La tesi, dedicata alle committenze dei Comneno Duca in Epiro tra il 1204 e il 1318, è articolata in sette capitoli. Nel primo è tracciato il quadro storico-politico, entro gli estremi cronologici della dinastia dei Comneno Duca: dalla costituzione dello “stato” di Michele I, a ridosso del 1204, alla morte di Tommaso nel 1318. Il “secolo d’oro” (I.1) è stato suddiviso in tre segmenti cronologici, che corrispondono a) all’ascesa e alla disfatta di Teodoro e dei suoi immediati eredi (I.1.2), nel loro progetto di occupare Salonicco per riconquistare, forti del titolo imperiale, la capitale Costantinopoli (1204ca.-1246); b) al “regno” in Epiro di Michele II, cui viene conferito il titolo di «despota» e che fonda, di fatto, quello che viene definito «Despotato»; c) agli anni di potere di Niceforo e del figlio Tommaso, quest’ultimo sostenuto dalla co-reggenza della madre Anna. I successivi due paragrafi tracciano il quadro culturale e artistico, sia del periodo precedente a quello in esame per comprendere quale fosse la tipologia dei committenti in queste regioni periferiche dell’impero bizantino tra IX e XII secolo (I.1.3); sia del Duecento, prestando attenzione ad alcuni personaggi importanti, impegnati, oltre che sul versante politico, anche su quello artistico (Giovanni Bardanes, Demetrio Chomatenos), o a singoli centri (Hagios Nikolaos a Mesopotamon, Hagios Nikolaos a Kremastos, Bonitza), in cui è attestata – da fonti testuali o da sottoscrizioni librarie – la produzione di manoscritti (I.1.4). Il secondo capitolo si apre con una serrata disamina storiografica dei termini «despota» e «De-spotato» (II.1), necessaria a comprendere come venisse concesso tale titolo e che cosa implicasse nel XIII secolo. È inoltre occasione per ripercorrere i principali studi sul tema e presentare le figure dei Comneno Duca (da Michele I a Tommaso), cui è espressamente dedicato il paragrafo successivo (II.2). Dopo una breve premessa sulla tipologia di fonti utilizzate (numismatica, sfragistica, diplomatica, epigrafia), sono illustrate in modo analitico tutte quelle attestazioni nelle quali ogni “regnante” ha inteso esprimere in modo consapevole e con una certa chiarezza il proprio ruolo nelle vicende del tempo. Attraverso queste scelte di autorappresentazione emergono chiaramente le ambizioni politiche e ideologiche dei Comneno Duca, anche tenendo conto dell’assenza di fonti testuali “interne”, ossia redatte da intellettuali organici alla corte di Arta. Il terzo capitolo è dedicato a un contesto cronologicamente e geograficamente circoscritto (l’Etoloakarnania tra il 1210 e il 1240 circa) attraverso l’approfondita analisi dell’attività di due figure eccezionali: il metropolita Giovanni Apokaukos e Costantino, il fratello di Michele I. Proprio le numerose lettere dell’arcivescovo aiutano a illuminare le vicende molto travagliate che riguardano questa “strana” e irrequieta coppia di rivali. La contesa per la giurisdizione su Naupaktos e l’area circonvicina si trasformò ben presto in un violento scontro: a questo tema, nonché alla presentazione del territorio e dei due “contendenti”, è dedicato il primo paragrafo (III.1). Nel successivo (III.2) sono per la prima volta sistematicamente raccolte e commentate tutte le fonti, gli oggetti e i monumenti che è possibile riconnettere, per varie ragioni, al metropolita Apokaukos: in primis, attraverso uno spoglio della sua corrispondenza allo scopo di ricostruire la sua attività di committente sia sul versante dell’architettura e della decorazione monumentale sia su quello delle arti minori (in particolare i tessuti). Emerge in questo paragrafo anche il suo ruolo di concepteur di programmi iconografici e di autore di epigrammi destinati ad accompagnare oggetti preziosi. Il paragrafo III.3 introduce invece la figura di Costantino attraverso l’esame dell’exonartece del monastero di Varnakova, che egli fece costruire come mausoleo per sé e la sua famiglia: sfortunatamente molto alterato dopo la parziale distruzione del 1826, vengono in nostro soccorso documenti scritti seriori ed epigrafi metriche che dovevano essere apposte sulle due tombe. Grazie ad Apokaukos è poi possibile, nel paragrafo III.4, dare conto di altre iniziative “artistiche” di