La dissertazione indaga il ruolo del progetto d’architettura in relazione al tema dei rifiuti solidi urbani, tra i temi più presenti oggi nelle agende urbane e politiche di piccole e grandi città. In un mondo sempre più urbanizzato –le proiezioni affermano che nel 2050 ci saranno circa 10 miliardi di abitanti, di cui l’80% vivranno in città1- è ormai determinante il ruolo dei rifiuti, non più rete invisibile e oscurata, ma una realtà sempre più evidente e presente. Le prospettive di inurbamento, le dinamiche del consumismo capitalistico e le difficoltà nel gestire i rifiuti in modo efficace e sicuro mettono in crisi i rapporti tra agglomerati urbani ed ecosistemi ambientali. In che modo il progetto può offrire risposte e integrare la loro ingombrante presenza in una visione integrata alla scala architettonica, urbana e territoriale? Quali sono le strategie e i modelli virtuosi attualmente in atto? Il percorso di ricerca intende dimostrare il cambiamento che investe i manufatti del ciclo dei rifiuti riciclo, i quali perdono progressivamente il loro carattere tradizionalmente industriale. Questa metamorfosi estetica viaggia di pari passo con l’emergente vocazione alla mixité e all’ibridazione funzionale di queste architetture, che tendono ad essere dei catalizzatori di buone pratiche civiche. Tendenzialmente invisi ai cittadini (sindrome Nimby), essi acquistano oggi sempre più uno status di luoghi della socialità, dove si promuovono pratiche civiche e dove sorgono nuove economie. L’ipotesi di riprogettare e gradualmente reinserire attrezzature e funzioni speciali nel tessuto consolidato, consentirebbe di recuperare le aree extraurbane e di ristabilire l’equilibrio ecologico perduto. L’abbandono di un modello composto da pochi macro-impianti concentrati, in favore di un modello reticolare, diffuso e decentralizzato composto da una serie di attrezzature di piccola-media dimensione può rappresentare un vera inversione di tendenza, che consentirebbe di transitare da una dimensione emergenziale a una dimensione ordinaria. Il fattore “civico” si declina in due modi: alla scala urbana si indaga la maniera con cui il ciclo dei rifiuti, nella sua componente spaziale e informativa, contribuisce a determinare la forma della città; alla scala architettonica si considera il modo con cui le funzioni civiche (culturali, educative, museali) entrano a far parte di organismi industriali, mutandone lo status. Per architettura civica si intende un ambito strategico che attua una inedita sintesi tra un’azione di upgrade fisico e di valore dell’Architettura Civile (hardware), combinato con processi di creazione di valore civico (software). In termini di funzionamento e gestione sia in termini estetici, l’architettura della filiera dei rifiuti si confronta con una duplice identità: quella dalla vocazione industriale e quella dalla vocazione civica. Chiarire questo aspetto significa comprendere in quale “sistema” queste nuove figure entrano a far parte (anche dal punto di vista economico, politico, legislativo, ecc) e quale ruolo possono giocare per la città e il territorio. Le nuove attrezzature dei rifiuti rappresentano «l’ultima versione delle grandi infrastrutture di servizio urbano. Imponenti edifici di pubblica utilità che, forse, non andrebbero defilati dagli assi della magnificenza civile». Si tratta di figure architettoniche che tendono all’ibridazione -come si evince dalle innovazioni tipologiche, estetiche e programmatiche che emergono dai casi studio “industriali”- e cercano una nuova sintesi, attraverso l’innesto della componente processuale, evidenziata nei casi di studio “civici” e nel racconto delle pratiche innovative. I nodi fisici della filiera del riuso e del riciclo dei rifiuti si configurano come attrezzature “critiche”, vere e proprie “approssimazioni di città, poiché “incubano” in forma ridotta, concentrata, una serie di processi e fenomeni complessi che si verificano nella città e nel territorio; processi che investono gli individui, le materie, gli oggetti e l’ecosistema urbano in generale. Numerose e ovunque presenti, le infrastrutture destinate alla gestione dei rifiuti, iniziano a essere intese quali elementi costitutivi di un progetto territoriale, frammenti ineludibili del paesaggio antropizzato, parti estese di territorio capaci di condizionare il contesto in cui s’insediano. In un modello economico in cui i rifiuti di qualcuno diventano risorse per gli altri, c’è sempre meno spazio per modelli tradizionali di pianificazione e gestione dei rifiuti. Occorrono nuove strategie in materia di riutilizzo e di riduzione dei rifiuti alla fonte.

Strategie urbane integrate per affrontare la crisi dei rifiuti urbani. Nuove opportunità per un'architettura civica / Massaro, Saverio. - (2017 Sep 28).

