Il candidato intende offrire un contributo allo studio dei due impianti normativi che possono dirsi costituire tra i più significativi e rivoluzionari interventi del legislatore europeo spesi nel tentativo di sistemazione della disciplina dell’atto di consumo: la direttiva 1993/13/CEE del Consiglio del 5 aprile «concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» e la direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 «relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno». L’analisi è condotta avendo a riferimento tanto le disposizioni contenute nelle direttive quanto le disposizioni nazionali frutto dell’opera di recepimento del legislatore italiano, quest’ultime rispettivamente contenute, quanto alle clausole vessatorie, negli artt. 33-37 bis del D.lgs. 206/2005 (Codice del consumo) e, quanto alle pratiche commerciali scorrette, negli artt. 18-27 quater del medesimo decreto. La prima parte del lavoro è dedicata a una ricognizione dei profili generali delle due discipline, delle quali, in particolare, verranno illustrati i rispettivi ambiti di applicazione (soggettivo e oggettivo), la portata delle clausole generali di abusività/vessatorietà (artt. 3 dir. n. 13/1993 e 33 cod. cons.) e di slealtà/scorettezza (artt. 5, para 2°, dir. n. 29/2005 e 20, comma 2°, cod. cons.), e i sistemi rimediali (cd. enforcement) predisposti per arginare il fenomeno dell’utilizzo di clausole vessatorie nei contratti tra professionisti e consumatori (artt. 6-7 dir. n. 13/1993 e 36-37-37 bis cod. cons.) e quello delle pratiche commerciali scorrette cd. “business to consumers” (“B2C”) (artt. 11-13 dir. n. 29/2005 e 27 cod. cons.). La seconda parte del contributo è dedicata a un primo raffronto tra le due discipline. Muovendo dall’analisi delle diverse disposizioni di legge, si tenterà, più precisamente, di illustrare come il rapporto tra i due sistemi normativi debba anzitutto ricondursi al più ampio e generale rapporto che intercorre tra il diritto generale delle pratiche commerciali sleali (o, ove si preferisca, della concorrenza sleale in senso lato) e il diritto dei contratti, come sintetizzato dal disposto di cui all’art. 3, para 2, della direttiva 2005/29/CE (art. 19, comma 2°, lett. a), cod. cons.). Si osserverà, dunque, che le due direttive muovono da diverse prospettive d’intervento (prevalentemente individuale la dir. n. 13/1993 e esclusivamente meta-individuale la dir. n. 29/2005), hanno distinti ambiti di applicazione e offrono (parzialmente) differenti livelli di tutela del consumatore (individuale e successiva l’una, collettiva e preventiva l’altra). Tanto offrirà altresì gli strumenti per affrontare la peculiare questione - oggetto anche di un recente arresto della Corte di Giustizia (Sez. I^, del 15/03/2012, C-453/10, Jana Pereničová e Vladislav Perenič contro SOS financ spol. s r. o.) - relativa alla possibile influenza che la qualificazione di una pratica commerciale come scorretta possa avere sulla valutazione della natura vessatoria di una clausola. La terza parte della ricerca, invece, muoverà dalla constatazione che la pratica di «utilizzo» di clausole abusive ben può essere sussunta sotto la più ampia fattispecie generale di pratica commerciale di cui agli artt. 2, lett. d) e 3, para 1°, della direttiva 2005/29/CE (18, lett. d) e 19, comma 1°, cod. cons.). L’analisi, in particolare, verterà sull’eventualità che l’uso di clausole abusive ai sensi della direttiva 1993/13/CEE possa qualificarsi come pratica commerciale sleale ai sensi della direttiva 2005/29/CE. Verranno premesse preliminari considerazioni sulla dimensione super-individuale riconoscibile anche all’impianto normativo recato dalla direttiva 1993/13/CEE (come ricavabile dagli artt. 7 dir. e 37-37 bis, cod. cons.), e verranno quindi analizzati i requisiti alla ricorrenza dei quali una pratica possa dirsi sleale/scorretta (eventualmente anche nelle forme tipiche della ingannevolezza o aggressività), al fine di verificare se essi risultano per l’appunto integrati nell’ipotesi di un generalizzato utilizzo di clausole abusive da parte del professionista. Verificata la possibilità di qualificare come sleale/scorretta la pratica d’uso di clausole abusive/vessatorie, da ultimo, verrà affrontata la questione circa l’esistenza di un eventuale conflitto tra le due normative, come inteso ai sensi dell’art. 3, para 4, della direttiva 2005/29/CE (art. 19, comma 3°, cod. cons.) A tale fine, in chiave critica, verrà preliminarmente dato conto delle diverse posizioni della dottrina e dell’evoluzione normativa (d.lgs. 21/2014) e giurisprudenziale (in particolare della giurisprudenza amministrativa del Cons. di Stato, antecedente e successiva all’apertura della procedura di infrazione n. 2013/2169) registratesi quanto al più ampio problema del coordinamento tra il divieto generale di porre in essere pratiche commerciale sleali/scorrette e i più specifici divieti e obblighi comportamentali posti da altre normative preesistenti alla direttiva 2005/29/CE ed applicabili in determinati settori o con riferimento a determinate pratiche commerciali. Delle conclusioni così raggiunte verrà quindi fatta applicazione al più circoscritto rapporto intercorrente tra il divieto di cui all’art. 5, para 1°, della direttiva 2005/19/CE (art. 20, comma 1°, cod. cons.) e il divieto di utilizzare clausole vessatorie (artt. 7 dir. e 37-37 bis, cod. cons).

L'uso di clausole vessatorie come pratica commerciale scorretta / Bernardi, Francesco. - (2017 Dec 02).

