent times, and proposed new classification criteria, including their alternative. Different approaches are based, in turn, on the enhancement of a specific characteristic of the security assessment. If present in the system of IFRS, to lead the editor of the budget in the classification of the title is the existence of an obligation to repay, the proposal made by the FASB, and recovery by the IASB, the factor becomes nullifying the placement of the title in hierarchy that identifies the rights assigned to each instrument: only the titles that put their holder in position w
2009
9788878909632
Quello dei condizionamenti fiscali sulle scelte in materia di struttura finanziaria è un tema classico dell’economia aziendale. Esiste, ormai, un consenso abbastanza generalizzato sul fatto che il trattamento asimmetrico riservato da molti ordinamenti fiscali agli oneri legati alla remunerazione delle diverse fonti di finanziamento influenzi le scelte in merito alla più opportuna composizione del passivo. Soprattutto, la possibilità di dedurre i costi legati al servizio del debito dal reddito imponibile dell’impresa, a fronte di una completa tassazione dell’utile prodotto, contribuisce ad incentivare il ricorso al capitale di credito. La legge finanziaria 2008 ha modificato il regime fiscale degli interessi passivi, prevedendo un meccanismo che ne limita la deducibilità sulla base della loro entità rispetto al valore del risultato operativo lordo. L’intervento del legislatore ha immediatamente sollevato dubbi. In particolare, è stato contestato che limitare la deducibilità di costi, quali gli interessi passivi, ritenuti strettamente afferenti la gestione potrebbe configurare una violazione del principio generale di capacità contributiva, o quantomeno, una ingiustificata penalizzazione per le imprese costrette a ricorrere al debito per la copertura del loro fabbisogno finanziario. Sul punto, senza voler dare un giudizio sulla specifica modifica apportata dalla finanziaria, atteso che tale giudizio richiederebbe un’analisi della coerenza dell’istituto introdotto con il sistema complessivo delle norme tributarie, si può riscontrare l’esistenza di svariati argomenti che inducono a considerare positivamente l’avvicinamento del trattamento fiscale del debito a quello del capitale. Anzitutto rimangono valide le argomentazioni note della finanza classica, per le quali l’incentivo al ricorso al debito che taluni ordinamenti fiscali producono rappresenta un’indebita intrusione nel campo delle scelte manageriali. A questo riguardo, su un piano concreto, si può rilevare che l’incentivo fiscale a sottocapitalizzare le imprese si traduce in un pregiudizio delle ragioni dei terzi creditori che meno potere contrattuale possono esercitare nei confronti dell’impresa, fornitori e dipendenti in primo luogo. Esiste un’altra ragione che può giustificare un approccio fiscale tendente all’equiparazione del trattamento riservato alla remunerazione dei titoli emessi dall’impresa, indipendentemente dalla loro natura e qualificazione. È costituita dal fatto che, conseguentemente all’ampliamento delle categorie di titoli emettibili dalle imprese e all’estrema libertà concessa nel configurarne le caratteristiche, in alcune fattispecie è divenuto assai arduo classificare lo strumento finanziario e la connessa remunerazione. La ricognizione dei criteri di classificazione previsti dalla normativa contabile nazionale e dagli IFRS conferma queste difficoltà, legate all’esistenza di “zone grigie” tra il capitale propriamente detto ed il debito, all’interno delle quali la scelta definitiva sulla natura dello strumento non può farsi che su basi convenzionali. Della necessità di individuare criteri idonei a scomporre il passivo in due macrocategorie costituite dal patrimonio netto e dalle passività finanziarie in senso stretto non si discute. Una netta separazione del capitale dal resto delle passività, a titolo puramente esemplificativo, agevola la determinazione del valore dell’azioni emesse dall’impresa, consente una più chiara comprensione della struttura dei costi, è funzionale all’applicazione di tutte quelle norme nella quali il bilancio assume una funzione “organizzativa”. Di queste esigenze sono ben avvertiti i principali organismi contabili internazionali, che hanno affrontato il tema in tempi recenti ed hanno proposto nuovi criteri di classificazione, tra loro alternativi. I diversi approcci si basano, di volta in volta, sulla valorizzazione di una caratteristica specifica del titolo oggetto di valutazione. Se, nell’impianto attuale degli IFRS, a guidare il redattore del bilancio nella classificazione del titolo è l’esistenza di un obbligo di rimborso, nella proposta formulata dal FASB, e ripresa dallo stesso IASB, il fattore dirimente diviene la collocazione del titolo nella scala gerarchica che individua i diritti attribuiti a ciascuno strumento: soltanto ai titoli che pongono il loro detentore nella posizione più residuale riguardo al diritto a rifarsi sull’attivo dell’impresa viene riconosciuta la natura di capitale. A questa proposta si è contrapposta quella del PAAinE, incentrata sulla considerazione dell’attitudine dello strumento emesso ad assorbire le perdite generate dalla gestione. A seconda del punto di vista assunto e della finalità attribuita al bilancio, queste diverse logiche di classificazione appaiono tutte ragionevoli, tutte, per qualche verso, criticabili. Da qui il giudizio positivo su un’evoluzione della normativa fiscale che, tenuto conto della convenzionalità di questi criteri di classificazione, va nella direzione di una tendenziale equiparazione del trattamento da riservare alle diverse classi di titoli.
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
LA CLASSIFICAZIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI EMESSI DALLE IMPRESE. CONSIDERAZIONI CIRCA I POSSIBILI CRITERI DI RAPPRESENTAZIONE IN BILANCIO E IL PIU' OPPORTUNO TRATTAMENTO AI FINI FISCALI / Sura, Alessandro. - STAMPA. - (2009), pp. 1-100.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/184931
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