Twenty years after the first EU directive that opened for the first time the path of liberalization in sensitive sectors of the public service, the work intends to examine in detail two specific aspects: if there are issues of concern in the liberalized sectors of public law and if there is still room for doctrinal reconstructions in the field of public services and social services. To this end, under a methodological point of view, we examine three aspects. The first is to privilege the perspective of the study of Community law. This obviously requires to develop the importance of competition law and the ability of this to influence the public authorities. The second methodological result is to examine a specific aspect of regulation: that of access to the market. The third methodological result is to have used the category of services of general interest, as adopted by Community law. This choice has not excluded a priori the social analysis, taking into account that more and more Com

A venti anni dalla prima direttiva comunitaria che apriva per la prima volta il percorso di liberalizzazione nei settori delicati di pubblico servizio, il lavoro intende esaminare in particolare due specifici aspetti: se permangono questioni di interesse di diritto pubblico nei settori liberalizzati e se c’è ancora spazio per ricostruzioni dottrinarie pubblicistiche in materia di servizi pubblici e servizi sociali. A tal fine, sotto un profilo metodologico, si prendono in esame tre profili. Il primo è consistito nel privilegiare la prospettiva di studio dell’ordinamento comunitario. Questo ov-viamente ha richiesto di sviluppare il rilievo del diritto della concorrenza e la capacità di questo di condizionare i poteri pubblici. Il secondo profilo metodologico seguito è consistito nel prendere in esame un aspetto specifico della regolazione: quello dell’accesso al mercato. Quest’ultimo costituisce solamente uno degli oggetti della regolazione economica, ma le indicazioni che da esso possono essere tratte appaiono particolarmente significative perché commisurano con evidenza le relazioni che si instaurano tra interessi pubblici e interessi privati. Il terzo profilo metodologico seguito è quello di avere utilizzato la categoria dei servizi di interesse generale, così come adottata dall’ordinamento comunitario. Questa scelta ha comportato non escludere aprioristicamente i servizi sociali dall’analisi, tenuto conto che sempre più l’ordinamento comunitario tende a includere questi servizi tra quelli offerti secondo logiche di mercato salvo eccezioni. In ragione di questi tre profili si è prima operata una classificazione tra servizi di interesse generale, distinguendo quelli per i quali, la maggior parte, la concorrenza costituisce un sistema di regole che consente di perseguire obiettivi di interesse generale senza il bisogno di una regolamentazione pubblica che dall’esterno s’impone agli operatori privati e dove al massimo sono consentite eccezioni al limitato fine di conseguire interessi generali lì dove la concorrenza non riesce da sé; servizi per i quali, invece, la concorrenza compete con un sistema alternativo di regole di natura solidaristica; servizi, infine, dove la concorrenza non opera per ragioni soggettive, ovvero perché sono i soggetti incaricati di svolgere l’attività di servizio ad avere caratteristiche tali che li rendono incompatibili alla concorrenza. Si tratta di una classificazione, tuttavia, non rigida e soggetta a variazioni dinamiche: i cambiamenti possono essere originati da ragioni culturali, da scelte politiche o da trasformazioni tecnologiche che possono rendere compatibili mercato e obiettivi generali. L’analisi della disciplina concreta di questo aspetto della regolazione consente di rintracciare tre tipologie di accesso a loro volta suddivisibili in ulteriori modelli di regolazione. In particolare si sono individuati, secondo un ordine decrescente dal più aperto a quello meno, tre tipologie di accesso: quello libero, quello selettivo e quello esclusivo. A queste si aggiungono le garanzie antitrust che, diversamente da quanto si opina normalmente, non hanno solo una funzione correttiva delle distorsioni provocate da comportamenti illeciti, ma svolgono anche una funzione di regolazione e apertura del mercato sommando così funzioni di garanzia a quelle di regolazione vera e propria. L’analisi così condotta ha consentito alla fine di trarre alcune conclusioni. Con riguardo più specificamente