Secondo la dottrina stoica l’ekpyrosis è l’evento catastrofico che si abbatte ciclicamente sulla Terra, azzerando attraverso le fiamme per consentire una rinascita. Emblematizzato dalla figura di forte carica allegorica del fuoco, questo mito veicola un plesso concettuale di importanza socio-antropologica decisiva, articolato secondo l’avvicendamento di tre momenti distinti ma necessariamente integrati: accumulo-distruzione (attraverso le fiamme)-rinascita. La valenza ancestrale di questa dinamica – tale da ricorrere, variata, nel patrimonio di diverse religioni – si è però radicata marcatamente in Europa, trovando nei secoli, lungo il versante letterario (che si è presto appropriato di una simile immagine, inglobata e resa topica), una definizione che la orientasse progressivamente ad interagire con un oggetto in grado di rappresentare, tanto nell’individualità quanto nella pluralità, il primo elemento per eccellenza della sua successione tripartita: il libro infatti, inteso anzitutto nella sua essenza materiale, è l’elemento che combina al meglio la capacità di accumulo memoriale con l’incapacità di resistenza alla distruzione delle fiamme. Reso archetipo dal battesimo del mito arcaico – e da un evento di straordinario rilievo quale il rogo della biblioteca di Alessandria –, questo sistema ha incontrato nella letteratura alcuni momenti di rielaborazione tesi a renderlo funzione poetologica necessaria alla creazione di una mitobiografia (si pensi agli impieghi diversificati ma convergenti fatti da Petrarca, Seniles XVI-1, e ancor prima Dante, Purgatorio XXVI, rievocato dal finale delle Waste Land di Eliot) o svincolo diegetico determinante di uno sviluppo narrativo. Proprio in quest’ultimo caso, ovverosia quando un rogo librario comporta l’azzeramento di una memoria preservata in una biblioteca, la letteratura – memore delle vicende storiche collaterali – ha saputo ripensare un simile archetipo, arricchendone la semantica mediante una riflessione originale che, prendendo le mosse dal presente, potesse rivolgersi al passato per offrire una visione più nitida del futuro. Ecco dunque che due libri apparentemente distanti come il Don Quijote di Miguel de Cervantes e Fahrenheit 451° di Ray Bradbury palesano una matrice condivisa (di cui è possibile rivelarne la natura intertestuale mettendo a giorno l’intima connessione che li apparenta) giustappunto nella risemantizzazione della dinamica accumulo-distruzione-rinascita (dove il secondo tempo è dato naturalmente da un diluvio di fuoco) quale luogo di svolta di una storia individuale, nel caso del romanzo spagnolo, o collettiva, come nel libro americano. Sintomatico è l’aggiornamento di tale riflessione con la storia, fiancheggiata con impressionante aderenza da entrambi gli autori: se Cervenvantes infatti, raccontando il rogo nella biblioteca dell’hidalgo dei «libros autores del daño» colpevoli della «locura» di Quijote (e per questo destinati al «castigo de fuego»), poteva avere in mente le pratiche dell’Inquisizione; Bradbury, come peraltro ha ricordato nella prefazione del 1967 al suo libro (datato però 1951), non poteva dimenticare il Bücherverbrennungen che avvenne la notte del 10 maggio 1933 nell’Opernplatz di Berlino quando scrisse di quel futuro distopico nel quale la sola preoccupazione dei “pompieri” è di dar fuoco proprio ai libri. I due scrittori, dunque, attingendo a un archetipo comune rinvigorito dalle diverse vicende storiche hanno impiegato quest’immagine dinamica quale fattore scatenante per due narrazioni che rielaborano radicalmente il discorso sulla memoria individuale e collettiva: Quijote impazzisce per l’accumulo di troppi libri custoditi in una sola mente, mentre «the odd minority crying in the wilderness» di Bradbury riesce a sopportare il peso di tutte le opere da salvare ripartendole per tutti i membri di quel “Gorverno di minoranza” desideroso di preservare nel ricordo la memoria. L’intento di questo studio è rileggere l’evoluzione storica e letteraria di un archetipo di grande vitalità (lo testimoniano anche, e dolorosamente, recenti vicende di cronaca) che ha saputo mantenere un nucleo di invarianza tale da garantirne nel tempo stabilità e trasmissibilità, ma le cui implicazioni sono invece frutto di rielaborazioni orientate a collaudarne continuamente la valenza in base agli sviluppi dell’epoca nella quale sono state formulate. Si tratta di una delle storie più vecchie del mondo e l’ha sintetizzata al meglio Montale (ma era ben chiaro– nel 1948 – anche al Curtius dell’Epilogo di Letteratura europea e Medio Evo latino): «Si dismemora il mondo e può rinascere».

Memoria in fiamme. Cervantes, Bradbury e il tòpos del rogo dei libri / Gennaro, Tommaso. - In: L'IMMAGINE RIFLESSA. - ISSN 0391-2973. - (2020), pp. 109-123.