L'uso di clausole vessatorie come pratica commerciale scorretta

BERNARDI, FRANCESCO
02/12/2017

Abstract

Il candidato intende offrire un contributo allo studio dei due impianti normativi che possono dirsi costituire tra i più significativi e rivoluzionari interventi del legislatore europeo spesi nel tentativo di sistemazione della disciplina dell’atto di consumo: la direttiva 1993/13/CEE del Consiglio del 5 aprile «concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» e la direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 «relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno». L’analisi è condotta avendo a riferimento tanto le disposizioni contenute nelle direttive quanto le disposizioni nazionali frutto dell’opera di recepimento del legislatore italiano, quest’ultime rispettivamente contenute, quanto alle clausole vessatorie, negli artt. 33-37 bis del D.lgs. 206/2005 (Codice del consumo) e, quanto alle pratiche commerciali scorrette, negli artt. 18-27 quater del medesimo decreto. La prima parte del lavoro è dedicata a una ricognizione dei profili generali delle due discipline, delle quali, in particolare, verranno illustrati i rispettivi ambiti di applicazione (soggettivo e oggettivo), la portata delle clausole generali di abusività/vessatorietà (artt. 3 dir. n. 13/1993 e 33 cod. cons.) e di slealtà/scorettezza (artt. 5, para 2°, dir. n. 29/2005 e 20, comma 2°, cod. cons.), e i sistemi rimediali (cd. enforcement) predisposti per arginare il fenomeno dell’utilizzo di clausole vessatorie nei contratti tra professionisti e consumatori (artt. 6-7 dir. n. 13/1993 e 36-37-37 bis cod. cons.) e quello delle pratiche commerciali scorrette cd. “business to consumers” (“B2C”) (artt. 11-13 dir. n. 29/2005 e 27 cod. cons.). La seconda parte del contributo è dedicata a un primo raffronto tra le due discipline. Muovendo dall’analisi delle diverse disposizioni di legge, si tenterà, più precisamente, di illustrare come il rapporto tra i due sistemi normativi debba anzitutto ricondursi al più ampio e generale rapporto che intercorre tra il diritto generale delle pratiche commerciali sleali (o, ove si preferisca, della concorrenza sleale in senso lato) e il diritto dei contratti, come sintetizzato dal disposto di cui all’art. 3, para 2, della direttiva 2005/29/CE (art. 19, comma 2°, lett. a), cod. cons.). Si osserverà, dunque, che le due direttive muovono da diverse prospettive d’intervento (prevalentemente individuale la dir. n. 13/1993 e esclusivamente meta-individuale la dir. n. 29/2005), hanno distinti ambiti di applicazione e offrono (parzialmente) differenti livelli di tutela del consumatore (individuale e successiva l’una, collettiva e preventiva l’altra). Tanto offrirà altresì gli strumenti per affrontare la peculiare questione - oggetto anche di un recente arresto della Corte di Giustizia (Sez. I^, del 15/03/2012, C-453/10, Jana Pereničová e Vladislav Perenič contro SOS financ spol. s r. o.) - relativa alla possibile influenza che la qualificazione di una pratica commerciale come scorretta possa avere sulla valutazione della natura vessatoria di una clausola. La terza parte della ricerca, invece, muoverà dalla constatazione che la pratica di «utilizzo» di clausole abusive ben può essere sussunta sotto la più ampia fattispecie generale di pratica commerciale di cui agli artt. 2, lett. d) e 3, para 1°, della direttiva 2005/29/CE (18, lett. d) e 19, comma 1°, cod. cons.). L’analisi, in particolare, verterà sull’eventualità che l’uso di clausole abusive ai sensi della direttiva 1993/13/CEE possa qualificarsi come pratica commerciale sleale ai sensi della direttiva 2005/29/CE. Verranno premesse preliminari considerazioni sulla dimensione super-individuale riconoscibile anche all’impianto normativo recato dalla direttiva 1993/13/CEE (come ricavabile dagli artt. 7 dir. e 37-37 bis, cod. cons.), e verranno quindi analizzati i requisiti alla ricorrenza dei quali una pratica possa dirsi sleale/scorretta (eventualmente anche nelle forme tipiche della ingannevolezza o aggressività), al fine di verificare se essi risultano per l’appunto integrati nell’ipotesi di un generalizzato utilizzo di clausole abusive da parte del professionista. Verificata la possibilità di qualificare come sleale/scorretta la pratica d’uso di clausole abusive/vessatorie, da ultimo, verrà affrontata la questione circa l’esistenza di un eventuale conflitto tra le due normative, come inteso ai sensi dell’art. 3, para 4, della direttiva 2005/29/CE (art. 19, comma 3°, cod. cons.) A tale fine, in chiave critica, verrà preliminarmente dato conto delle diverse posizioni della dottrina e dell’evoluzione normativa (d.lgs. 21/2014) e giurisprudenziale (in particolare della giurisprudenza amministrativa del Cons. di Stato, antecedente e successiva all’apertura della procedura di infrazione n. 2013/2169) registratesi quanto al più ampio problema del coordinamento tra il divieto generale di porre in essere pratiche commerciale sleali/scorrette e i più specifici divieti e obblighi comportamentali posti da altre normative preesistenti alla direttiva 2005/29/CE ed applicabili in determinati settori o con riferimento a determinate pratiche commerciali. Delle conclusioni così raggiunte verrà quindi fatta applicazione al più circoscritto rapporto intercorrente tra il divieto di cui all’art. 5, para 1°, della direttiva 2005/19/CE (art. 20, comma 1°, cod. cons.) e il divieto di utilizzare clausole vessatorie (artt. 7 dir. e 37-37 bis, cod. cons).
2-dic-2017
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Tesi dottorato Bernardi

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Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1041699
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