ai servizi di interesse generale, le discipline normative, le tecniche di regolazione e di garanzia evidenziano soluzioni di accesso al mercato molto variegate, la cui modularità attraversa i diversi settori dei servizi di interesse generale e caratterizza gli specifici segmenti di mercato. Dalla prospettiva dell’accesso al mercato, in altre parole, si può comprendere che gli effetti di liberalizzazione si sono tradotti in una frammentazione di discipline e regole. Si alternano, infatti, regimi liberistici a regimi monopolistici, condizionamenti obiettivi e trasparenti di accesso al mercato a sistemi di affidamento diretto basati sul carattere di fiduciarietà; le stesse procedure di regolazione alternano situazioni nelle quali la valutazione preventiva di accesso pare assente o limitata tecnicamente sotto il profilo della discrezionalità ad altre in cui invece la discrezionalità amministrativa resta ampia e talvolta riappare sottoforma di atti di programmazione. E lo stesso, infine, può essere detto delle garanzie che sono attivabili solo in modo parziale sia per ciò che concerne gli strumenti (basti pensare alla scarsa efficacia dei provvedimenti dell’autorità antitrust in tema di gare), sia per ciò che concerne i soggetti, dove si registrano sovrapposizioni tra autorità diverse. Proprio questa prospettiva di analisi consente di dire che dai processi di liberalizzazione in atto non sia possibile giungere a conclusioni univoche. Stanno così assieme regole privatistiche con regole pubblicistiche, servizi estranei alla tradizione dei servizi pubblici domestici e servizi pubblici tradizionalmente intesi, in un equilibrio che è sempre modificabile sia per le scelte del legislatore, sia per le scelte degli interpreti che possono modulare i regimi disciplinari e le regole applicabili. Ciò che appare è che, da un canto, le liberalizzazioni hanno disaggregato i tradizionali settori a cui si applicava un unico sistema disciplinare ma, facendo ciò, non necessariamente ne hanno sostituito uno nuovo omogeneo e alternativo: dipende dai segmenti di mercato presi in considerazione, dalle specifiche discipline, dai margini che sono lasciati agli interpreti per adattare le diverse soluzioni. Ne deriva che le liberalizzazioni sono un istituto di processo che indica una tendenza chiara, che è quella di ridurre il condizionamento degli interessi pubblici rispetto agli interessi espressi dagli operatori privati, ma che ammette al contempo istituti giuridici molto diversi la cui valutazione riflette regimi disciplinari differenti. Tuttavia, nella misura in cui è consentito dal principio della certezza del diritto le soluzioni modulari devono tendere a privilegiare quelle che rendono meno rilevante l’invadenza degli interessi pubblici su quelli privati. Per quanto riguarda i servizi pubblici, invece, la nozione è in alcuni casi oramai inservibile e quindi non è capace di discriminare il regime pubblicistico delle regole. Tra questi ambiti ve ne sono alcuni che sono ascrivibili alla categoria dei servizi di interesse economico generale e ai servizi universali: da essi il servizio pubblico si distacca non tanto per una presunta ontologica inconciliabilità dei beni giuridici tutelati, ma perché esso conserva il profilo identificativo dell’organizzazione dell’ufficio pubblico indiretto che sottintende una decisa alterità rispetto alle regole di concorrenza. Ma tutto questo non conduce alla conclusione che il servizio pubblico sia una categoria definitivamente sorpassata: essa resta valida anche se in segmenti di mercato molto limitati. Si può dire anzi che la riduzione del suo campo di applicazione aiuti a distinguere e a valorizzare differenze che i regimi ante liberalizzazione non permettevano di fare. E lo stesso vale anche per i servizi sociali. Anche qui ci troviamo di fronte a situazioni disparate che, mentre non consentono conclusioni automatiche circa l’esclusione dell’applicazione della concorrenza a questi servizi, richiedono un’attenta valutazione di discernimento: solo nei casi in cui i servizi siano condizionati in modo rilevante dalle scelte di pubblico interesse o rispondano a regole alternative a quelle di concorrenza, si potrà parlare in senso proprio di servizi sociali. In tutti gli altri casi stiamo in presenza di ordinari servizi di interesse generale sottoposte alle regole di concorrenza.

L'accesso al mercato nei servizi di interesse generale / Giglioni, Fabio. - STAMPA. - 12:(2008), pp. 1-415.

