La globalizzazione ed il multiculturalismo stanno ponendo all’ordinamento giuridico e, in specie, al diritto penale, una sfida inedita. L’intensificarsi dei flussi migratori ha infatti posto in discussione la tavola valoriale su cui si fondava l’ordinamento e ha sconfessato e reso labili i confini nazionali, che, lungi dal rispecchiare la tradizionale geografia delle confessioni religiose, vengono rimodellati dal continuo fluire di individui e gruppi provenienti da luoghi e culture profondamente diverse. In una società multiculturale e multireligiosa, il ricorso al diritto penale come mezzo di gestione dei conflitti che sorgono dal rapporto tra valori tutelati dalle fattispecie di reato e modelli culturali con essi confliggenti, rischia però di rendere il suo intervento inefficace e controproducente. La coesistenza di modelli culturali diversi richiede, infatti, strumenti flessibili, mentre il diritto penale è tradizionalmente un mezzo rigido di soluzione dei conflitti. Nel contesto di questa società complessa, nella quale le tensioni sociali e politiche indotte dai flussi migratori ed il timore del terrorismo internazionale, ostacolano la percezione delle diversità culturale come valore aggiunto di arricchimento attraverso il dialogo con “l’altro” e ne accentuano piuttosto le differenze in funzione di rafforzamento del senso identitario, è di notevole interesse indagare sul valore da attribuire all’orientamento culturale-religioso nel sistema penale italiano sia sul piano del c.d. “formante legislativo” che su quello “giurisprudenziale”. E’ proprio la prassi applicativa infatti che, in un contesto normativo connotato dall’assenza di un’esplicita presa di posizione da parte del legislatore, è in grado di restituirci la sensibilità del “diritto vivente” il quale nell’esperienza italiana presenta un approccio di tipo assimilazionista, connotato da minore elasticità rispetto alle posizioni emerse in dottrina, propense invece a riconoscere al fattore culturale effetti quantomeno in termini di mitigazione della risposta sanzionatoria. La giurisprudenza affronta la questione in termini di bilanciamento tra interessi, facendo tendenzialmente prevalere la tutela penale sul “fattore culturale-religioso”. Se questa soluzione giurisprudenziale in favore della tutela penale appare però ragionevole quando viene in rilievo l’offesa ad interessi fondamentali della persona, diventa meno giustificabile quando è trasposta sui reati posti a tutela dell’ordine pubblico. E’ diffusa in dottrina la convinzione che tutto ciò rifletta uno Zeitgeist ispirato a sentimenti di chiusura nei confronti del diverso così da far scontrare vistosamente il "fattore culturale-religioso" con l’euristica della paura provocando un’estremizzazione delle istanze di tutela.

Fenomeni migratori e ruolo del "fattore culturale-religioso" nel sistema penale italiano. Criticità e prospettive / Manzo, Stefano. - (2020 Dec 11).

Fenomeni migratori e ruolo del "fattore culturale-religioso" nel sistema penale italiano. Criticità e prospettive

MANZO, STEFANO
11/12/2020

Abstract

La globalizzazione ed il multiculturalismo stanno ponendo all’ordinamento giuridico e, in specie, al diritto penale, una sfida inedita. L’intensificarsi dei flussi migratori ha infatti posto in discussione la tavola valoriale su cui si fondava l’ordinamento e ha sconfessato e reso labili i confini nazionali, che, lungi dal rispecchiare la tradizionale geografia delle confessioni religiose, vengono rimodellati dal continuo fluire di individui e gruppi provenienti da luoghi e culture profondamente diverse. In una società multiculturale e multireligiosa, il ricorso al diritto penale come mezzo di gestione dei conflitti che sorgono dal rapporto tra valori tutelati dalle fattispecie di reato e modelli culturali con essi confliggenti, rischia però di rendere il suo intervento inefficace e controproducente. La coesistenza di modelli culturali diversi richiede, infatti, strumenti flessibili, mentre il diritto penale è tradizionalmente un mezzo rigido di soluzione dei conflitti. Nel contesto di questa società complessa, nella quale le tensioni sociali e politiche indotte dai flussi migratori ed il timore del terrorismo internazionale, ostacolano la percezione delle diversità culturale come valore aggiunto di arricchimento attraverso il dialogo con “l’altro” e ne accentuano piuttosto le differenze in funzione di rafforzamento del senso identitario, è di notevole interesse indagare sul valore da attribuire all’orientamento culturale-religioso nel sistema penale italiano sia sul piano del c.d. “formante legislativo” che su quello “giurisprudenziale”. E’ proprio la prassi applicativa infatti che, in un contesto normativo connotato dall’assenza di un’esplicita presa di posizione da parte del legislatore, è in grado di restituirci la sensibilità del “diritto vivente” il quale nell’esperienza italiana presenta un approccio di tipo assimilazionista, connotato da minore elasticità rispetto alle posizioni emerse in dottrina, propense invece a riconoscere al fattore culturale effetti quantomeno in termini di mitigazione della risposta sanzionatoria. La giurisprudenza affronta la questione in termini di bilanciamento tra interessi, facendo tendenzialmente prevalere la tutela penale sul “fattore culturale-religioso”. Se questa soluzione giurisprudenziale in favore della tutela penale appare però ragionevole quando viene in rilievo l’offesa ad interessi fondamentali della persona, diventa meno giustificabile quando è trasposta sui reati posti a tutela dell’ordine pubblico. E’ diffusa in dottrina la convinzione che tutto ciò rifletta uno Zeitgeist ispirato a sentimenti di chiusura nei confronti del diverso così da far scontrare vistosamente il "fattore culturale-religioso" con l’euristica della paura provocando un’estremizzazione delle istanze di tutela.
11-dic-2020
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1546504
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