Da sempre arte e architettura hanno contribuito, insieme, a conformare gli spazi della vita degli uomini. Tuttavia, con il passare dei secoli, le due discipline sembrano essersi allontanate, finendo per configurare due domini disciplinari quasi del tutto autonomi e rinunciando sempre più spesso a lavorare fianco a fianco. Nonostante ciò, a partire dalla seconda metà del XX secolo, questa tendenza è sembrata invertirsi grazie all'opera di alcuni artisti che, pur non avendo una specifica formazione architettonica, hanno iniziato a progettare opere ambientali capaci di sfidare i confini fra le due discipline, oscillando fra arte e architettura, inglobando illusione e realtà, arte e vita, in quel “complesso arte-architettura” che per Hal Foster è una delle caratteristiche che definisce la cultura contemporanea, sia per quanto riguarda la produzione di immagini che la configurazione di spazi. Il progetto di ricerca parte dall'analisi di quelle opere d'arte che possono essere riunite sotto la definizione di “installazioni ambientali”. Negli ultimi quattro decenni, queste opere d'arte, mettendo in connessione diretta le pratiche dell'installation art e dell'environmental art, hanno assunto una dilatazione spaziale tale da farle sconfinare in quello che Vittorio Gregotti nel 1966 aveva definito il “territorio dell'architettura”. Il 1976 costituisce un vero e proprio punto di svolta per comprendere lo sviluppo dell'installazione ambientale in Italia, a causa dell'importanza che ha rivestito la Biennale di Venezia di quell'anno, diretta proprio da Gregotti, nell'ambito degli studi sull'arte ambientale a livello internazionale. Ma già molti decenni prima, a partire dalle sperimentazioni ambientali dei futuristi e, soprattutto, nel secondo dopoguerra con artisti come Lucio Fontana, l'Italia aveva offerto esempi di installazioni ambientali di assoluto livello internazionale. Il mio studio – cercando di superare la settorializzazione degli studi tra storia dell'arte e storia dell'architettura, ma anche fra storia della critica, del collezionismo e delle esposizioni – si pone come fine quello di fornire una prima approfondita mappatura nel tempo e nello spazio di questo tipo di progetti artistico-architettonici realizzati in Italia. Questo tipo di mappatura generale manca nella letteratura specialistica italiana, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi quattro decenni, per i quali ho costruito un repertorio di opere di riferimento realizzate da 180 artisti italiani a partire dal 1976. A livello d'impianto metodologico la tesi è strutturata in una serie di approfondimenti specifici, in cui a ricerche bibliografiche e d'archivio si sono, necessariamente, affiancati studi “dal vivo” delle opere in questione. Attraverso la ricostruzione a grandi linee della storia internazionale delle pratiche artistiche ambientali e installative, si arriva alla definizione delle installazioni ambientali come spazi concepiti dagli artisti in modo tale che il confine tra pratica artistica e costruzione architettonica si faccia labile e indistinto. L’attenzione è focalizzata sull'analisi di questo particolare tipo di installazioni e la ricerca è suddivisa in diversi focus e casi-studio: 1) raccolta di esempi storici di installazioni ambientali realizzate da artisti italiani, a partire dalle prime sperimentazioni futuriste fino alla metà degli anni Settanta; 2) approfondimento specifico sulla Biennale di Venezia del 1976 (“Ambiente Partecipazione Strutture Culturali”) e, in particolare, sulla mostra “Ambiente/Arte” in essa ospitata, curata da Germano Celant; 3) approfondimento specifico sulle installazioni ambientali presentate alla Biennale di Venezia dopo il 1976 fino al 2011 (anno della realizzazione dei Parapadiglioni); 4) mappatura delle collezioni di installazioni ambientali permanenti attualmente presenti sul suolo italiano realizzate a partire dalla metà degli anni Settanta; 5) repertorio di 180 artisti italiani che con le loro opere, sia permanenti che temporanee, hanno maggiormente contribuito allo sviluppo di questo tipo di ricerca a partire dalla metà degli anni Settanta. Sulla scorta di queste ricerche emerge un quadro d'insieme articolato in cui si inseriscono fonti neglette (articoli di riviste, fotografie disperse, documenti di archivi privati) e si precisano i contributi di alcuni protagonisti (in particolare, rispetto all'approfondimento sulla Biennale di Venezia del 1976, si chiariscono la partecipazione e le fonti di Vittorio Gregotti, Germano Celant, Enrico Crispolti e Carlo Ripa di Meana). Queste novità emerse dal punto di vista storico si accompagnano a precisazioni più generali sull'avvicendarsi delle esperienze artistico-architettoniche in Italia, con una particolare attenzione alla terminologia specifica, utile per segnalare i momenti di svolta storico-artistici sullo sfondo del panorama internazionale.

Artisti-Architetti. L'installazione ambientale in Italia prima e dopo la Biennale di Venezia del 1976 / Zacchini, Simone. - (2019 Feb 22).

