Scriveva Luciano Gallino in Vite rinviate come il maggior costo umano della flessibilità possa essere riassunto nell'idea di precarietà. Quest'ultima implica una condizione di insicurezza, oggettiva e soggettiva, che con il tempo «finisce per investire e modificare anche la mente, l'interiorità della persona», la quale giunge a percepire se stessa in modo diverso dagli altri. Ne deriva la limitata, se non nulla, possibilità di formulare previsioni e progetti riguardo il proprio futuro professionale, ma spesso anche esistenziale e familiare, unitamente al sentimento «che la propria vita, il proprio destino, il futuro subiscano quotidianamente l'impatto di fattori puramente contingenti», del tutto indipendenti dal modo in cui il soggetto agisce . Tali considerazioni si applicano particolarmente al caso dei Neet (Not in Employment, Education or Training), acronimo sempre più ricorrente nel discorso statistico, sociologico e mediatico, volto a designare un universo giovanile dai 15 ai 29 anni che non studia, non lavora e non è impegnato in percorsi di apprendimento professionale. Nel 2016 in Italia oltre 2 milioni di giovani risultano fuori dal circuito formativo e lavorativo (23,9%), presentando quote più elevate tra le donne (26,1%) che tra gli uomini (21,8%) e una percentuale nel Mezzogiorno quasi doppia rispetto al Centro-Nord. Nella comparazione con i paesi dell'Unione Europea (in media 15,9%), l'Italia mostra la percentuale più elevata di Neet dopo la Grecia e la Bulgaria, laddove Paesi Bassi (6,2%), Lussemburgo (7,6%), Austria (7,8%) e Danimarca (8,2) presentano numeri sensibilmente inferiori. Lo stimolo a indagare tale fenomeno proviene, dunque, sia dal sempre più diffuso utilizzo dell'acronimo da parte delle istituzioni, sia dal numero particolarmente elevato di Neet italiani. Ciò che, tuttavia, sembra prevalere nel discorso pubblico è una tendenza alla generalizzazione semplificante nella rappresentazione di un universo tutt'altro che omogeneo, unitamente alla caratterizzazione della componente giovanile che non lavora né è impegnata in percorsi educativi o formativi, soprattutto nel contesto italiano, secondo la dimensione della volontarietà (nel senso di mancanza di volontà e spirito di sacrificio o di riluttanza snobistica a considerare proposte di impiego non pienamente consone con le conoscenze e le abilità acquisite nei percorsi di formazione). Di qui l'intento di approfondire in queste note le molteplici sfaccettature dell'universo Neet. Dopo aver riflettuto sulle conseguenze della diffusa precarietà professionale sulle traiettorie esistenziali e sulla “capacità di aspirare” di un numero crescente di giovani, viene qui esaminata, in primo luogo, la dimensione quantitativa del fenomeno Neet, mediante una riflessione sui dati italiani in prospettiva comparata. Ciò induce a evidenziare, all'interno di un insieme estremamente diversificato, i molteplici profili emergenti, ognuno dei quali connotato da specifici bisogni e livelli di vulnerabilità, pur nella presenza trasversale di criticità, quali il rischio di accumulazione di svantaggi e, in generale, di esclusione sociale. Con particolare riferimento al contesto italiano, si riportano, inoltre, le risultanze più significative di interviste rivolte sul tema a testimoni privilegiati, le quali, integrando il quadro prima delineato, forniscono un ulteriore spunto per abbozzare alcune considerazioni conclusive, evidentemente provvisorie rispetto all’interpretazione di un fenomeno in costante divenire.

Le vite rinviate dei giovani Neet. Il caso italiano / Antonini, Erica. - (2018). (Intervento presentato al convegno Giovani e problemi sociali. Le sfide culturali di una realtà complessa tenutosi a Istituto Luigi Sturzo, Roma).

Le vite rinviate dei giovani Neet. Il caso italiano

Antonini Erica
2018

Abstract

Scriveva Luciano Gallino in Vite rinviate come il maggior costo umano della flessibilità possa essere riassunto nell'idea di precarietà. Quest'ultima implica una condizione di insicurezza, oggettiva e soggettiva, che con il tempo «finisce per investire e modificare anche la mente, l'interiorità della persona», la quale giunge a percepire se stessa in modo diverso dagli altri. Ne deriva la limitata, se non nulla, possibilità di formulare previsioni e progetti riguardo il proprio futuro professionale, ma spesso anche esistenziale e familiare, unitamente al sentimento «che la propria vita, il proprio destino, il futuro subiscano quotidianamente l'impatto di fattori puramente contingenti», del tutto indipendenti dal modo in cui il soggetto agisce . Tali considerazioni si applicano particolarmente al caso dei Neet (Not in Employment, Education or Training), acronimo sempre più ricorrente nel discorso statistico, sociologico e mediatico, volto a designare un universo giovanile dai 15 ai 29 anni che non studia, non lavora e non è impegnato in percorsi di apprendimento professionale. Nel 2016 in Italia oltre 2 milioni di giovani risultano fuori dal circuito formativo e lavorativo (23,9%), presentando quote più elevate tra le donne (26,1%) che tra gli uomini (21,8%) e una percentuale nel Mezzogiorno quasi doppia rispetto al Centro-Nord. Nella comparazione con i paesi dell'Unione Europea (in media 15,9%), l'Italia mostra la percentuale più elevata di Neet dopo la Grecia e la Bulgaria, laddove Paesi Bassi (6,2%), Lussemburgo (7,6%), Austria (7,8%) e Danimarca (8,2) presentano numeri sensibilmente inferiori. Lo stimolo a indagare tale fenomeno proviene, dunque, sia dal sempre più diffuso utilizzo dell'acronimo da parte delle istituzioni, sia dal numero particolarmente elevato di Neet italiani. Ciò che, tuttavia, sembra prevalere nel discorso pubblico è una tendenza alla generalizzazione semplificante nella rappresentazione di un universo tutt'altro che omogeneo, unitamente alla caratterizzazione della componente giovanile che non lavora né è impegnata in percorsi educativi o formativi, soprattutto nel contesto italiano, secondo la dimensione della volontarietà (nel senso di mancanza di volontà e spirito di sacrificio o di riluttanza snobistica a considerare proposte di impiego non pienamente consone con le conoscenze e le abilità acquisite nei percorsi di formazione). Di qui l'intento di approfondire in queste note le molteplici sfaccettature dell'universo Neet. Dopo aver riflettuto sulle conseguenze della diffusa precarietà professionale sulle traiettorie esistenziali e sulla “capacità di aspirare” di un numero crescente di giovani, viene qui esaminata, in primo luogo, la dimensione quantitativa del fenomeno Neet, mediante una riflessione sui dati italiani in prospettiva comparata. Ciò induce a evidenziare, all'interno di un insieme estremamente diversificato, i molteplici profili emergenti, ognuno dei quali connotato da specifici bisogni e livelli di vulnerabilità, pur nella presenza trasversale di criticità, quali il rischio di accumulazione di svantaggi e, in generale, di esclusione sociale. Con particolare riferimento al contesto italiano, si riportano, inoltre, le risultanze più significative di interviste rivolte sul tema a testimoni privilegiati, le quali, integrando il quadro prima delineato, forniscono un ulteriore spunto per abbozzare alcune considerazioni conclusive, evidentemente provvisorie rispetto all’interpretazione di un fenomeno in costante divenire.
2018
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