L’architettura Africana presenta da sempre una immensa varietà di colori e forme, forme che riflettono tanto l’articolata storia delle popolazioni locali, quanto il costante adattamento alle diverse condizioni politiche, sociali ed ambientali delle singole regioni, senza trascurare in alcun modo la creatività e l’originalità di ciascuna popolazione. Sebbene in campo architettonico lo sviluppo tecnologico risulti estremamente rapido, costante, immancabile ed imminente, esistono elementi costruttivi tradizionali destinati a non subire modificazioni, o a subirne di minimali. Il valore di tali elementi, rimarcato dalla sopravvivenza al tempo degli stessi, non è da considerarsi positivo unicamente in termini costruttivi, in quanto noto, collaudato e conosciuto, ma rappresenta quel carattere distintivo capace di preservare l’identità di queste culture, rimarcando fortemente il senso di individualità capace di renderle uniche, in un unico termine riconoscibili. La piena forza di tali elementi e metodi costruttivi è rappresentata dalla capacità di saper contestualizzare e radicare nel territorio ogni opera costruita, in un rapporto di piena integrazione con le preesistenze, rappresentando quell’ aspetto che ne influenza in maniera sostanziale l’efficacia, la credibilità, la forza e perfino l’interpretazione. È ciò che potremmo in qualche modo definire il “timbro dell’architettura”. Risultano emblematici le realtà più tribali dell’Africa Subsahariana, nello specifico Mali e Burkina Faso, dove gli elementi tradizionali ed autoctoni, in qualche modo primitivi, trovano ad oggi costante applicazione nelle più contemporanee realizzazioni architettoniche. Storicamente, partendo dagli assunti teorici di Hassan Fathy, ne sono esempio le opere di architetti quali Dibiedo Francis Kèrè, Albert Faus, Mokena Makeka, Kunle Adeyemi, Tsay, LEVS ma anche dell’italiano Fabrizio Carola, in coppia da pochi anni con Paolo Cascone, del gruppo Tam Studio e di Matteo ed Emilio Caravatti. ABSTRACT 15 “Migliorare i luoghi dove abita la mia gente rivisitando la nostra storia e accompagnando il nostro stile di vita, senza scimmiottare quello occidentale” è quanto afferma Mariam Kamara, donna ed architetto originaria del Niger sottolineando fermamente il ruolo politico dell’architettura nel coadiuvare la volontà di riscatto di popolazioni che per anni hanno emulato l’occidente, realizzando opere che “si sono tradotte in architetture realizzate in materiali per noi costosissimi. Perché non tengono conto delle problematiche climatiche ed economiche, perché non tengono conto di chi siamo (con conseguenze tragiche a livello di consumi energetici).” [2] La ricerca intende in tal senso approfondire il rapporto esistente tra l’architettura contemporanea in area Subsahariana e gli elementi costruttivi ed urbanistici archetipici di tale territorio, sottolineando l’efficacia in termini architettonici, economici e sociali di un modello costruttivo fondato sul recupero del vernacolare e degli elementi della tradizione, ed esplorandone, attraverso lo studio delle realizzazioni più contemporanee inquadrabili nell’ambito delle best practices, i limiti e le potenzialità. [1] Architecture for the poor: an experiment in rural Egypt (1973) , Hassan Fathy Fathy, padre dell’architettura africana, ha svolto significative ricerche centrate sulle peculiarità costruttive e sociali degli ambienti rurali, affrontando un riesame sociale e ambientale volto alla rivalutazione dei materiali e delle tipologie tradizionali contrastando la diffusione dell’International style nelle aree considerate. [2] Mariam Kamara, D (11/08/18), 100 donne che cambiano il mondo Mariam Kamara, personalità attivissima nell’area del Niger, ritiene che gli architetti africani dovrebbero smettere di emulare ciò che già esiste in Occidente, guardando alla propria storia e patrimonio con un rinnovato spirito critico, cin il fine di produrre un’architettura in grado di riflettere lo spirito della regione nella quale gli edifici andranno a sorgere.

FUTURAFRICA, sperimentare la tradizione nel contemporaneo. Il caso di Mali e Burkina Faso in area subsahariana / Romano, Elisa. - (2019 Feb 26).