Costantino: in particolare la costruzione a Naupaktos di un soufas, ossia di una sala di ricevimento, che almeno nel nome richiama modelli dell’Anatolia selgiuchide. Tale impresa è stata letta alla luce del contesto in cui viene ricordata della citazione (una lettera di Apokaukos indirizzata al collega Chomatenos) e specificandone le particolarità sia architettoniche che simbolico-funzionali. L’ultimo paragrafo (III.5) verte su un altro monumento e in particolare sulla sua decorazione pittorica, patrocinata (come apprendiamo dall’iscrizione) da un certo Alessio Comneno Duca intorno al 1230. Si tratta, nonostante le precarie condizioni conservative, di un caso di studio molto interessante sia per gli elementi prosopografici (può Alessio essere identificabile con l’omonimo sepolto a Varnakova ed essere, quindi, un parente di Costantino?) sia per alcune soluzioni iconografiche, specie nel catino absidale. Il quarto capitolo è dedicato alla capitale del Despotato, Arta. Il nuovo ruolo di cui la città venne investita, soprattutto a partire dal 1230, comportò estese trasformazioni che le conferirono un’inedita facies monumentale, specie tenendo conto che nei secoli precedenti essa doveva apparire più dimessa, nonostante vi fossero – come si evince dal primo paragrafo (IV.1) – già diversi monumenti, alcuni dei quali ancora oggi esistenti. Il successivo paragrafo (IV.2) raccoglie le fonti storiche e i dati archeologici sulla città al fine di ricostruirne un più ampio quadro sociale, politico e topografico nel XIII secolo. Ciò permette di passare in rassegna (IV.3), evidenziando gli aspetti più interessanti ai fini della nostra ricerca, i monumenti che costellarono il centro urbano e l’area circonvicina, ma in un modo diacronico, ossia privilegiando una trattazione cronologica progressiva piuttosto che l’analisi sistematica di ogni chiesa o monastero. Questo perché ciascun monumento ha più fasi cronologiche, che spesso corrispondono a committenti differenti e quindi a diversi periodi storici. Un’analisi di Arta decennio per decennio può offrire quindi un quadro più chiaro del processo di monumentalizzazione iniziato da Michele II e proseguito da Niceforo, non senza il contributo delle rispettive mogli, Teodora e Anna. L’ultimo paragrafo (IV.4) getta uno sguardo d’insieme sulla città, seguendo un taglio particolare, quello topografico, per evidenziare – attraverso i monumenti principali – lo sviluppo di quella che Eastmond ha definito, a proposito di Trebisonda, «the ritual geography of the city». Nel Capitolo V, sempre privilegiando una lettura diacronica, si analizzano i due monumenti che più di tutti esprimono la ktetoreia dei despoti Michele II e Niceforo: i monasteri della Pantanassa presso Philippiada e della Parigoritissa di Arta. Essi presentano una storia costruttiva comune, segnata da due fasi, la prima legata a Michele II (1242-1267/1268) e la seconda a Niceforo I (1268-1296/1298). È proprio in questi due edifici che si manifesta con chiarezza non solo il “passaggio di consegne” tra una generazione e l’altra, ma anche la complessità della produzione artistica in Epiro. Ribaltando la prospettiva storiografica corrente, si prende in considerazione dapprima la Pantanassa e poi la Parigoritissa, questo perché, come emerge dal paragrafo V.1.1, è il monastero di Philippiada a vantare la precedenza cronologica su quello di Arta, che invece, nella sua prima fase, molto probabilmente non venne mai terminato (V.1.2). Niceforo, dopo aver ereditato il potere paterno, intervenne sui due edifici in modo differente. Nel caso della Pantanassa (V.2.1), provvide a costruire un complesso peristoon che inglobava il nucleo originario della katholikon e che si contraddistingueva per alcune soluzioni architettoniche estranee al contesto epirota, quali le volte a crociera costolonate e i portali strombati. La riqualificazione del monastero fondato dal padre Michele si tramutava, così, in un’“occidentalizzazione” del suo aspetto esterno. Nel caso della Parigoritissa (V.2.2) Niceforo optò per una ricostruzione integrale, secondo un progetto architettonico davvero straordinario e arricchito da alcuni elementi (come le gallerie e il baldacchino “aperto” sul prospetto occidentale) che