Gli studi sul corporativismo fascista stanno conoscendo una rinnovata stagione di interesse da parte di storici e specialisti, anche per via della crisi economica e sociale che attanaglia l’Europa: i lavori di Gagliardi, Santomassimo e Parlato sono i migliori esempi in questo senso. Proprio partendo dall’idea di «terza via» tra le due guerre questo studio vuole fornire un’interpretazione critica dei fermenti che hanno infiammato, con alterne fortune, la scena politica e culturale italiana in nome di un sistema alternativo sia al liberalismo che al comunismo. Il corporativismo fascista, frutto di una lunga serie di istanze prettamente italiane come l’associazionismo mazziniano o il sindacalismo rivoluzionario, si affermò quale idea forza del regime per creare un ordine nuovo, attirando l’interesse di diverse nazioni come gli Stati Uniti, dopo la crisi del ’29 in particolare. Movimenti fascisti sorsero in tutto il mondo, mentre nei confronti della Russia sovietica erano molti studiosi del nostro paese ad esprimere interesse e interpretazioni non scontate. I teorici corporativi dialogarono proficuamente a livello internazionale con economisti delle più diverse estrazioni, animando una stagione di intenso ripensamento dei modelli economici liberali e del sistema capitalista. La riflessione fu accompagnata dall’edificazione dello Stato sociale e delle strutture corporative, ripercorsa passo dopo passo nel saggio attraverso un confronto costante con la letteratura scientifica sul tema. Tra teoria e pratica la distanza rimase considerevole, mentre l’avvicinamento alla Germania e l’adozione delle leggi razziali portarono conseguenze estremamente negative, “raffreddando” l’interesse di alcune potenze riguardo al sistema fascista. In ogni caso l’idea di «terza via» e «rivoluzione sociale» continuò a caratterizzare fino all’ultimo le intelligenze più giovani e spregiudicate della «sinistra fascista», animate da un profondo spirito antiborghese e anticapitalista in nome della «collaborazione di classe» nel segno della «comunità» e della Nazione. Nonostante l’andamento disastroso del secondo conflitto mondiale, le idee sopraelencate furono la base dell’effimera socializzazione delle imprese, «momento finale» del corporativismo. L’analisi si chiude proponendo l’identificazione della teoria corporativa e del dirigismo del regime (si pensi all’Iri), tra cui pure ci furono importanti frizioni, con l’idea di «insubordinazione fondante» italiana, per usare una categoria coniata da Marcelo Gullo. Con questo termine viene indicato il momento storico nel quale una Nazione pone le basi per la sua indipendenza e il suo sviluppo industriale allontandosi dalle teorie liberali d’importazione anglosassone.
Corporativismo, Stato sociale, sviluppo (1922-1945) / Carlesi, Francesco. - STAMPA. - (2017), pp. 151-202.
Corporativismo, Stato sociale, sviluppo (1922-1945)
Francesco Carlesi
2017
Abstract
Gli studi sul corporativismo fascista stanno conoscendo una rinnovata stagione di interesse da parte di storici e specialisti, anche per via della crisi economica e sociale che attanaglia l’Europa: i lavori di Gagliardi, Santomassimo e Parlato sono i migliori esempi in questo senso. Proprio partendo dall’idea di «terza via» tra le due guerre questo studio vuole fornire un’interpretazione critica dei fermenti che hanno infiammato, con alterne fortune, la scena politica e culturale italiana in nome di un sistema alternativo sia al liberalismo che al comunismo. Il corporativismo fascista, frutto di una lunga serie di istanze prettamente italiane come l’associazionismo mazziniano o il sindacalismo rivoluzionario, si affermò quale idea forza del regime per creare un ordine nuovo, attirando l’interesse di diverse nazioni come gli Stati Uniti, dopo la crisi del ’29 in particolare. Movimenti fascisti sorsero in tutto il mondo, mentre nei confronti della Russia sovietica erano molti studiosi del nostro paese ad esprimere interesse e interpretazioni non scontate. I teorici corporativi dialogarono proficuamente a livello internazionale con economisti delle più diverse estrazioni, animando una stagione di intenso ripensamento dei modelli economici liberali e del sistema capitalista. La riflessione fu accompagnata dall’edificazione dello Stato sociale e delle strutture corporative, ripercorsa passo dopo passo nel saggio attraverso un confronto costante con la letteratura scientifica sul tema. Tra teoria e pratica la distanza rimase considerevole, mentre l’avvicinamento alla Germania e l’adozione delle leggi razziali portarono conseguenze estremamente negative, “raffreddando” l’interesse di alcune potenze riguardo al sistema fascista. In ogni caso l’idea di «terza via» e «rivoluzione sociale» continuò a caratterizzare fino all’ultimo le intelligenze più giovani e spregiudicate della «sinistra fascista», animate da un profondo spirito antiborghese e anticapitalista in nome della «collaborazione di classe» nel segno della «comunità» e della Nazione. Nonostante l’andamento disastroso del secondo conflitto mondiale, le idee sopraelencate furono la base dell’effimera socializzazione delle imprese, «momento finale» del corporativismo. L’analisi si chiude proponendo l’identificazione della teoria corporativa e del dirigismo del regime (si pensi all’Iri), tra cui pure ci furono importanti frizioni, con l’idea di «insubordinazione fondante» italiana, per usare una categoria coniata da Marcelo Gullo. Con questo termine viene indicato il momento storico nel quale una Nazione pone le basi per la sua indipendenza e il suo sviluppo industriale allontandosi dalle teorie liberali d’importazione anglosassone.File | Dimensione | Formato | |
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