Nell’ultimo quarto dell’800, l’emergere dei movimenti delle donne, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, è stato accompagnato da nuove forme di visibilità sulla scena pubblica. Tra queste, le Grandi Esposizioni Universali, che si sono susseguite a ritmo incessante in ogni paese, avevano lo scopo di mettere in mostra le conquiste tecnologiche, il potere economico, i nuovi saperi. Le grandi esposizioni sono state una forma di comunicazione, di propaganda ma anche di divertimento. Hanno messo in mostra saperi e valori dominanti, nuove tecnologie e nuove conquiste. Tra le novità più significative, mi vorrei soffermare sull’emergere di un nuovo edificio: il Women’s Building. Tra il 1873 e il 1915, il 60% delle esposizioni mondiali aveva al suo interno un Women’s Building, con modalità espositive e contenuti di volta in volta diversi. Una presenza nuova e anche molto contestata: non solo dagli ambienti più conservatori che assegnavano ancora alla donna ruoli marginali, ma anche dalle donne stesse per più di un motivo: _ era una grande contraddizione voler mettere in mostra la differenza di genere in luoghi che esaltavano l'esibizione della produzione industriale senza far emergere le contraddizioni e senza entrare nel merito di un lavoro delle donne non riconosciuto e comunque sottopagato; _ la presenza di un Women’s Building sottolineava l’emarginazione delle donne stesse e le confinava in un mondo a parte. I Women’s Building, infatti, non furono l’effetto di una presa di coscienza della condizione femminile, non sfidavano lo status quo, non stimolavano le donne a ripensare la femminilità in modalità radicalmente nuove. Questi edifici, inoltre, non furono pensati per essere inclusivi, in quanto la femminilità che vi è stata rappresentata era una qualità selettiva ed elitaria. Negli edifici europei, le donne native delle colonie e le donne della classe operaia erano, nella migliore delle ipotesi, solo marginalmente presenti come contributi senza nome. Negli edifici americani vennero escluse da ogni partecipazione le native americane, le afro-americane e immigrate. E sebbene le Esposizioni Mondiali abbiano tentato una presentazione di nuove produzioni e attività umane, i Women’s Building si sono limitati a riaffermare ideali femminili tradizionali, durante un periodo segnato da cambiamenti estremi e radicali, senza dare voce alla femminilità in termini di differenza e diversità. Conoscere, tuttavia, le loro storie, significa non solo riappropriarsi della Storia delle Donne, ma anche e soprattutto di rileggere la storia dello spazio urbano attraverso l’opera di donne progettiste.

/ Mattogno, Claudia. - (2018).

Mattogno, Claudia
2018

Abstract

Nell’ultimo quarto dell’800, l’emergere dei movimenti delle donne, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, è stato accompagnato da nuove forme di visibilità sulla scena pubblica. Tra queste, le Grandi Esposizioni Universali, che si sono susseguite a ritmo incessante in ogni paese, avevano lo scopo di mettere in mostra le conquiste tecnologiche, il potere economico, i nuovi saperi. Le grandi esposizioni sono state una forma di comunicazione, di propaganda ma anche di divertimento. Hanno messo in mostra saperi e valori dominanti, nuove tecnologie e nuove conquiste. Tra le novità più significative, mi vorrei soffermare sull’emergere di un nuovo edificio: il Women’s Building. Tra il 1873 e il 1915, il 60% delle esposizioni mondiali aveva al suo interno un Women’s Building, con modalità espositive e contenuti di volta in volta diversi. Una presenza nuova e anche molto contestata: non solo dagli ambienti più conservatori che assegnavano ancora alla donna ruoli marginali, ma anche dalle donne stesse per più di un motivo: _ era una grande contraddizione voler mettere in mostra la differenza di genere in luoghi che esaltavano l'esibizione della produzione industriale senza far emergere le contraddizioni e senza entrare nel merito di un lavoro delle donne non riconosciuto e comunque sottopagato; _ la presenza di un Women’s Building sottolineava l’emarginazione delle donne stesse e le confinava in un mondo a parte. I Women’s Building, infatti, non furono l’effetto di una presa di coscienza della condizione femminile, non sfidavano lo status quo, non stimolavano le donne a ripensare la femminilità in modalità radicalmente nuove. Questi edifici, inoltre, non furono pensati per essere inclusivi, in quanto la femminilità che vi è stata rappresentata era una qualità selettiva ed elitaria. Negli edifici europei, le donne native delle colonie e le donne della classe operaia erano, nella migliore delle ipotesi, solo marginalmente presenti come contributi senza nome. Negli edifici americani vennero escluse da ogni partecipazione le native americane, le afro-americane e immigrate. E sebbene le Esposizioni Mondiali abbiano tentato una presentazione di nuove produzioni e attività umane, i Women’s Building si sono limitati a riaffermare ideali femminili tradizionali, durante un periodo segnato da cambiamenti estremi e radicali, senza dare voce alla femminilità in termini di differenza e diversità. Conoscere, tuttavia, le loro storie, significa non solo riappropriarsi della Storia delle Donne, ma anche e soprattutto di rileggere la storia dello spazio urbano attraverso l’opera di donne progettiste.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1429727
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