L'accesso al mercato nei servizi di interesse generale

GIGLIONI, Fabio
2008

Abstract

Twenty years after the first EU directive that opened for the first time the path of liberalization in sensitive sectors of the public service, the work intends to examine in detail two specific aspects: if there are issues of concern in the liberalized sectors of public law and if there is still room for doctrinal reconstructions in the field of public services and social services. To this end, under a methodological point of view, we examine three aspects. The first is to privilege the perspective of the study of Community law. This obviously requires to develop the importance of competition law and the ability of this to influence the public authorities. The second methodological result is to examine a specific aspect of regulation: that of access to the market. The third methodological result is to have used the category of services of general interest, as adopted by Community law. This choice has not excluded a priori the social analysis, taking into account that more and more Com
2008
9788814143816
A venti anni dalla prima direttiva comunitaria che apriva per la prima volta il percorso di liberalizzazione nei settori delicati di pubblico servizio, il lavoro intende esaminare in particolare due specifici aspetti: se permangono questioni di interesse di diritto pubblico nei settori liberalizzati e se c’è ancora spazio per ricostruzioni dottrinarie pubblicistiche in materia di servizi pubblici e servizi sociali. A tal fine, sotto un profilo metodologico, si prendono in esame tre profili. Il primo è consistito nel privilegiare la prospettiva di studio dell’ordinamento comunitario. Questo ov-viamente ha richiesto di sviluppare il rilievo del diritto della concorrenza e la capacità di questo di condizionare i poteri pubblici. Il secondo profilo metodologico seguito è consistito nel prendere in esame un aspetto specifico della regolazione: quello dell’accesso al mercato. Quest’ultimo costituisce solamente uno degli oggetti della regolazione economica, ma le indicazioni che da esso possono essere tratte appaiono particolarmente significative perché commisurano con evidenza le relazioni che si instaurano tra interessi pubblici e interessi privati. Il terzo profilo metodologico seguito è quello di avere utilizzato la categoria dei servizi di interesse generale, così come adottata dall’ordinamento comunitario. Questa scelta ha comportato non escludere aprioristicamente i servizi sociali dall’analisi, tenuto conto che sempre più l’ordinamento comunitario tende a includere questi servizi tra quelli offerti secondo logiche di mercato salvo eccezioni. In ragione di questi tre profili si è prima operata una classificazione tra servizi di interesse generale, distinguendo quelli per i quali, la maggior parte, la concorrenza costituisce un sistema di regole che consente di perseguire obiettivi di interesse generale senza il bisogno di una regolamentazione pubblica che dall’esterno s’impone agli operatori privati e dove al massimo sono consentite eccezioni al limitato fine di conseguire interessi generali lì dove la concorrenza non riesce da sé; servizi per i quali, invece, la concorrenza compete con un sistema alternativo di regole di natura solidaristica; servizi, infine, dove la concorrenza non opera per ragioni soggettive, ovvero perché sono i soggetti incaricati di svolgere l’attività di servizio ad avere caratteristiche tali che li rendono incompatibili alla concorrenza. Si tratta di una classificazione, tuttavia, non rigida e soggetta a variazioni dinamiche: i cambiamenti possono essere originati da ragioni culturali, da scelte politiche o da trasformazioni tecnologiche che possono rendere compatibili mercato e obiettivi generali. L’analisi della disciplina concreta di questo aspetto della regolazione consente di rintracciare tre tipologie di accesso a loro volta suddivisibili in ulteriori modelli di regolazione. In particolare si sono individuati, secondo un ordine decrescente dal più aperto a quello meno, tre tipologie di accesso: quello libero, quello selettivo e quello esclusivo. A queste si aggiungono le garanzie antitrust che, diversamente da quanto si opina normalmente, non hanno solo una funzione correttiva delle distorsioni provocate da comportamenti illeciti, ma svolgono anche una funzione di regolazione e apertura del mercato sommando così funzioni di garanzia a quelle di regolazione vera e propria. L’analisi così condotta ha consentito alla fine di trarre alcune conclusioni. Con riguardo più specificamente ai servizi di interesse