Strategie urbane integrate per affrontare la crisi dei rifiuti urbani. Nuove opportunità per un'architettura civica

MASSARO, SAVERIO
28/09/2017

Abstract

La dissertazione indaga il ruolo del progetto d’architettura in relazione al tema dei rifiuti solidi urbani, tra i temi più presenti oggi nelle agende urbane e politiche di piccole e grandi città. In un mondo sempre più urbanizzato –le proiezioni affermano che nel 2050 ci saranno circa 10 miliardi di abitanti, di cui l’80% vivranno in città1- è ormai determinante il ruolo dei rifiuti, non più rete invisibile e oscurata, ma una realtà sempre più evidente e presente. Le prospettive di inurbamento, le dinamiche del consumismo capitalistico e le difficoltà nel gestire i rifiuti in modo efficace e sicuro mettono in crisi i rapporti tra agglomerati urbani ed ecosistemi ambientali. In che modo il progetto può offrire risposte e integrare la loro ingombrante presenza in una visione integrata alla scala architettonica, urbana e territoriale? Quali sono le strategie e i modelli virtuosi attualmente in atto? Il percorso di ricerca intende dimostrare il cambiamento che investe i manufatti del ciclo dei rifiuti riciclo, i quali perdono progressivamente il loro carattere tradizionalmente industriale. Questa metamorfosi estetica viaggia di pari passo con l’emergente vocazione alla mixité e all’ibridazione funzionale di queste architetture, che tendono ad essere dei catalizzatori di buone pratiche civiche. Tendenzialmente invisi ai cittadini (sindrome Nimby), essi acquistano oggi sempre più uno status di luoghi della socialità, dove si promuovono pratiche civiche e dove sorgono nuove economie. L’ipotesi di riprogettare e gradualmente reinserire attrezzature e funzioni speciali nel tessuto consolidato, consentirebbe di recuperare le aree extraurbane e di ristabilire l’equilibrio ecologico perduto. L’abbandono di un modello composto da pochi macro-impianti concentrati, in favore di un modello reticolare, diffuso e decentralizzato composto da una serie di attrezzature di piccola-media dimensione può rappresentare un vera inversione di tendenza, che consentirebbe di transitare da una dimensione emergenziale a una dimensione ordinaria. Il fattore “civico” si declina in due modi: alla scala urbana si indaga la maniera con cui il ciclo dei rifiuti, nella sua componente spaziale e informativa, contribuisce a determinare la forma della città; alla scala architettonica si considera il modo con cui le funzioni civiche (culturali, educative, museali) entrano a far parte di organismi industriali, mutandone lo status. Per architettura civica si intende un ambito strategico che attua una inedita sintesi tra un’azione di upgrade fisico e di valore dell’Architettura Civile (hardware), combinato con processi di creazione di valore civico (software). In termini di funzionamento e gestione sia in termini estetici, l’architettura della filiera dei rifiuti si confronta con una duplice identità: quella dalla vocazione industriale e quella dalla vocazione civica. Chiarire questo aspetto significa comprendere in quale “sistema” queste nuove figure entrano a far parte (anche dal punto di vista economico, politico, legislativo, ecc) e quale ruolo possono giocare per la città e il territorio. Le nuove attrezzature dei rifiuti rappresentano «l’ultima versione delle grandi infrastrutture di servizio urbano. Imponenti edifici di pubblica utilità che, forse, non andrebbero defilati dagli assi della magnificenza civile». Si tratta di figure architettoniche che tendono all’ibridazione -come si evince dalle innovazioni tipologiche, estetiche e programmatiche che emergono dai casi studio “industriali”- e cercano una nuova sintesi, attraverso l’innesto della componente processuale, evidenziata nei casi di studio “civici” e nel racconto delle pratiche innovative. I nodi fisici della filiera del riuso e del riciclo dei rifiuti si configurano come attrezzature “critiche”, vere e proprie “approssimazioni di città, poiché “incubano” in forma ridotta, concentrata, una serie di processi e fenomeni complessi che si verificano nella città e nel territorio; processi che investono gli individui, le materie, gli oggetti e l’ecosistema urbano in generale. Numerose e ovunque presenti, le infrastrutture destinate alla gestione dei rifiuti, iniziano a essere intese quali elementi costitutivi di un progetto territoriale, frammenti ineludibili del paesaggio antropizzato, parti estese di territorio capaci di condizionare il contesto in cui s’insediano. In un modello economico in cui i rifiuti di qualcuno diventano risorse per gli altri, c’è sempre meno spazio per modelli tradizionali di pianificazione e gestione dei rifiuti. Occorrono nuove strategie in materia di riutilizzo e di riduzione dei rifiuti alla fonte.
28-set-2017
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Tesi dottorato Massaro

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Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1016311
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