Memoria in fiamme. Cervantes, Bradbury e il tòpos del rogo dei libri

Tommaso Gennaro
2020

Abstract

Secondo la dottrina stoica l’ekpyrosis è l’evento catastrofico che si abbatte ciclicamente sulla Terra, azzerando attraverso le fiamme per consentire una rinascita. Emblematizzato dalla figura di forte carica allegorica del fuoco, questo mito veicola un plesso concettuale di importanza socio-antropologica decisiva, articolato secondo l’avvicendamento di tre momenti distinti ma necessariamente integrati: accumulo-distruzione (attraverso le fiamme)-rinascita. La valenza ancestrale di questa dinamica – tale da ricorrere, variata, nel patrimonio di diverse religioni – si è però radicata marcatamente in Europa, trovando nei secoli, lungo il versante letterario (che si è presto appropriato di una simile immagine, inglobata e resa topica), una definizione che la orientasse progressivamente ad interagire con un oggetto in grado di rappresentare, tanto nell’individualità quanto nella pluralità, il primo elemento per eccellenza della sua successione tripartita: il libro infatti, inteso anzitutto nella sua essenza materiale, è l’elemento che combina al meglio la capacità di accumulo memoriale con l’incapacità di resistenza alla distruzione delle fiamme. Reso archetipo dal battesimo del mito arcaico – e da un evento di straordinario rilievo quale il rogo della biblioteca di Alessandria –, questo sistema ha incontrato nella letteratura alcuni momenti di rielaborazione tesi a renderlo funzione poetologica necessaria alla creazione di una mitobiografia (si pensi agli impieghi diversificati ma convergenti fatti da Petrarca, Seniles XVI-1, e ancor prima Dante, Purgatorio XXVI, rievocato dal finale delle Waste Land di Eliot) o svincolo diegetico determinante di uno sviluppo narrativo. Proprio in quest’ultimo caso, ovverosia quando un rogo librario comporta l’azzeramento di una memoria preservata in una biblioteca, la letteratura – memore delle vicende storiche collaterali – ha saputo ripensare un simile archetipo, arricchendone la semantica mediante una riflessione originale che, prendendo le mosse dal presente, potesse rivolgersi al passato per offrire una visione più nitida del futuro. Ecco dunque che due libri apparentemente distanti come il Don Quijote di Miguel de Cervantes e Fahrenheit 451° di Ray Bradbury palesano una matrice condivisa (di cui è possibile rivelarne la natura intertestuale mettendo a giorno l’intima connessione che li apparenta) giustappunto nella risemantizzazione della dinamica accumulo-distruzione-rinascita (dove il secondo tempo è dato naturalmente da un diluvio di fuoco) quale luogo di svolta di una storia individuale, nel caso del romanzo spagnolo, o collettiva, come nel libro americano. Sintomatico è l’aggiornamento di tale riflessione con la storia, fiancheggiata con impressionante aderenza da entrambi gli autori: se Cervenvantes infatti, raccontando il rogo nella biblioteca dell’hidalgo dei «libros autores del daño» colpevoli della «locura» di Quijote (e per questo destinati al «castigo de fuego»), poteva avere in mente le pratiche dell’Inquisizione; Bradbury, come peraltro ha ricordato nella prefazione del 1967 al suo libro (datato però 1951), non poteva dimenticare il Bücherverbrennungen che avvenne la notte del 10 maggio 1933 nell’Opernplatz di Berlino quando scrisse di quel futuro distopico nel quale la sola preoccupazione dei “pompieri” è di dar fuoco proprio ai libri. I due scrittori, dunque, attingendo a un archetipo comune rinvigorito dalle diverse vicende storiche hanno impiegato quest’immagine dinamica quale fattore scatenante per due narrazioni che rielaborano radicalmente il discorso sulla memoria individuale e collettiva: Quijote impazzisce per l’accumulo di troppi libri custoditi in una sola mente, mentre «the odd minority crying in the wilderness» di Bradbury riesce a sopportare il peso di tutte le opere da salvare ripartendole per tutti i membri di quel “Gorverno di minoranza” desideroso di preservare nel ricordo la memoria. L’intento di questo studio è rileggere l’evoluzione storica e letteraria di un archetipo di grande vitalità (lo testimoniano anche, e dolorosamente, recenti vicende di cronaca) che ha saputo mantenere un nucleo di invarianza tale da garantirne nel tempo stabilità e trasmissibilità, ma le cui implicazioni sono invece frutto di rielaborazioni orientate a collaudarne continuamente la valenza in base agli sviluppi dell’epoca nella quale sono state formulate. Si tratta di una delle storie più vecchie del mondo e l’ha sintetizzata al meglio Montale (ma era ben chiaro– nel 1948 – anche al Curtius dell’Epilogo di Letteratura europea e Medio Evo latino): «Si dismemora il mondo e può rinascere».
2020
Cervantes; Quijote; Chisciotte; Bradbury; Fahrenheit 451; fiamme; libri; roghi; memoria
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Memoria in fiamme. Cervantes, Bradbury e il tòpos del rogo dei libri / Gennaro, Tommaso. - In: L'IMMAGINE RIFLESSA. - ISSN 0391-2973. - (2020), pp. 109-123.
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