richiamano soluzioni “imperiali” costantinopolitane. Per decorare il nuovo edificio reclutò mosaicisti da Oriente (Costantinopoli? Salonicco?) e scultori da Occidente: questi ultimi realizzarono opere molto singolari, che tuttavia rispondono – come vedremo – a un programma iconografico unitario. Nel Capitolo VI è tratteggiato il fenomeno della committenza aristocratica in Epiro, finora ri-masto decisamente ai margini degli studi. Si inizia con una disamina delle fonti epigrafiche attraverso cui è possibile conoscere il nome di questi altrimenti ignoti fondatori, di cui si precisano – per quanto possibile – i dati prosopografici. Nel primo paragrafo si cerca di tracciare un filo rosso tra le loro committenze, sia dal punto di vista artistico (stesse maestranze, stessi materiali) sia, soprattutto, da quello politico-topografico: una prospettiva di lettura, questa, che ci consente di ipotizzare una sorta di progetto “a tavolino” nella distribuzione geografica di tali fondazioni (VI.1). All’unico personaggio cui è possibile ascrivere più di un’opera, ossia Michele Zorianos, è invece dedicato il paragrafo successivo (VI.2). L’esame delle fonti epigrafiche e testuali si associa allo studio delle opere a lui sicuramente riferibili, il codice Barocci 29 della Bodleian Library di Oxford, l’anello d’oro del Metropolitan Museum di New York e, soprattutto, il complesso di chiese a Mokista in Etolia, per il quale venne coinvolto anche il monaco Cosma Andritzopoulos. Il VII e ultimo Capitolo raccoglie le conclusioni della ricerca, da un lato soffermandosi sui luoghi e i protagonisti delle imprese artistiche (in particolare sugli scultori occidentali della Pantanassa e della Parigoritissa, VII.1.1, e sui mosaicisti attivi in quest’ultimo cantiere, VII.1.2), dall’altro sulle componenti ideologiche e politiche sottese alle opere esaminate nei capitoli precedenti (VII.2).

L’Epiro tra Bisanzio e l’Occidente: ideologia e committenza artistica nel primo secolo del Despotato (1204-1318) / Riccardi, Lorenzo. - (2016 May 30).

L’Epiro tra Bisanzio e l’Occidente: ideologia e committenza artistica nel primo secolo del Despotato (1204-1318)

RICCARDI, LORENZO
30/05/2016

Abstract

La tesi, dedicata alle committenze dei Comneno Duca in Epiro tra il 1204 e il 1318, è articolata in sette capitoli. Nel primo è tracciato il quadro storico-politico, entro gli estremi cronologici della dinastia dei Comneno Duca: dalla costituzione dello “stato” di Michele I, a ridosso del 1204, alla morte di Tommaso nel 1318. Il “secolo d’oro” (I.1) è stato suddiviso in tre segmenti cronologici, che corrispondono a) all’ascesa e alla disfatta di Teodoro e dei suoi immediati eredi (I.1.2), nel loro progetto di occupare Salonicco per riconquistare, forti del titolo imperiale, la capitale Costantinopoli (1204ca.-1246); b) al “regno” in Epiro di Michele II, cui viene conferito il titolo di «despota» e che fonda, di fatto, quello che viene definito «Despotato»; c) agli anni di potere di Niceforo e del figlio Tommaso, quest’ultimo sostenuto dalla co-reggenza della madre Anna. I successivi due paragrafi tracciano il quadro culturale e artistico, sia del periodo precedente a quello in esame per comprendere quale fosse la tipologia dei committenti in queste regioni periferiche dell’impero bizantino tra IX e XII secolo (I.1.3); sia del Duecento, prestando attenzione ad alcuni personaggi importanti, impegnati, oltre che sul versante politico, anche su quello artistico (Giovanni Bardanes, Demetrio Chomatenos), o a singoli centri (Hagios Nikolaos a Mesopotamon, Hagios Nikolaos a Kremastos, Bonitza), in cui è attestata – da fonti testuali o da sottoscrizioni librarie – la produzione di manoscritti (I.1.4). Il secondo capitolo si apre con una serrata disamina storiografica dei termini «despota» e «De-spotato» (II.1), necessaria a comprendere come venisse concesso tale titolo e che cosa implicasse nel XIII secolo. È inoltre occasione per ripercorrere i principali studi sul tema e presentare le figure dei Comneno Duca (da Michele I a Tommaso), cui è espressamente dedicato il paragrafo successivo (II.2). Dopo una breve premessa sulla tipologia di fonti utilizzate (numismatica, sfragistica, diplomatica, epigrafia), sono