FUTURAFRICA, sperimentare la tradizione nel contemporaneo. Il caso di Mali e Burkina Faso in area subsahariana

ROMANO, ELISA
26/02/2019

Abstract

L’architettura Africana presenta da sempre una immensa varietà di colori e forme, forme che riflettono tanto l’articolata storia delle popolazioni locali, quanto il costante adattamento alle diverse condizioni politiche, sociali ed ambientali delle singole regioni, senza trascurare in alcun modo la creatività e l’originalità di ciascuna popolazione. Sebbene in campo architettonico lo sviluppo tecnologico risulti estremamente rapido, costante, immancabile ed imminente, esistono elementi costruttivi tradizionali destinati a non subire modificazioni, o a subirne di minimali. Il valore di tali elementi, rimarcato dalla sopravvivenza al tempo degli stessi, non è da considerarsi positivo unicamente in termini costruttivi, in quanto noto, collaudato e conosciuto, ma rappresenta quel carattere distintivo capace di preservare l’identità di queste culture, rimarcando fortemente il senso di individualità capace di renderle uniche, in un unico termine riconoscibili. La piena forza di tali elementi e metodi costruttivi è rappresentata dalla capacità di saper contestualizzare e radicare nel territorio ogni opera costruita, in un rapporto di piena integrazione con le preesistenze, rappresentando quell’ aspetto che ne influenza in maniera sostanziale l’efficacia, la credibilità, la forza e perfino l’interpretazione. È ciò che potremmo in qualche modo definire il “timbro dell’architettura”. Risultano emblematici le realtà più tribali dell’Africa Subsahariana, nello specifico Mali e Burkina Faso, dove gli elementi tradizionali ed autoctoni, in qualche modo primitivi, trovano ad oggi costante applicazione nelle più contemporanee realizzazioni architettoniche. Storicamente, partendo dagli assunti teorici di Hassan Fathy, ne sono esempio le opere di architetti quali Dibiedo Francis Kèrè, Albert Faus, Mokena Makeka, Kunle Adeyemi, Tsay, LEVS ma anche dell’italiano Fabrizio Carola, in coppia da pochi anni con Paolo Cascone, del gruppo Tam Studio e di Matteo ed Emilio Caravatti. ABSTRACT 15 “Migliorare i luoghi dove abita la mia gente rivisitando la nostra storia e accompagnando il nostro stile di vita, senza scimmiottare quello occidentale” è quanto afferma Mariam Kamara, donna ed architetto originaria del Niger sottolineando fermamente il ruolo politico dell’architettura nel coadiuvare la volontà di riscatto di popolazioni che per anni hanno emulato l’occidente, realizzando opere che “si sono tradotte in architetture realizzate in materiali per noi costosissimi. Perché non tengono conto delle problematiche climatiche ed economiche, perché non tengono conto di chi siamo (con conseguenze tragiche a livello di consumi energetici).” [2] La ricerca intende in tal senso approfondire il rapporto esistente tra l’architettura contemporanea in area Subsahariana e gli elementi costruttivi ed urbanistici archetipici di tale territorio, sottolineando l’efficacia in termini architettonici, economici e sociali di un modello costruttivo fondato sul recupero del vernacolare e degli elementi della tradizione, ed esplorandone, attraverso lo studio delle realizzazioni più contemporanee inquadrabili nell’ambito delle best practices, i limiti e le potenzialità. [1] Architecture for the poor: an experiment in rural Egypt (1973) , Hassan Fathy Fathy, padre dell’architettura africana, ha svolto significative ricerche centrate sulle peculiarità costruttive e sociali degli ambienti rurali, affrontando un riesame sociale e ambientale volto alla rivalutazione dei materiali e delle tipologie tradizionali contrastando la diffusione dell’International style nelle aree considerate. [2] Mariam Kamara, D (11/08/18), 100 donne che cambiano il mondo Mariam Kamara, personalità attivissima nell’area del Niger, ritiene che gli architetti africani dovrebbero smettere di emulare ciò che già esiste in Occidente, guardando alla propria storia e patrimonio con un rinnovato spirito critico, cin il fine di produrre un’architettura in grado di riflettere lo spirito della regione nella quale gli edifici andranno a sorgere.
26-feb-2019
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1246861
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