generale, le discipline normative, le tecniche di regolazione e di garanzia evidenziano soluzioni di accesso al mercato molto variegate, la cui modularità attraversa i diversi settori dei servizi di interesse generale e caratterizza gli specifici segmenti di mercato. Dalla prospettiva dell’accesso al mercato, in altre parole, si può comprendere che gli effetti di liberalizzazione si sono tradotti in una frammentazione di discipline e regole. Si alternano, infatti, regimi liberistici a regimi monopolistici, condizionamenti obiettivi e trasparenti di accesso al mercato a sistemi di affidamento diretto basati sul carattere di fiduciarietà; le stesse procedure di regolazione alternano situazioni nelle quali la valutazione preventiva di accesso pare assente o limitata tecnicamente sotto il profilo della discrezionalità ad altre in cui invece la discrezionalità amministrativa resta ampia e talvolta riappare sottoforma di atti di programmazione. E lo stesso, infine, può essere detto delle garanzie che sono attivabili solo in modo parziale sia per ciò che concerne gli strumenti (basti pensare alla scarsa efficacia dei provvedimenti dell’autorità antitrust in tema di gare), sia per ciò che concerne i soggetti, dove si registrano sovrapposizioni tra autorità diverse. Proprio questa prospettiva di analisi consente di dire che dai processi di liberalizzazione in atto non sia possibile giungere a conclusioni univoche. Stanno così assieme regole privatistiche con regole pubblicistiche, servizi estranei alla tradizione dei servizi pubblici domestici e servizi pubblici tradizionalmente intesi, in un equilibrio che è sempre modificabile sia per le scelte del legislatore, sia per le scelte degli interpreti che possono modulare i regimi disciplinari e le regole applicabili. Ciò che appare è che, da un canto, le liberalizzazioni hanno disaggregato i tradizionali settori a cui si applicava un unico sistema disciplinare ma, facendo ciò, non necessariamente ne hanno sostituito uno nuovo omogeneo e alternativo: dipende dai segmenti di mercato presi in considerazione, dalle specifiche discipline, dai margini che sono lasciati agli interpreti per adattare le diverse soluzioni. Ne deriva che le liberalizzazioni sono un istituto di processo che indica una tendenza chiara, che è quella di ridurre il condizionamento degli interessi pubblici rispetto agli interessi espressi dagli operatori privati, ma che ammette al contempo istituti giuridici molto diversi la cui valutazione riflette regimi disciplinari differenti. Tuttavia, nella misura in cui è consentito dal principio della certezza del diritto le soluzioni modulari devono tendere a privilegiare quelle che rendono meno rilevante l’invadenza degli interessi pubblici su quelli privati. Per quanto riguarda i servizi pubblici, invece, la nozione è in alcuni casi oramai inservibile e quindi non è capace di discriminare il regime pubblicistico delle regole. Tra questi ambiti ve ne sono alcuni che sono ascrivibili alla categoria dei servizi di interesse economico generale e ai servizi universali: da essi il servizio pubblico si distacca non tanto per una presunta ontologica inconciliabilità dei beni giuridici tutelati, ma perché esso conserva il profilo identificativo dell’organizzazione dell’ufficio pubblico indiretto che sottintende una decisa alterità rispetto alle regole di concorrenza. Ma tutto questo non conduce alla conclusione che il servizio pubblico sia una categoria definitivamente sorpassata: essa resta valida anche se in segmenti di mercato molto limitati. Si può dire anzi che la riduzione del suo campo di applicazione aiuti a distinguere e a valorizzare differenze che i regimi ante liberalizzazione non permettevano di fare. E lo stesso vale anche per i servizi sociali. Anche qui ci troviamo di fronte a situazioni disparate che, mentre non consentono conclusioni automatiche circa l’esclusione dell’applicazione della concorrenza a questi servizi, richiedono un’attenta valutazione di discernimento: solo nei casi in cui i servizi siano condizionati in modo rilevante dalle scelte di pubblico interesse o rispondano a regole alternative a quelle di concorrenza, si potrà parlare in senso proprio di servizi sociali. In tutti gli altri casi stiamo in presenza di ordinari servizi di interesse generale sottoposte alle regole di concorrenza.
ACCESSO AL MERCATO; CONCORRENZA; SERVIZI PUBBLICI
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
L'accesso al mercato nei servizi di interesse generale / Giglioni, Fabio. - STAMPA. - 12:(2008), pp. 1-415.
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