Artisti-Architetti. L'installazione ambientale in Italia prima e dopo la Biennale di Venezia del 1976

ZACCHINI, SIMONE
22/02/2019

Abstract

Da sempre arte e architettura hanno contribuito, insieme, a conformare gli spazi della vita degli uomini. Tuttavia, con il passare dei secoli, le due discipline sembrano essersi allontanate, finendo per configurare due domini disciplinari quasi del tutto autonomi e rinunciando sempre più spesso a lavorare fianco a fianco. Nonostante ciò, a partire dalla seconda metà del XX secolo, questa tendenza è sembrata invertirsi grazie all'opera di alcuni artisti che, pur non avendo una specifica formazione architettonica, hanno iniziato a progettare opere ambientali capaci di sfidare i confini fra le due discipline, oscillando fra arte e architettura, inglobando illusione e realtà, arte e vita, in quel “complesso arte-architettura” che per Hal Foster è una delle caratteristiche che definisce la cultura contemporanea, sia per quanto riguarda la produzione di immagini che la configurazione di spazi. Il progetto di ricerca parte dall'analisi di quelle opere d'arte che possono essere riunite sotto la definizione di “installazioni ambientali”. Negli ultimi quattro decenni, queste opere d'arte, mettendo in connessione diretta le pratiche dell'installation art e dell'environmental art, hanno assunto una dilatazione spaziale tale da farle sconfinare in quello che Vittorio Gregotti nel 1966 aveva definito il “territorio dell'architettura”. Il 1976 costituisce un vero e proprio punto di svolta per comprendere lo sviluppo dell'installazione ambientale in Italia, a causa dell'importanza che ha rivestito la Biennale di Venezia di quell'anno, diretta proprio da Gregotti, nell'ambito degli studi sull'arte ambientale a livello internazionale. Ma già molti decenni prima, a partire dalle sperimentazioni ambientali dei futuristi e, soprattutto, nel secondo dopoguerra con artisti come Lucio Fontana, l'Italia aveva offerto esempi di installazioni ambientali di assoluto livello internazionale. Il mio studio – cercando di superare la settorializzazione degli studi tra storia dell'arte e storia dell'architettura, ma anche fra storia della critica, del collezionismo e delle esposizioni – si pone come fine quello di fornire una prima approfondita mappatura nel tempo e nello spazio di questo tipo di progetti artistico-architettonici realizzati in Italia. Questo tipo di mappatura generale manca nella letteratura specialistica italiana, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi quattro decenni, per i quali ho costruito un repertorio di opere di riferimento realizzate da 180 artisti italiani a partire dal 1976. A livello d'impianto metodologico la tesi è strutturata in una serie di approfondimenti specifici, in cui a ricerche bibliografiche e d'archivio si sono, necessariamente, affiancati studi “dal vivo” delle opere in questione. Attraverso la ricostruzione a grandi linee della storia internazionale delle pratiche artistiche ambientali e installative, si arriva alla definizione delle installazioni ambientali come spazi concepiti dagli artisti in modo tale che il confine tra pratica artistica e costruzione architettonica si faccia labile e indistinto. L’attenzione è focalizzata sull'analisi di questo particolare tipo di installazioni e la ricerca è suddivisa in diversi focus e casi-studio: 1) raccolta di esempi storici di installazioni ambientali realizzate da artisti italiani, a partire dalle prime sperimentazioni futuriste fino alla metà degli anni Settanta; 2) approfondimento specifico sulla Biennale di Venezia del 1976 (“Ambiente Partecipazione Strutture Culturali”) e, in particolare, sulla mostra “Ambiente/Arte” in essa ospitata, curata da Germano Celant; 3) approfondimento specifico sulle installazioni ambientali presentate alla Biennale di Venezia dopo il 1976 fino al 2011 (anno della realizzazione dei Parapadiglioni); 4) mappatura delle collezioni di installazioni ambientali permanenti attualmente presenti sul suolo italiano realizzate a partire dalla metà degli anni Settanta; 5) repertorio di 180 artisti italiani che con le loro opere, sia permanenti che temporanee, hanno maggiormente contribuito allo sviluppo di questo tipo di ricerca a partire dalla metà degli anni Settanta. Sulla scorta di queste ricerche emerge un quadro d'insieme articolato in cui si inseriscono fonti neglette (articoli di riviste, fotografie disperse, documenti di archivi privati) e si precisano i contributi di alcuni protagonisti (in particolare, rispetto all'approfondimento sulla Biennale di Venezia del 1976, si chiariscono la partecipazione e le fonti di Vittorio Gregotti, Germano Celant, Enrico Crispolti e Carlo Ripa di Meana). Queste novità emerse dal punto di vista storico si accompagnano a precisazioni più generali sull'avvicendarsi delle esperienze artistico-architettoniche in Italia, con una particolare attenzione alla terminologia specifica, utile per segnalare i momenti di svolta storico-artistici sullo sfondo del panorama internazionale.
22-feb-2019
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