illustrate in modo analitico tutte quelle attestazioni nelle quali ogni “regnante” ha inteso esprimere in modo consapevole e con una certa chiarezza il proprio ruolo nelle vicende del tempo. Attraverso queste scelte di autorappresentazione emergono chiaramente le ambizioni politiche e ideologiche dei Comneno Duca, anche tenendo conto dell’assenza di fonti testuali “interne”, ossia redatte da intellettuali organici alla corte di Arta. Il terzo capitolo è dedicato a un contesto cronologicamente e geograficamente circoscritto (l’Etoloakarnania tra il 1210 e il 1240 circa) attraverso l’approfondita analisi dell’attività di due figure eccezionali: il metropolita Giovanni Apokaukos e Costantino, il fratello di Michele I. Proprio le numerose lettere dell’arcivescovo aiutano a illuminare le vicende molto travagliate che riguardano questa “strana” e irrequieta coppia di rivali. La contesa per la giurisdizione su Naupaktos e l’area circonvicina si trasformò ben presto in un violento scontro: a questo tema, nonché alla presentazione del territorio e dei due “contendenti”, è dedicato il primo paragrafo (III.1). Nel successivo (III.2) sono per la prima volta sistematicamente raccolte e commentate tutte le fonti, gli oggetti e i monumenti che è possibile riconnettere, per varie ragioni, al metropolita Apokaukos: in primis, attraverso uno spoglio della sua corrispondenza allo scopo di ricostruire la sua attività di committente sia sul versante dell’architettura e della decorazione monumentale sia su quello delle arti minori (in particolare i tessuti). Emerge in questo paragrafo anche il suo ruolo di concepteur di programmi iconografici e di autore di epigrammi destinati ad accompagnare oggetti preziosi. Il paragrafo III.3 introduce invece la figura di Costantino attraverso l’esame dell’exonartece del monastero di Varnakova, che egli fece costruire come mausoleo per sé e la sua famiglia: sfortunatamente molto alterato dopo la parziale distruzione del 1826, vengono in nostro soccorso documenti scritti seriori ed epigrafi metriche che dovevano essere apposte sulle due tombe. Grazie ad Apokaukos è poi possibile, nel paragrafo III.4, dare conto di altre iniziative “artistiche” di Costantino: in particolare la costruzione a Naupaktos di un soufas, ossia di una sala di ricevimento, che almeno nel nome richiama modelli dell’Anatolia selgiuchide. Tale impresa è stata letta alla luce del contesto in cui viene ricordata della citazione (una lettera di Apokaukos indirizzata al collega Chomatenos) e specificandone le particolarità sia architettoniche che simbolico-funzionali. L’ultimo paragrafo (III.5) verte su un altro monumento e in particolare sulla sua decorazione pittorica, patrocinata (come apprendiamo dall’iscrizione) da un certo Alessio Comneno Duca intorno al 1230. Si tratta, nonostante le precarie condizioni conservative, di un caso di studio molto interessante sia per gli elementi prosopografici (può Alessio essere identificabile con l’omonimo sepolto a Varnakova ed essere, quindi, un parente di Costantino?) sia per alcune soluzioni iconografiche, specie nel catino absidale. Il quarto capitolo è dedicato alla capitale del Despotato, Arta. Il nuovo ruolo di cui la città venne investita, soprattutto a partire dal 1230, comportò estese trasformazioni che le conferirono un’inedita facies monumentale, specie tenendo conto che nei secoli precedenti essa doveva apparire più dimessa, nonostante vi fossero – come si evince dal primo paragrafo (IV.1) – già diversi monumenti, alcuni dei quali ancora oggi esistenti. Il successivo paragrafo (IV.2) raccoglie le fonti storiche e i dati archeologici sulla città al fine di ricostruirne un più ampio quadro sociale, politico e topografico nel XIII secolo. Ciò permette di passare in rassegna (IV.3), evidenziando gli aspetti più interessanti ai fini della nostra ricerca, i monumenti che costellarono il centro urbano e l’area circonvicina, ma in un modo diacronico, ossia privilegiando una trattazione cronologica progressiva piuttosto che l’analisi sistematica di ogni chiesa o monastero. Questo perché ciascun monumento ha più fasi cronologiche, che spesso corrispondono a committenti differenti e quindi a diversi periodi storici. Un’analisi di Arta