Al fine di procedere con un’analisi sistematica ed una critica (ri)costruttiva inerente la tassazione sul patrimonio si è mostrato necessario, in primo luogo, chiarirne il significato. L’obiettivo è stato, dunque, quello di far luce su cosa si intenda per “patrimonio” e conseguentemente definire la nozione di “imposte patrimoniali”, al fine di delineare i confini di tale categoria ed individuare i tributi che ne fanno parte. Effettuata quest’operazione è stato possibile suddividere il lavoro in tre diverse sezioni dedicate rispettivamente alle singole imposte sul possesso del patrimonio “mobiliare”, a quelle sul possesso del patrimonio “immobiliare” e al regime impositivo inerente la tassazione delle società di comodo. Al termine del presente studio si è voluto lasciare spazio a considerazioni di più ampio respiro dedicate all’analisi di tali forme di imposizione alla luce del principio della capacità contributiva. In particolare, numerosi sono stati i sostenitori degli effetti espropriativi e di ostacolo al risparmio che tale forma di imposizione è in grado di realizzare. Partendo dall’assunto secondo cui le patrimoniali sono imposte ordinate in funzione del patrimonio, che tuttavia si pagano con il reddito, non mancò chi giunse alla conclusione che solo il reddito potesse (in via ordinaria) essere considerato un valido indice di attitudine alla contribuzione. Secondo tale impostazione la tassazione del patrimonio sembrerebbe, tuttalpiù, costituzionalmente legittima solo se prevista in via straordinaria, ossia per mezzo di un prelievo occasionale e di durata limitata nel tempo, giustificato da forti crisi economiche. Tuttavia, anche in considerazione delle pronunce della Corte Costituzionale – che, al contrario, ha individuato nel patrimonio un valido indice di ricchezza tassabile – deve darsi atto di come la scelta se tassare solo il reddito o anche il patrimonio sia meramente discrezionale, frutto di molteplici considerazioni riservate al legislatore. Le esigenze di bilancio e le finalità di redistribuzione e di effettuazione di una discriminazione qualitativa della ricchezza, non possono però dar luogo ad ingiustificati fenomeni di moltiplicazioni di imposta rendendo di fatto insopportabile il carico fiscale. In un’epoca caratterizzata dalla costante sussistenza di un forte debito pubblico e dinamiche di crescita inferiori al potenziale, la correlata necessità di trovare soluzioni tramite la leva fiscale sembra abbia condotto ad una lenta stratificazione di singole forme di prelievo sul patrimonio non accompagnata da una ponderata azione di coordinamento delle stesse all’interno del sistema tributario, il più delle volte, peraltro, idonee a colpire manifestazioni di ricchezza esistenti solo in astratto.

Analisi sistematica e profili ricostruttivi in materia di imposizione sul patrimonio / Corriere, Roberta. - (2020 Feb 19).

Analisi sistematica e profili ricostruttivi in materia di imposizione sul patrimonio

CORRIERE, ROBERTA
19/02/2020

Abstract

Al fine di procedere con un’analisi sistematica ed una critica (ri)costruttiva inerente la tassazione sul patrimonio si è mostrato necessario, in primo luogo, chiarirne il significato. L’obiettivo è stato, dunque, quello di far luce su cosa si intenda per “patrimonio” e conseguentemente definire la nozione di “imposte patrimoniali”, al fine di delineare i confini di tale categoria ed individuare i tributi che ne fanno parte. Effettuata quest’operazione è stato possibile suddividere il lavoro in tre diverse sezioni dedicate rispettivamente alle singole imposte sul possesso del patrimonio “mobiliare”, a quelle sul possesso del patrimonio “immobiliare” e al regime impositivo inerente la tassazione delle società di comodo. Al termine del presente studio si è voluto lasciare spazio a considerazioni di più ampio respiro dedicate all’analisi di tali forme di imposizione alla luce del principio della capacità contributiva. In particolare, numerosi sono stati i sostenitori degli effetti espropriativi e di ostacolo al risparmio che tale forma di imposizione è in grado di realizzare. Partendo dall’assunto secondo cui le patrimoniali sono imposte ordinate in funzione del patrimonio, che tuttavia si pagano con il reddito, non mancò chi giunse alla conclusione che solo il reddito potesse (in via ordinaria) essere considerato un valido indice di attitudine alla contribuzione. Secondo tale impostazione la tassazione del patrimonio sembrerebbe, tuttalpiù, costituzionalmente legittima solo se prevista in via straordinaria, ossia per mezzo di un prelievo occasionale e di durata limitata nel tempo, giustificato da forti crisi economiche. Tuttavia, anche in considerazione delle pronunce della Corte Costituzionale – che, al contrario, ha individuato nel patrimonio un valido indice di ricchezza tassabile – deve darsi atto di come la scelta se tassare solo il reddito o anche il patrimonio sia meramente discrezionale, frutto di molteplici considerazioni riservate al legislatore. Le esigenze di bilancio e le finalità di redistribuzione e di effettuazione di una discriminazione qualitativa della ricchezza, non possono però dar luogo ad ingiustificati fenomeni di moltiplicazioni di imposta rendendo di fatto insopportabile il carico fiscale. In un’epoca caratterizzata dalla costante sussistenza di un forte debito pubblico e dinamiche di crescita inferiori al potenziale, la correlata necessità di trovare soluzioni tramite la leva fiscale sembra abbia condotto ad una lenta stratificazione di singole forme di prelievo sul patrimonio non accompagnata da una ponderata azione di coordinamento delle stesse all’interno del sistema tributario, il più delle volte, peraltro, idonee a colpire manifestazioni di ricchezza esistenti solo in astratto.
19-feb-2020
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1362680
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