decennio per decennio può offrire quindi un quadro più chiaro del processo di monumentalizzazione iniziato da Michele II e proseguito da Niceforo, non senza il contributo delle rispettive mogli, Teodora e Anna. L’ultimo paragrafo (IV.4) getta uno sguardo d’insieme sulla città, seguendo un taglio particolare, quello topografico, per evidenziare – attraverso i monumenti principali – lo sviluppo di quella che Eastmond ha definito, a proposito di Trebisonda, «the ritual geography of the city». Nel Capitolo V, sempre privilegiando una lettura diacronica, si analizzano i due monumenti che più di tutti esprimono la ktetoreia dei despoti Michele II e Niceforo: i monasteri della Pantanassa presso Philippiada e della Parigoritissa di Arta. Essi presentano una storia costruttiva comune, segnata da due fasi, la prima legata a Michele II (1242-1267/1268) e la seconda a Niceforo I (1268-1296/1298). È proprio in questi due edifici che si manifesta con chiarezza non solo il “passaggio di consegne” tra una generazione e l’altra, ma anche la complessità della produzione artistica in Epiro. Ribaltando la prospettiva storiografica corrente, si prende in considerazione dapprima la Pantanassa e poi la Parigoritissa, questo perché, come emerge dal paragrafo V.1.1, è il monastero di Philippiada a vantare la precedenza cronologica su quello di Arta, che invece, nella sua prima fase, molto probabilmente non venne mai terminato (V.1.2). Niceforo, dopo aver ereditato il potere paterno, intervenne sui due edifici in modo differente. Nel caso della Pantanassa (V.2.1), provvide a costruire un complesso peristoon che inglobava il nucleo originario della katholikon e che si contraddistingueva per alcune soluzioni architettoniche estranee al contesto epirota, quali le volte a crociera costolonate e i portali strombati. La riqualificazione del monastero fondato dal padre Michele si tramutava, così, in un’“occidentalizzazione” del suo aspetto esterno. Nel caso della Parigoritissa (V.2.2) Niceforo optò per una ricostruzione integrale, secondo un progetto architettonico davvero straordinario e arricchito da alcuni elementi (come le gallerie e il baldacchino “aperto” sul prospetto occidentale) che richiamano soluzioni “imperiali” costantinopolitane. Per decorare il nuovo edificio reclutò mosaicisti da Oriente (Costantinopoli? Salonicco?) e scultori da Occidente: questi ultimi realizzarono opere molto singolari, che tuttavia rispondono – come vedremo – a un programma iconografico unitario. Nel Capitolo VI è tratteggiato il fenomeno della committenza aristocratica in Epiro, finora ri-masto decisamente ai margini degli studi. Si inizia con una disamina delle fonti epigrafiche attraverso cui è possibile conoscere il nome di questi altrimenti ignoti fondatori, di cui si precisano – per quanto possibile – i dati prosopografici. Nel primo paragrafo si cerca di tracciare un filo rosso tra le loro committenze, sia dal punto di vista artistico (stesse maestranze, stessi materiali) sia, soprattutto, da quello politico-topografico: una prospettiva di lettura, questa, che ci consente di ipotizzare una sorta di progetto “a tavolino” nella distribuzione geografica di tali fondazioni (VI.1). All’unico personaggio cui è possibile ascrivere più di un’opera, ossia Michele Zorianos, è invece dedicato il paragrafo successivo (VI.2). L’esame delle fonti epigrafiche e testuali si associa allo studio delle opere a lui sicuramente riferibili, il codice Barocci 29 della Bodleian Library di Oxford, l’anello d’oro del Metropolitan Museum di New York e, soprattutto, il complesso di chiese a Mokista in Etolia, per il quale venne coinvolto anche il monaco Cosma Andritzopoulos. Il VII e ultimo Capitolo raccoglie le conclusioni della ricerca, da un lato soffermandosi sui luoghi e i protagonisti delle imprese artistiche (in particolare sugli scultori occidentali della Pantanassa e della Parigoritissa, VII.1.1, e sui mosaicisti attivi in quest’ultimo cantiere, VII.1.2), dall’altro sulle componenti ideologiche e politiche sottese alle opere esaminate nei capitoli precedenti (VII.2).
30-mag-2016
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Tipologia: Tesi di dottorato
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